Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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venerdì 2 febbraio 2018
Uscendo tra le case: i malati di Kiershir (bozzetti dalla Turchia)
L'abbondanza dei cibi sulla mensa rende la colazione il primo dei momenti conviviali della nostra giornata che sarà un'ascesa, ora dopo ora, di persone che ci attendono, che ci incontrano, chiedono, raccontano, si alzano in piedi. Persone, persone, persone. Nei quali si innestano i nostri tralci imperfetti.
Oggi non abbiamo fatto nulla, e per il sunto del giorno basterebbero due righe. Colazione, acquisto biglietti, scuola dei bimbi, pranzo, visita ai malati, messa, cena serale con i giovani. Oggi una narrazione fragile e debole.
Poi a letto. A non prendere sonno perché in noi continuano a parlare le persone. E capisco che se può essere piacevole magari leggerne qualcuna di queste voci in questo blog, non sarebbe lo stesso.
Chiedo a chi legge di essere consapevole di una cosa: è come avere una di quelle palle di vetro con dentro un monumento, l'acqua e la neve finta, che agitiamo e poi raddrizziamo e poi vediamo cadere la neve, magari sulle piramidi! È piacevole ma è un altrove che prova a suscitare qualcosa qui e ora. E quando uno scrive fa un po il mestiere di vendere queste sfere di vetro.
Posso solo fidarmi in chi legge di non essere mai stato povero abbastanza da non poter dedicare qualche minuto a chi aveva bisogno di compagnia, di una parola (e qui magari io ho pronunciato con gli altri alcune parole di Gesù), a chi ha voglia di far festa e quelle scemenze per farsi notare o evitare che la gioia trascorra indisturbata. Da dedicare a chi malato sta solo in casa, a chi ha perso un fratello, un figlio, un genitore, a chi sa che una buona vita è testimonianza migliore delle avide barbarie che prendono successivamente in prestito altisonanti nomi che baroccano orgoglio di nazione, di religione, di interessi superiori.
Io oggi ho incontrato persone. Di una che chiameremo Benjamin per evitare identificazione lascio l'abbraccio.
Tre gradini sotto il livello della strada per entrare in uno dei tanti discreti palazzi delle strade fuori centro. Basta salire al primo piano. Ci apre la porta Benjamin, gli altri familiari sono fuori al lavoro (i profughi sono lavoro in nero a buon mercato anche qua). Gamba destra un po trascinata, braccio destro piuttosto rigido, semiparalisi post operatoria. Un tumore operato qua dopo il loro arrivo. Aspettano di ricongiungersi con altri familiari all'estero. Il mio accompagnatore traduce in siriano cioè arabo le preghiere impacciate che pronuncio non nella mia lingua ma in inglese. Il padre nostro è una intimità troppo grande per non lasciare che lo dicano in arabo. Io taccio. Do poi la comunione. Mentre mi avvicino Benjamin si alza e con la mano sinistra spinge in su la destra paralizzata fino a bloccarla nel gesto orante delle mani congiunte. I miei occhi, la mia mente, il mio cuore sono lì. Benedico e restiamo a scambiare due parole ( è solo e non può offrirmi come tanti altri il chaj e qualche biscotto). Poi mi saluta. Mi chiede di pregare per lui. Mi abbraccia a lungo. Anche io lo abbraccio per lo stesso tempo.
Poi ci salutiamo. Ci accompagna alla porta, rimettiamo le nostre scarpe, il mio accompagnatore dà alcune notizie a Benjamin, e noi passiamo la soglia.
Poi ci salutiamo. E so che a questa volta potrebbe non aggiungersi un'altra. Io tornare qui. Lui partire per un altro paese. Non lo sappiamo. Usciamo e andiamo verso un'altra porta di un'altra casa.
Per favore, siate poveri abbastanza da uscire, incontrare, e gioire che in questo sta il miracolo della vita.
d.onde
Oggi non abbiamo fatto nulla, e per il sunto del giorno basterebbero due righe. Colazione, acquisto biglietti, scuola dei bimbi, pranzo, visita ai malati, messa, cena serale con i giovani. Oggi una narrazione fragile e debole.
Poi a letto. A non prendere sonno perché in noi continuano a parlare le persone. E capisco che se può essere piacevole magari leggerne qualcuna di queste voci in questo blog, non sarebbe lo stesso.
Chiedo a chi legge di essere consapevole di una cosa: è come avere una di quelle palle di vetro con dentro un monumento, l'acqua e la neve finta, che agitiamo e poi raddrizziamo e poi vediamo cadere la neve, magari sulle piramidi! È piacevole ma è un altrove che prova a suscitare qualcosa qui e ora. E quando uno scrive fa un po il mestiere di vendere queste sfere di vetro.
Posso solo fidarmi in chi legge di non essere mai stato povero abbastanza da non poter dedicare qualche minuto a chi aveva bisogno di compagnia, di una parola (e qui magari io ho pronunciato con gli altri alcune parole di Gesù), a chi ha voglia di far festa e quelle scemenze per farsi notare o evitare che la gioia trascorra indisturbata. Da dedicare a chi malato sta solo in casa, a chi ha perso un fratello, un figlio, un genitore, a chi sa che una buona vita è testimonianza migliore delle avide barbarie che prendono successivamente in prestito altisonanti nomi che baroccano orgoglio di nazione, di religione, di interessi superiori.
Io oggi ho incontrato persone. Di una che chiameremo Benjamin per evitare identificazione lascio l'abbraccio.
Tre gradini sotto il livello della strada per entrare in uno dei tanti discreti palazzi delle strade fuori centro. Basta salire al primo piano. Ci apre la porta Benjamin, gli altri familiari sono fuori al lavoro (i profughi sono lavoro in nero a buon mercato anche qua). Gamba destra un po trascinata, braccio destro piuttosto rigido, semiparalisi post operatoria. Un tumore operato qua dopo il loro arrivo. Aspettano di ricongiungersi con altri familiari all'estero. Il mio accompagnatore traduce in siriano cioè arabo le preghiere impacciate che pronuncio non nella mia lingua ma in inglese. Il padre nostro è una intimità troppo grande per non lasciare che lo dicano in arabo. Io taccio. Do poi la comunione. Mentre mi avvicino Benjamin si alza e con la mano sinistra spinge in su la destra paralizzata fino a bloccarla nel gesto orante delle mani congiunte. I miei occhi, la mia mente, il mio cuore sono lì. Benedico e restiamo a scambiare due parole ( è solo e non può offrirmi come tanti altri il chaj e qualche biscotto). Poi mi saluta. Mi chiede di pregare per lui. Mi abbraccia a lungo. Anche io lo abbraccio per lo stesso tempo.
Poi ci salutiamo. Ci accompagna alla porta, rimettiamo le nostre scarpe, il mio accompagnatore dà alcune notizie a Benjamin, e noi passiamo la soglia.
Poi ci salutiamo. E so che a questa volta potrebbe non aggiungersi un'altra. Io tornare qui. Lui partire per un altro paese. Non lo sappiamo. Usciamo e andiamo verso un'altra porta di un'altra casa.
Per favore, siate poveri abbastanza da uscire, incontrare, e gioire che in questo sta il miracolo della vita.
d.onde
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