CONTINUA A CAMMINARE IN SILENZIO (parole del sabato)
CONTINUA A CAMMINARE IN SILENZIO
parole del sabato
I
All'alba sono già in piedi.
Mentre viene sollevata la pesante tenda che fa da porta, il sole filtra dal basso.
Riempie tutta la stanza. Sembra acqua che entra da una falla sulla barca.
Io sono pronto. Ha bloccato in alto il drappo Il fratello guardiano, mi vede, mi chiede di calmarmi, di smettere di parlare.
Sono molto emozionato per la mia giornata che inizia.
Sono piccolo secondo lui. Sono sicuro che lo pensa.
Ma oggi il maestro Giovanni mi ha scelto per accompagnarlo.
Vuol dire che sto crescendo.
Vuol dire che il maestro pensa che sono abbastanza grande.
Non so quanti anni ho. Non c'è modo di saperlo precisamente, dicono.
Sono arrivato al porto di Efeso ed ero solo, raccontano.
I miei genitori devono avermi fatto sbarcare e poi sono ripartiti subito, sembra.
Mio babbo di sicuro fa il pescatore, e la mamma lo aiuta a bordo della sua barca.
Stanno girando i mari per raccogliere tanto pesce da vendere, dicono.
Poi verranno a prendermi, dico io.
Oppure al loro arrivo si accorgeranno quanto sia bella questa comunità che mi ha ospitato e decideranno che resteremo tutti qua.
A me non dispiacerebbe. Sono tutti accoglienti.
E poi c'è il maestro Giovanni: ha sempre una parola buona per tutti. Anche per me.
Ogni tanto faccio domande sulla mamma e sul babbo.
Come si chiamano, quando torneranno, perché mi fanno aspettare così tanto.
Nella comunità sono tutti gentili, però nessuno mi ha mai risposto veramente.
Ho capito una cosa, che la pesca è molto difficile e piena di pericoli.
Loro mi rassicurano: di certo i tuoi genitori sono esperti di mare!
Allora mi riempiono la bocca di sorriso e fierezza.
Ogni tanto però la mamma potrebbe lasciare il babbo, dico io, tanto lui se la cava.
Potrebbe venire qua e stare con me.
Ma si vede che il lavoro sulla barca è duro e bisogna essere almeno in due.
Aspetterò ancora.
II
Non oggi. Niente lacrime con questi pensieri.
Devo accompagnare il maestro Giovanni dalla signora della collina.
Il maestro diventa vecchio ogni giorno di più.
É come un nonno per me. Anzi qui dove vivo tutti gli vogliono un gran bene.
Una volta per sbaglio l'ho anche scambiato per il mio babbo.
Era sulla porta con il sole alle spalle.
Gli ho urlato “babbo”. Poi sono corso e gli ho pianto addosso.
Lui mi ha abbracciato ed è stato in silenzio.
Non capisco bene perché oggi mi vengono i pensieri tristi.
Devo ripetermi che oggi sarò con il maestro. Mi aiuterà.
Oggi è sabato: chiamano così questo giorno nel paese da dove proviene lui.
Il maestro solo in questo tra gli altri giorni che si ripetono, diventa sempre silenzioso e meno allegro del solito.
Allora va a cercare una persona per lui molto cara.
Entrambi vengono da una città lontana, Gerusalemme.
È stata distrutta dai romani non molto tempo fa.
La notizia è arrivata anche qui ad Efeso.
Ma la signora non abita con noi.
Così oggi, sabato, il maestro salirà a visitarla nella casa sulla collina.
Tutti sanno che si deve parlare poco di questa donna, perché il silenzio attorno a lei è una protezione necessaria: qualcuno potrebbe farle del male se scoprissero dove vive. Il nostro silenzio è come mura che la rendono invisibile ai suoi nemici.
Io mi chiedo però come sia possibile che una signora anziana possa essere pericolosa.
Accidenti poi: è tutto così segreto che non ho scoperto neanche come si chiama!
III
Oggi quindi il maestro sale dalla signora che abita la collina dietro Efeso.
Passa la giornata là e torna prima del tramonto.
Poi, quando è qui, passa la notte solitario, facendo una cosa che si chiama preghiera.
Io per ora ne ho imparata una a memoria, ma non ce la farei a passare sveglio tutta la notte dicendo quella sola preghiera.
Non so quante ne sappia lui, ma devono essere un bel numero per riuscire a trascorrere l’intera notte recitandole.
Pregare fa parte degli insegnamenti che il nostro maestro ha imparato da un altro maestro che si chiamava Gesù.
Parliamo spesso di lui, e Giovanni conosce molti racconti della sua vita perché hanno vissuto insieme per alcuni anni. Erano un gruppo.
La nostra comunità cerca di vivere secondo le sue parole e ripetendo i suoi gesti.
Questo Gesù doveva essere una persona molto buona: ascoltava chi si rivolgeva a lui e risolveva i problemi.
Uno non camminava? Lui lo faceva stare di nuovo in piedi!
Uno non parlava? Lui gli toccava le labbra e non era più muto.
E così per tante cose. Sordo? Ti faccio tornare a sentire!
Malato? Ti guarisco! Povero? Ti dò il pane da mangiare.
A volte sembrano cose impossibili.
Il maestro Giovanni è davvero convincente quando racconta.
Sono persuaso che siano cose vere.
Purtroppo non è finita bene. Non ne so il motivo, ma alla fine l'hanno ucciso.
Questo ha fatto molto soffrire i discepoli, cioè quelli che come il nostro maestro Giovanni seguivano la via del maestro Gesù.
Poco dopo però deve essere accaduto un evento straordinario, perché loro erano sicuri che fosse morto, poi non lo hanno trovato nella tomba, infine lo hanno incontrato vivo.
Io penso magari che si erano sbagliati, ma il maestro Giovanni insiste tanto su questo fatto che era morto e poi viveva e mi fa rimanere senza parole.
Forse è un po' come per i miei genitori che adesso sono in mare e sembrano come morti perché non li vedo più, ma poi ritornano.
Mio padre è un pescatore bravo, e come Gesù, troverà un modo per tornare.
IV
Il maestro Giovanni è stato punto da uno scorpione l’altra notte.
Il dolore lo ha tormentato ancora per tutta la giornata di ieri, e oggi zoppica.
Per questo ha bisogno di un aiuto per salire.
Ha capito che con me può stare sicuro!
Mi sta chiamando, ma prima devo andare a salutare Metran:
ieri io e lei abbiamo giocato insieme e poi mi sorrideva.
Questa sensazione me la devo ricordare.
Devo raccontarla ai miei quando ritornano.
“Euplo, il maestro Giovanni ti sta cercando”, mi richiama il fratello guardiano.
Si! Si! Vado! Tra tutti lo ha chiesto a me di accompagnarlo: quindi non scappo.
Quando la mamma e il babbo ritornano glielo racconto di me e Metran.
Ho un elenco di cose da dirgli: quando mi si è rotto il dente perché sono caduto dall’albero, la prima volta che ho visitato la città per acquisti al mercato, il sorriso di Metran mentre giocavamo, quella volta che finalmente ho imparato la preghiera a memoria. E poi oggi, la giornata con il maestro.
Passo il cortile, sono là che abitano Metran e la sua famiglia.
Il Signore ti benedica, mi fa la sua mamma. Sorrido e procedo oltre.
Vado diretto da lei. Forse troppo. Ha la faccia seria.
Faccio finta di niente. Sorrido.
Devo andare col maestro. Davvero? Fa lei.
Si! Lui il sabato va dalla signora e oggi ha chiesto a me di accompagnarlo.
Lei Finalmente sorride. Io la guardo pensando che devo farle vedere che per me è qualcosa di normale, che non sono eccitato come invece mi sento.
Sorrido anche io ma senza esagerare.
“Euplo! Dobbiamo andare!” chiama il maestro.
Metran mi dice “Allora vai!”, ed io scatto, quasi cado, un passo più lungo e recupero l'equilibrio. Che figuraccia se cadevo! E arrivo di corsa dal maestro.
“Eccomi!”. Prendiamo subito la strada che ci condurrà sulla collina.
Mi metto al suo fianco, così potrà appoggiarsi alla mia spalla.
V
Sto spiegando al maestro che bisogna sempre sbattere la coperta prima di andare a dormire, perchè altrimenti troviamo il posto occupato da qualcun altro.
Non c’è tanta gente per strada a quest’ora quando passiamo porta Koressos.
L’alba è arrivata da poco senza allontanare del tutto le cose che abitano la notte.
Vedo facce assonnate e che sbadigliano, gli uomini guardano in basso.
Qualcuno riesce a sorridere: forse ha sognato cose belle stanotte.
Mi ricordo dell'urlo che ho sentito due sere fa, dopo che lo scorpione aveva punto il maestro al piede.
Gli scorpioni fanno così, entrano nei posti se sono vuoti, perché noi pensiamo che le cose ci appartengono anche quando le abbandoniamo da sole. Ma gli animali non ci credono, e fanno i loro nidi e scavano le loro tane dove noi riponiamo gli oggetti e chiudiamo le porte dicendo “Qui starà al sicuro!”.
Anche i letti possono essere pericolosi. “Devi stare più attento!” Dico.
Lui mi ascolta. Gli ho dato un buon consiglio.
Però oggi è triste. E’ così ogni sabato.
Il maestro accoglie sempre tutti con un sorriso, ma di sabato sembra che sia lui ad averne bisogno.
La via dei Marmi finisce e dopo essere passati di fianco al grande spiazzo del mercato, la nostra via volge a sinistra per poter salire, attraversando la città.
Mentre cammino mi chiedo se il maestro non sia triste perché non vede Gesù da molto tempo. Forse per questo sale dalla signora, perché io so chi è lei.
Ma non lo dico se no il maestro scopre che l'altra sera ho spiato la loro riunione.
“Sei triste, maestro?”.
“Continua a camminare in silenzio!”. Risponde così.
Sento che mi si scaldano le guance, forse ho detto qualcosa di sbagliato.
VI
So che la tristezza del maestro ha a che fare con Gesù, non capisco bene come però.
La strada in salita di Efeso si riempie dei tempietti e delle belle costruzioni che mi piace guardare. Il maestro invece guarda in basso.
Cosa è la tristezza? Se me lo chiedesse, gli saprei rispondere.
Assomiglia a salire in una barca, cercare un porto ma vedere solo le onde del mare.
Come questa città che stiamo risalendo.
Noi siamo una barca. Le persone sono come le onde.
A volte le onde sono in tempesta, ma questa città non affonda.
Affondano le barche, non le città!
Ci sono i mercanti, gli adoratori di Demetra, i venditori di cose buone e di cose false.
Ci sono i poveri con i loro stracci, le donne con i bambini in braccio, due uomini che litigano al mattino presto.
Io penso che i poveri, che noi spesso aiutiamo, siano nuotatori.
Sono caduti dalla barca e si trovano tra le onde e provano a non annegare.
Cercano di rimanere a galla.
Mio padre penso sia un buon nuotatore.
E se invece è annegato mentre nuotava?
E la mamma sarà rimasta in balie delle onde?
Così passo dalla mia tristezza al mio dolore.
Sento lo stomaco che vuole svuotarsi.
Ecco tutto quello che risponderei se il maestro Giovanni mi chiedesse della tristezza.
Ma i grandi pensano che noi bambini non sappiamo queste cose, e non ci ascoltano.
Pensano che la nostra tristezza sia sempre come rugiada che evapora appena arriva il sole.
Ma se il sole non arriva? Ci pensano a questo? Ci pensano a noi?
VII
Abbiamo superato le soglie della città alta e abbiamo preso il sentiero tra gli alberi.
Mentre saliamo il maestro inizia a parlarmi della signora.
Forse ha aspettato che fossimo soli, senza troppe orecchie curiose intorno a noi, come accade in città.
Quando i grandi parlano della signora, dicono che bisogna stare attenti perché non bisogna metterla in pericolo.
Sono riuscito ad ascoltarli una notte che si erano radunati per parlare tra di loro.
Io mi sono alzato leggero e senza rumore e li ho raggiunti, mi sono nascosto dietro la casa, ma dalla parete filtravano le voci, ed io ho un buon udito.
É allora che ho capito che quella signora era la mamma di quel Gesù di cui qui in comunità si ricordano le parole e gli insegnamenti.
Ho anche capito che quando lo stavano per uccidere, prima di morire, quel Gesù ha affidato la sua mamma a Giovanni, come se il maestro fosse suo figlio.
Ci penso molto a questa cosa. Io penso che siano i figli affidati alle mamme, per sempre.
Ma forse non è così. Forse è così da bambini, poi quando i bambini diventano grandi, i grandi tornano come bambini e allora hanno bisogno di chi li aiuti.
É allora che le mamme e i papà sono affidati ai figli?
Ho capito anche che Giovanni è venuto fin qui proprio per tenerla al sicuro, e quella sera discutevano se lasciare Efeso per questo e raggiungere l’isola di Patmos.
Solo è che la signora non riuscirebbe a sostenere le fatiche del viaggio.
Le cose che mi sta dicendo il maestro le avevo già scoperte. Ma fingo di essere stupito. Provo però a chiedere del motivo che lo spinge a salire qui ogni sabato: “Perché?”
VIII
“devi sapere che lui oggi è vivente!”. Esordisce il maestro.
Io sono attento, cerco di capire. Sta parlando di Gesù, ne sono certo.
Faccio fatica a intendere tutto, così cerco almeno di memorizzare le sue esatte parole.
“Ma dopo che morì, noi lo abbiamo sepolto in una tomba nella roccia, e una pietra chiuse insieme al sepolcro anche i nostri cuori.
Rivedemmo Gesù vivente solo nel terzo giorno dalla morte, e fummo pieni di gioia.
Tuttavia il giorno in mezzo, era sabato, ciascuno di noi, nel luogo dove ci rifugiammo, rimase muto, come restava muta la pietra del sepolcro.
Mentre gli altri festeggiavano la Pasqua, noi eravamo nella paura.
Soltanto ci raggiunse la madre e ci parlò in modo da donarci ancora speranza.
E anche il nostro silenzio, che fino a quel momento era solo paura e tristezza per l’assenza di Gesù, iniziò ad essere un silenzio abitato, ad avere la voce della madre che insisteva con noi e chiedeva di fidarsi di lui anche in quel momento!”
Non chiedo più nulla e continuo a camminare in silenzio.
Ripeto dentro di me le parole ascoltate per non dimenticarle.
Finalmente siamo sulla collina e vedo la casa in mezzo agli alberi.
IX
Ormai il sole è salito in alto, ed io ho fame.
Il maestro è stanco, e quando si appoggia sulla mia spalla è sempre più pesante.
Arrivati ci sediamo fuori dalla casa. Esce una donna giovane. Non può essere lei.
Ne arriva un'altra. Si parlano, ci accolgono. Ci offrono da bere.
Si chiamano Estia e Ilizia. Finalmente un pezzo di focaccia: lo divoro!
Per la prima volta il maestro sorride, mentre mi guarda mangiare a quella maniera.
Se lo sapevo mi portavo dietro focacce e mangiavo più spesso lungo la strada.
Il maestro Giovanni mi piace più quando ride che quando è serio.
A volte racconta cose che sembrano brutti sogni: carboni ardenti, cieli in fiamme, mari sconvolti e animali pieni di follia. Anche io faccio brutti sogni.
Soprattutto sul mare in tempesta e sulla barca del mio babbo e della mia mamma.
Qualche volta ho litigato con i miei amici perché loro dicono che i miei genitori sono morti e che io sono un trovatello. Questa cosa mi fa molto arrabbiare.
Ho tirato un calcio anche al guardiano un giorno, mentre cercava di tenermi fermo.
Poi arrivò Giovanni, il maestro, e lui è riuscito a calmarmi.
“Torneranno.” Mi disse. “Tu fai come le colombe che vivono sopra i nostri tetti: quando c'era solo acqua su tutta la terra, una colomba prese il volo e trovò la terra che stava venendo fuori dalle acque.” Mi raccontò che questa cosa si chiama speranza.
La storia delle acque su tutta la terra non mi fa paura, perché c'è questo Noé che su una barca mette dentro tutti gli animali. Deve essere stato bello.
Forse oggi potrei dirgli io la stessa cosa a lui.
“Maestro Giovanni, Gesù tornerà, forse come la colomba di Noé!”.
Ma mi vergogno e non gliela dico.
X
Poi esce la signora, è molto più vecchia del maestro Giovanni. Si muove con lentezza.
Estia ci invita a sedere, Ilizia ha preparato alcuni grandi piatti con delle vivande calde. Finalmente è ora di pranzo!
Io vado verso i cibi, mentre il maestro raggiunge la signora.
“Madre”, dice, e poi l’abbraccia.
Anche lei lo abbraccia. Mi sa che lui stava piangendo.
Non ho capito tutto quello che si dicevano, eppure cercavo di stare attento.
Il maestro parla, si domanda: come ho fatto?
Forse si rammarica di non avere creduto che il maestro Gesù sarebbe tornato vivente.
Io non riesco, ma lei capisce il suo cuore.
Gli dice di stare tranquillo, che non conta più nulla cosa lui e gli altri fecero quel sabato.
Mentre parlano tra loro, il maestro sembra quieto, rasserena il volto, smette di piangere.
Intanto la signora mi vede, chiede di me, mi fa correre da lei e poi mi abbraccia.
Dopo il pasto lei e il maestro si siedono sotto un albero con delle rocce adatte e parlano insieme.
Poi lei si avvicina a me, ed iniziamo a giocare insieme.
Se mia mamma fosse qui, sarebbe lo stesso. Ne sono sicuro.
Ma la strada è lunga ed ormai dobbiamo rientrare per non camminare con il buio.
Ci salutiamo!
“Il Signore ti benedica, Giovanni, figlio mio!”
“Il Signore che da te è nato benedica tutti noi, Myriam!”
Ecco il suo nome, finalmente l’ho scoperto.
XI
Per strada il maestro è cambiato, ha il volto sollevato, sembra la luce che sta mancando al giorno.
Ha voglia di raccontare. Mentre rientriamo non fa che parlare di Gesù.
Prima di arrivare, già superata Efeso, ci fermiamo a poca distanza dalle nostre case.
Mi guarda negli occhi: “ricordati, Euplo, che basta la speranza di una persona per dare speranza a molti”.
Come la colomba per Noè e per tutti gli animali? Chiedo io
“Proprio come la colomba. Myriam è come la nostra colomba ed ogni sabato salgo qua per ricordarmelo!”
Mi chiedo se la signora possa aiutarmi a sperare che i miei ritornino con la barca carica di pesce e così tutti quelli della comunità saranno contenti. Io di più.
In fondo oggi non è stata una giornata faticosa.
E mi sa che chiederò ancora di accompagnare il maestro Giovanni dalla signora Myriam.
Ogni tanto il maestro parla ancora dell'isola di Patmos, ma io non andrò con loro finché non saranno tornati i miei genitori, non posso lasciarli soli quando arriveranno qui ad Efeso.
E finché la signora sarà sulla collina, continuerò ad andarla a trovare.
E mentre salirò, lungo le strade ed i sentieri, continuerò a camminare in silenzio.
Non il silenzio quando mi rattristo nella notte e mi sveglio pensando ai miei genitori in mezzo al mare, ma il silenzio di quando vado al porto e guardo l'orizzonte, che è più grande del mare. E scruto le barche che tornano in porto.
Certo farò così.
Farò come se oggi fosse ancora sabato.
Ogni giorno, il mio sabato, finché torneranno.
E spero che il domani verrà.
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