Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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martedì 13 febbraio 2018
A braccia aperte - Lidia Maggi (“Mosaico di pace”, gennaio 2018)
Non pensate che per Israele
sia stato semplice fare i conti con lo straniero, fino ad arrivare ad
accoglierlo, custodirlo e farne il centro della propria
autocomprensione. Ci è voluto coraggio, visione, e tanta
discussione. Solo chi riduce la Bibbia a un codice normativo, può
ritenere che, nelle Scritture Sacre, da subito, sia apparso chiaro il
rapporto con l'altro e l' ingiunzione morale di non fargli alcun
male.
Ma la Bibbia non è un libro di norme; piuttosto, è
un'agorà, uno spazio di discussione o, se volete, una sinagoga,
dove convergono persone con la stessa passione per Dio, ma con
vissuti differenti, e dunque con sensibilità divergenti sul modo di
relazionare con gli stranieri. Sarebbe semplice consegnare a chi
legge una scheda sintetica sull'argomento, dove, prendendo come
bussola i precetti, si afferma a chiare lettere e inequivocabilmente:
"Non maltratterai
lo straniero".
Le cose, in realtà, sono
più complesse. Se perdiamo gli echi delle antiche discussioni,
rischiamo di non cogliere la fatica che attraversa una storia
complessa, dove l'identità si costruisce con la discussione e la
riflessione o, per dirla con il linguaggio biblico, con l'ascolto
comunitario di quanto Dio vuole.
tra sé e l'altro
Le modalità con
cui Israele arriva a proteggere i migranti sono altrettanto
importanti dei contenuti espressi in materia. Esse ci suggeriscono
una grammatica che corregge quegli strafalcioni che sviano,
appesantiscono fino bloccare una narrazione di senso. Ci fanno
intravedere un metodo di lavoro, di cui le politiche gridate attuali
soffrono la mancanza. Far memoria e raccontare una storia richiede la
capacità di uscire dalla cronaca e dall'emergenza: non per
sottrarsi a un agire puntuale, ma per non impantanarsi
nell'emotività del momento, accontentandosi di soluzioni
improvvisate. Nell'affrontare la questione degli stranieri, è
facile che si creino immediatamente schieramenti ideologici, che si
innalzino muri irremovibili tra chi ritiene necessario aprire le
frontiere e quanti, invece, vogliono chiuderle. Nel Libro che narra
la biografia dell'antico Israele, gli errori non sono eliminati,
piuttosto vengono superati attraverso un continuo confronto tra
quella Parola Altra, la Torah, o insegnamento divino, e la storia,
ordinaria e straordinaria, privata e pubblica.
È bene chiarire fin
da subito che Israele costruisce la percezione di sé e dell'altro
(fratello, vicino, straniero, nemico, donna...), non astratto, ma
vivendo e affrontando le più diverse situazioni, rivivendole, poi,
una seconda volta, nella narrazione. E solo nel montaggio delle
diverse scene della sua esistenza che emerge una precisa identità
relazionale, all'interno di una Storia della Salvezza, storia
tutt'altro che lineare, fatta di salite prodigiose come di abissi. La
memoria del racconto esibisce successi e fallimenti, questi ultimi
mai negati, ma analizzati ed elaborati.
Alla luce di questa prassi,
potrebbe risultare ingenuo ripetere come in un disco rotto: "I
migranti sono come noi, non sono un problema, ma una risorsa";
"l'unico modo di vivere la fede in Cristo è accogliere gli
ultimi che, oggi, sono i migranti tra di noi".
Non perché
queste affermazioni non siano giuste, ma perché la loro verità
richiede di mostrare insieme l'intero verbale della discussione che
ha portato a quelle conclusioni. Il metodo con cui si sono maturate
le convinzioni non è indifferente per la loro comprensione. Quanto
la Scrittura giunge a dire sulla relazione con lo straniero può
essere fatto proprio solo da parte di chi, innanzitutto, è
disponibile a fare esperienza concreta dell'altro; e, in secondo
luogo, sa mettersi in ascolto di quanti, invece, hanno paura, sono
disturbati e non sopportano questi intrusi migranti. Perché la
Bibbia, che nasce dalla discussione, domanda anche a chi legge le sue
parole di fare un percorso dialogico, dove le diverse sensibilità
si sanno ascoltare, fino ad arrivare a riconoscersi in una narrazione
condivisa, dove neppure le paure irragionevoli sono censurate,
negate.
un nomade...
Chiarita la sfida del metodo, possiamo
accostarci ai contenuti. Che cosa arriva a narrare Israele
della propria identità e, di
conseguenza, della sua relazione con l'altro? Il popolo eletto fa
iniziare la sua storia da un nomade, Abramo, che diviene migrante non
solo per la carestia, alla ricerca di nuovi pascoli per il suo
bestiame, ma anche perché chiamato da Dio a mettersi in cammino.
L'accostamento di necessità e vocazione domandava un ulteriore
affondo, che ha dato vita a una altro momento fondatore, dove si fa
risalire l'incontro tra Dio e il suo popolo a un altro nomade,
Giacobbe. L'edizione finale delle Scritture legherà questi due
padri su di un medesimo asse genealogico, così che Abramo
diventerà il nonno di Giacobbe; ma le diverse geografie menzionate,
rimangono come segnale di due cammini differenti. In questo secondo
evento fondatore, troviamo che l'esperienza migratoria assume i
caratteri della confessione di fede: "Mio padre era un arameo
errante; scese in Egitto, vi stette come straniero con poca gente e
vi diventò una nazione grande, potente e numerosa". Così
inizia il cosiddetto Piccolo Credo storico, che leggiamo in
Deuteronomio 26.5 ss. Giacobbe si sposta a motivo della fame, per
sopravvivenza, ed è così che anche lui fa esperienza di essere
straniero. È lui l'arameo errante, di cui parla il preambolo del
Credo, che introduce la grande epopea dell'esodo, dove un gruppo di
schiavi fugge (esodo fuga?) o si ribella (esodo liberazione?) oppure
viene espulso (esodo cacciata?). Cosa è accaduto in Egitto a quel
gruppo di schiavi che la Bibbia chiama il popolo di Dio? O meglio; al
di là delle disquisizioni storiche sull'evento, l'autore del
racconto che cosa sceglie di narrare come tema principale? Che Dio ha
liberato un popolo schiavo, ha spezzato le catene per condurlo in un
cammino di libertà, dove ognuno potrà vivere nella propria terra,
godendo di condizioni di lavoro eque come il riposo settimanale, il
sabato: ricòrdati che sei stato schiavo nel Paese d'Egitto e che il
Signore, il tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e
con braccio steso; perciò il Signore, il tuo Dio, ti ordina di
osservare il giorno del riposo (Dt. 5,12-15). Se questo è il canto
fermo, il dettato costituzionale del popolo liberato, non si devono
dimenticare le altre versioni dello stesso evento, conservate nel
verbale biblico della discussione, al fine di costruire un'etica
dell'accoglienza dell'altro. Qui troviamo indicazioni concrete a
proposito della tutela e dell'accoglienza sia di chi scappa per
sopravvivenza, sia di chi viene cacciato dal potente di turno, sia di
chi si è liberato dalle catene e cerca altrove nuove possibilità
di vita. In questo primo momento della discussione, Israele si
immedesima con questi soggetti: lui pure ha conosciuto la schiavitù,
la disumanizzazione del lavoro, come il pericolo e la fame.
... che
diventa stanziale
Il fondamento dell'etica di un popolo diventa la
memoria della propria fragilità e, in modo particolare,
l'esperienza della vulnerabilità politica, in quanto schiavi e
nomadi, stranieri per gli altri popoli.
Se questa sinfonia originaria
offre un faro, una bussola per l'orientamento futuro, quando la scena
storica diverrà opaca e la direzione di marcia non appare più
evidente, ecco che accanto ad essa, emergono le voci del controcanto
e prendono forma altre narrazioni. Queste ultime, che scaturiscono
dai mutamenti degli scenari storici, se in parte si pongono in
continuità con la memoria dell'evento fondatore esodico, dall'altra
lo contestano, tessendo una trama di senso alternativa.
Mi limito qui
a poche pennellate veloci. Israele, da nomade diventa stanziale;
presto, però, la sua parabola politica volge al declino, fino
all'esilio e alla deportazione da parte di una potenza limitrofa.
Ecco, allora, che l'altro è vissuto come minaccia. Di conseguenza,
come strategia difensiva, l'Israele a cui viene concesso di ritornare
nella propria terra tende a separarsi, fino a evitare ogni contatto
con i diversi. È in questo periodo che Esdra e Nehemia tuonano
contro i matrimoni misti, con donne straniere. Si cerca un possibile
responsabile del declino politico di Israele e questi viene
identificato nelle donne straniere, che portano idoli pagani,
corrompendo il popolo del Dio unico.
Rut
Questo sentire non è
censurato nelle Scritture, ma viene dialetticamente messo in tensione
con un'altra sensibilità, anch'essa narrata nel verbale biblico,
precisamente nel libro di Rut. Si tratta di una fiction, una parabola
raccontata per aiutare Israele a ritrovare fiducia nell'altro, anche
se questi ha i tratti di uno dei nemici storici di Israele, il popolo
di Moab. Il libro di Rut, con ironica leggerezza, prova a
sdrammatizzare l'antico conflitto: davvero Moab ti fa paura? Anche se
ha i tratti gentili e disarmati di una giovane donna? Il nemico che
tu hai immaginato come spietato, al punto da narrare che non ti ha soccorso con
un po' di pane, quando eri fuggiasco nel deserto, qui ha il volto di
Rut, la moabita che si prende cura della suocera ebrea nella più
totale fedeltà e dedizione.
Rut, che divide il suo pane con la
suocera. Questa differente narrazione del rapporto con lo straniero
porterà Israele a ridimensionare la paura nei confronti dell'altro,
vissuto come nemico, giungendo persino a riconoscerlo come parte
della propria storia. Rut, la moabita, diventerà la madre di Obed,
il bisnonno del re Davide.
Giona
Anche la breve novella didattica di
Giona si pone all'interno della stessa tensione. Giona, profeta, è
chiamato ad annunciare a Ninive il giudizio di Dio, insieme
all'invito a convertirsi. Peccato che Ninive sia il capoluogo
dell'Assiria, altro nemico storico di Israele, il popolo che
distrusse il Regno del Nord e ne deportò gli abitanti. Giona fugge
lontano da questo Dio, temendo che Questi voglia salvare la città,
piuttosto che annientarla. Un sospetto fondato: il popolo, di fatto,
si pente del male commesso, e Dio lo perdona e lo salva. Giona è
indignato da un Dio che perdona persino chi ha fatto del male a
Israele. A questo profeta recalcitrante, attraverso un ricino e un
verme, Dio prova a far comprendere che anche gli Assiri sono suoi
figli. Se Dio è unico, allora è Dio degli Ebrei, come degli
Assiri.
Un ultimo estratto di verbale lo prendo dalla memoria
dell'Egitto, terra di schiavitù per Israele. Ebbene, persino
l'Egitto non viene dipinto a tinta unica nelle Scritture
ebraico-cristiane. E così leggiamo che è l'Egitto a offrire un
rifugio a una famiglia esule, in fuga dalle violenze di un tiranno.
Qui Gesù, perseguitato, può crescere e fortificarsi. La terra di
schiavitù diventa terra di salvezza; il nemico, il tuo rifugio.
Israele, con una pluralità di narrazioni, costruisce una
comprensione di sé che lo spinge, non senza tentennamenti e
ripensamenti, a riconoscere nell'altro i propri tratti. Le identità
sono complesse e quelle a tutto tondo sono solo caricature. Questo
Israele lo ha imparato e lo ha narrato.
l'altro ha bisogno di te
Tu,
Israele, hai bisogno di accogliere lo straniero perché ti
restituisce le tue radici, la memoria della tua storia. Ti ricorda
chi eri, dove sei nato, quale l'evento fondatore del tuo popolo,
quando hai incontrato un Dio che ti ha liberato creando per te un
corridoio umanitario per farti arrivare sano e salvo in una zona
franca. E l'altro, lo straniero, ha bisogno di te, Israele, quando è
fragile, come accadrà ancora a te. La storia ha le sue
discontinuità. Un tempo, i nostri padri erano migranti; oggi, altri
bussano alle nostre frontiere. Domani, anche noi potremmo ritrovarci
in situazioni difficili, Accogliere l'altro è accogliere te stesso.
La memoria di una storia complessa, se discussa e narrata, può
evitarci semplificazioni ideologiche.
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