Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
Translate
domenica 25 febbraio 2018
Ci rimane l'umano. Questo umano non altro da Dio. (Commento di padre Balducci alla 2^ DOMENICA DI QUARESIMA - Anno B)
25 FEBBRAIO 2018 – 2^ DOMENICA DI
QUARESIMA - Anno B
Ci sono cose che non comprendiamo
perché siamo meschini, ma ci sono cose che non comprendiamo perché
siamo coerenti con ciò che in noi è più nobile. La morte degli
innocenti è qualcosa che ci scandalizza: la teniamo in mano in
attesa che Dio ci faccia capire.
PRIMA LETTURA: Gn
22,1-2.9a.10-13.15-18- SALMO: 115- SECONDA LETTURA: Rm 8,31b-34-
VANGELO: Me 9,2-10
Questa pagina del Vangelo è di una
grande ricchezza in quanto essa è una contestazione dell'estasi
religiosa raffigurata dall'apparizione di Gesù con la sua veste
candida, circondato di luce, in mezzo ai profeti, raffigurazione che
suscita l'entusiasmo nei tre spettatori privilegiati, che volevano
rimanere lì. Conosciamo bene questo secondo rischio, di carattere
più sentimentale che razionale, quello della fede che crea un mondo
a sé di estasi gratuite, fuori del territorio comune della nostra
comune tribolazione. L'uomo estatico ci affascina - se pure ci
affascina - perché ci sembra esentato dalla condizione, che è la
nostra, di pagare ogni giorno il tributo alla malizia del vivere.
Anche questa è una fuga. Quando la luce si spegne, Gesù è come gli
altri, è solo, è un uomo gracile che parla di sé come condannato a
morire. Dice ai suoi quello che avverrà fra pochi giorni. Entrerà
nelle tenebre del Getsemani quando i tre spettatori, tutt'altro che
entusiasti, saranno presi da tedio, stanchezza, e precipiteranno nel
sonno mentre Egli soffriva e pregava. Gesù svela un nuovo baricentro
della fede che non è la tenebra trascendente di Jahvè, è la
tenebra immanente della condizione umana.
Dio sta per nascondersi
nella tribolazione di un viaggio di morte, nella tribolazione di un
giudizio ingiusto dato dal tribunale. Gesù sarà condannato a morte
con la complicità dei due poteri, solidali solo in questo. Sarà
messo tra due delinquenti. Questo è l'evento che si prospetta ed è
in questa tenebra - questa volta non trascendente, oltre l'ultimo
cielo, ma dentro la condizione della sofferenza umana -, in questo
profondo cuore dell'esistenza, che si nasconde il mistero del Dio di
Gesù Cristo, per conoscere il quale non c'è da salire su nessuna
montagna in quanto la rivelazione della crocifissione - che per un
cristiano è l'evento rivelativo di Dio - avviene mentre i quattro
discendono dal monte, vanno, idealmente, verso la valle del Getsemani
dove tra poco Gesù pregherà sudando sangue. Questa discesa nella
condizione umana è la specificità del Vangelo. È vero: il Dio di
Gesù Cristo è ancora il Dio di Abramo.
Anche Paolo dice in questo
brano «che Dio ha voluto sacrificare il proprio figlio per redimere
l'umanità». Abbiamo ancora questo Dio che ha ancora bisogno di
sangue! Perché ha bisogno di sacrificare il figlio? Lui che è
onnipotente, non può liberarsi da questa necessità? È la necessità
umana che si proietta su Dio, vincolandolo al proprio modo di
ragionare. Quello che è certo è che sul Calvario c'è un Dio muto,
il Dio che fa sollevare il petto del morente nel grido: «perché mi
hai abbandonato?». Eccoci di nuovo dinanzi a Jahvè. Noi che
riconosciamo nella parola del Signore la manifestazione del mistero
di Dio, sappiamo che non dobbiamo cercarlo né sul Calvario, né sul
Tabor, né sul monte Moria, in quanto Dio è nella valle dell'umana
sofferenza, là dove si entra per amore. La sofferenza in sé non è
un valore, anzi è proprio il fatto che fa scandalo. Questo Gesù che
sta morendo è quello che dinanzi ai morti ha pianto, ha avuto un
fremito, non ha avuto la parola del filosofo che ci persuade che la
morte è una guarigione dal male della vita. No! Egli anzi ha sentito
la vita in modo tale che non ha mai avuto fremiti se non dinanzi ai
cadaveri. Egli ha sentito nel cadavere il segno della negazione di
Dio. Il cadavere è il sacramento del peccato del mondo, è la non
vita che urta contro l'evidenza del valore della vita, è un grido
contro Dio e a cui Dio dovrà pur rispondere un giorno. Quel giorno -
noi lo chiamiamo il giorno del giudizio universale - sarà il giorno
non in cui gli uomini si giustificheranno dinanzi a Dio ma in cui,
come primo atto, Dio si giustificherà dinanzi a noi, dandoci il
senso delle cose che non abbiamo compreso, non per nostra meschinità,
ma per nostra dignità.
Ci sono cose che non comprendiamo perché
siamo meschini, ma ci sono cose che non comprendiamo perché siamo
coerenti con ciò che in noi è più nobile. La morte degli innocenti
è qualcosa che ci scandalizza: la teniamo in mano in attesa che Dio
ci faccia capire. Questo mistero di Dio in Gesù Cristo si semplifica
rientrando in questa legge semplice - tanto semplice che non ci
sarebbe bisogno di altre parole - e insieme profondissima che chi
entra nell'umana tribolazione per amore dei fratelli sa chi è Dio.
La conoscenza di Dio quindi non è una conoscenza che si svolge al di
fuori, ma dentro questa discesa negli inferi della condizione umana.
Discende agli inferi vuol dire discendere nei sepolcri, non andare in
qualche sceol, o in qualche inferno di dantesca struttura, vuol dire
scendere nella condizione infera. Se voi andate al cimitero, ecco gli
inferi! Dio scende nel sepolcro, scende dove scende l'uomo È per
questo che noi dobbiamo liberaci dai moduli, che pur ci riafferrano,
come la struttura religiosa convenzionale e la struttura razionale di
Dio, per ritrovare il luogo che Dio ha stabilito come luogo di
cognizione.
È il luogo in cui conosciamo anche l'uomo. Ecco perché
le due conoscenze sono una cosa sola. Quando nel linguaggio teologico
antico, un po' solenne, e quindi di poca risonanza in noi, diciamo
che Gesù Dio e l'uomo sono una sola persona, vogliamo dire questo:
che la condizione umana e la condizione di Dio si manifestano nello
stesso momento, nello stesso evento. I due versanti del mistero,
quello del Dio innominabile e quello dell'uomo inesplicabile, si
manifestano in un solo evento. E questa la verità della fede. Ecco
perché, dopo venti secoli, siamo qui con la stessa tenebra, senza
aver acquisito una ragione in più per credere, senza averne perduta
nemmeno una. Naturalmente altre difficoltà sono nate in noi, ma esse
sono difficoltà relative a questo mutamento permanente della
coscienza, stretta com'è nelle rappresentazioni del mondo. La nostra
rappresentazione del mondo è molto omogenea a questa solitudine di
Gesù. Gli antichi potevano pensare ad un'altra dimensione
dell'esistenza, che traducevano in simboli sacri, tra i quali
vivevano con più agilità che non nella realtà del quotidiano. Per
noi quel mondo di simboli sacri si è come scomposto, si è dissolto.
Come Gesù dopo la Trasfigurazione, noi siamo solo dei poveri uomini,
dei poveri cristi. Non abbiamo nemmeno voglia di chiedere
apparizioni. Ci rimane l'umano. Questo umano non altro da Dio. È qui
dentro, in questa pietra che, se guardate bene, sfavilla il frammento
d'oro. Spaccate e trovate la scintilla che chiamo Dio, il mistero di
Dio di Abramo diventato però prossimo a noi, interno alla nostra
esperienza umana.
Ernesto Balducci – da: “ Il Vangelo
della Pace " vol 2 anno B
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento