Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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sabato 3 febbraio 2018
Tra le città il vuoto (bozzetti dalla Turchia)
Un viaggio dalla 9.45 alle 22.20. Calcolate un po voi le ore! Nel bus super attrezzato in cui ci troviamo (la Turchia è meglio di noi organizzata in linee bus, stazioni, mezzi moderni) lo schermo nel suo obliquo star di fronte a me ha fatto girare almeno 5 film. Ne aggiungerei un altro sommando le pause, le soste ed i controlli. Normalmente il Wi-Fi funziona ma oggi no, grazie!
Abbiamo lasciato kirsheir, passato Kaiseri (Cesarea) e poi iniziato il percorso sull'altipiano innevato, brullo e sassoso. Qualche casa sparsa e tante fabbriche di estrazione per sassi e ghiaia. Quando inizieremo a scendere, prima di passare per amasya con le sue rocche illuminate di notte, abbiamo incrociato una fabbrica di cemento imponente, nonché primo luogo dove le case si addensano abbastanza da creare una cittadina. Qua e là prima di samsun anche un paio di Cittadelle universitarie.
Ma sull'altipiano c'è il vuoto tra le città!
Niente sembra descrivere meglio la situazione dei profughi che incontriamo in questi giorni: anche se collocati in grandi città, rigorosamente senza presenza di chiese che gli diano identità (c'è chi la domenica fa 350 km per venire qui a samsun per la messa!), si trovano un vuoto intorno che non è fatto da spazi vuoti (sarebbe un po una melanconia alla Friederich), ma da quei tempi incalcolabili che sono i mesi, gli anni di attesa prima di ottenere un visto per andare all'estero, e quindi la risposta di un paese che li accolga come rifugiati dandogli un passaporto. Da noi in Italia questo praticamente non può avvenire. Lo fanno semmai in Svezia o Germania, o nei paesi più richiesti di Australia o Canada.
Aspettano due tre cinque anni. Non si sa! Quanto tempo potrei aspettare io che già mi stanco di soli 13 ore di viaggio? Come puoi pensare alla vita, agli studi, al lavoro, alla famiglia senza sapere dove sarai a vivere tra un mese o tra un anno? Dove seppellire i propri morti? Eppure questo è l'orizzonte nel quale si muovono tutti i profughi. Non dimentichiamoci di questo, che a volte crea anche equivoci e ambiguità con il volontariato specializzato in fughe da guerra! Lo spazio vuoto c'è, va riempito ma con quella materia prima indispensabile prima di ogni altra che è la prossimità.
Don Francesco Ondedei
Abbiamo lasciato kirsheir, passato Kaiseri (Cesarea) e poi iniziato il percorso sull'altipiano innevato, brullo e sassoso. Qualche casa sparsa e tante fabbriche di estrazione per sassi e ghiaia. Quando inizieremo a scendere, prima di passare per amasya con le sue rocche illuminate di notte, abbiamo incrociato una fabbrica di cemento imponente, nonché primo luogo dove le case si addensano abbastanza da creare una cittadina. Qua e là prima di samsun anche un paio di Cittadelle universitarie.
Ma sull'altipiano c'è il vuoto tra le città!
Niente sembra descrivere meglio la situazione dei profughi che incontriamo in questi giorni: anche se collocati in grandi città, rigorosamente senza presenza di chiese che gli diano identità (c'è chi la domenica fa 350 km per venire qui a samsun per la messa!), si trovano un vuoto intorno che non è fatto da spazi vuoti (sarebbe un po una melanconia alla Friederich), ma da quei tempi incalcolabili che sono i mesi, gli anni di attesa prima di ottenere un visto per andare all'estero, e quindi la risposta di un paese che li accolga come rifugiati dandogli un passaporto. Da noi in Italia questo praticamente non può avvenire. Lo fanno semmai in Svezia o Germania, o nei paesi più richiesti di Australia o Canada.
Aspettano due tre cinque anni. Non si sa! Quanto tempo potrei aspettare io che già mi stanco di soli 13 ore di viaggio? Come puoi pensare alla vita, agli studi, al lavoro, alla famiglia senza sapere dove sarai a vivere tra un mese o tra un anno? Dove seppellire i propri morti? Eppure questo è l'orizzonte nel quale si muovono tutti i profughi. Non dimentichiamoci di questo, che a volte crea anche equivoci e ambiguità con il volontariato specializzato in fughe da guerra! Lo spazio vuoto c'è, va riempito ma con quella materia prima indispensabile prima di ogni altra che è la prossimità.
Don Francesco Ondedei
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