Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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martedì 27 febbraio 2018

Irritazione e risentimento oppure prossimità che salva? (le parole di Mons.Delpini per la Quaresima)


Dal discorso per la Quaresima dell'Arcivescovo di Milano, Mario Delpini




Sento anch’io il gemito. Anch’io indovino il sospiro. Il gemito e il sospiro di quest’uomo, di questa donna, il gemito e il sospiro di popoli interi, il gemito e il sospiro della creazione. C’è un incompiuto che sospira il compimento. L’incompiuto degli affetti, di quell’amore che non è abbastanza amore, di quel curarsi della gioia delle persone amate che non è abbastanza per dare gioia, di quella vita che non è abbastanza vita. Sento il sospiro dell’incompiuto.


C’è il tormento che fa gemere perché è troppo il male, è troppo il soffrire: quando la carne è invasa da un male che è troppo male, quando la casa e i rapporti più cari sono travolti a una cattiveria che è troppo cattiva, quando sul paese amato e sul popolo che è il mio popolo si abbatte una tragedia che è troppo tragica. Sento il gemito e lo strazio del troppo soffrire.

Chi ascolta il gemito e il sospiro sente crescere in sé una rabbia, una esasperazione, una ribellione. Sente nascere la voglia di invocare un qualche fulmine che incenerisca la mano ostile, l’accanimento crudele, l’oppressore insopportabile. Sente nascere la voglia, l’istinto di invocare un qualche diluvio che lavi via il male dalla terra, un qualche intervento risolutivo che difenda l’indifeso, che umili l’arrogante, che faccia pagare il giusto a chi è stato troppo ingiusto.

Si sente nascere dentro un’impazienza, una insofferenza, un risentimento verso un cielo muto, verso una storia ostile, verso un’umanità insopportabile. Invocheremo un fulmine? invocheremo un diluvio? Secondo la parola del profeta, l’Alto e l’Eccelso che ha una sede eterna e il cui nome è santo dichiara: In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi.


L’Alto e l’Eccelso, il Dio Altissimo, non sta dunque in un cielo inaccessibile, non si è estraniato in una indifferenza imperturbabile. È invece coinvolto nella vicenda dei suoi figli, è appassionato e prova tristezza per chi se ne è andato per le strade del suo cuore, condivide la sorte degli oppressi e degli umiliati. Egli è Dio e non uomo, lo strazio per le sofferenze degli umili non lo induce all’irritazione e al risentimento, ma alla prossimità che salva.

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