Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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martedì 31 ottobre 2017
Un buon pastore non si vergogna di toccare la carne ferita (papa Francesco a Santa Marta)
Il Pontefice commenta l’episodio
evangelico della guarigione della donna, raccontato da San Luca. In
sinagoga, di sabato, Cristo incontra una donna che non può stare
diritta – riporta il Vescovo di Roma, come riferisce Radio Vaticana
- per una «malattia della colonna che da anni la tratteneva così».
Gesù «impose le mani su di lei e la guarì». È un’azione di
vicinanza vera, concreta. Al contrario i chierici, dottori della
Legge, i farisei, i sadducei, stanno separati dal popolo, sgridandolo
continuamente. Puntualizza il Papa: queste persone non sono buoni
pastori, stanno chiusi nel proprio gruppo e non si interessano alla
gente. Per Francesco «forse importava loro, quando finiva il
servizio religioso, andare a vedere quanti soldi c’era nelle
offerte».
Il Figlio di Dio «aveva questa
capacità di commuoversi davanti alla malattia, era un buon pastore.
Un buon pastore si avvicina e ha capacità di commuoversi. E io dirò,
il terzo tratto di un buon pastore è non vergognarsi della carne,
toccare la carne ferita, come ha fatto Gesù con questa donna:
“toccò, impose le mani”, toccò i lebbrosi, toccò i peccatori».
L’Evangelista utilizza cinque verbi per descrivere la prossimità
che attua Gesù: la vide, la chiamò, le disse, «impose le mani su
di lei e la guarì». Sottolinea Francesco: «Un buon pastore è
vicino, sempre».
Aggiunge: un buon pastore non pronuncia
certe parole: «Ma sì, sta bene... Sì, sì, io sono vicino a te
nello Spirito», perché questa è lontananza dalle persone. Ma
compie ciò «che ha fatto Dio Padre, avvicinarsi, per compassione,
per misericordia, nella carne del suo Figlio».
Il Signore insegna come si deve
comportare, come è chiamato a essere, il buon pastore: abbassarsi,
annientarsi, assumendo la condizione di servo. Ma, «”e questi
altri, quelli che seguono la strada del clericalismo, a chi si
avvicinano?” – riflette il Papa - Si avvicinano sempre o al
potere di turno o ai soldi. E sono i cattivi pastori. Loro soltanto
pensano come arrampicarsi nel potere, essere amici del potere e
negoziano tutto o pensano alle tasche. Questi sono gli ipocriti,
capaci di tutto. Non importa del popolo a questa gente. E quando Gesù
dice loro quel bell’aggettivo che utilizza tante volte con questi,
“ipocriti”, loro si sono offesi: “Ma noi no, noi seguiamo la
legge”».
È una «grazia per il popolo di Dio
avere dei buoni pastori, pastori come Gesù, che non si vergognano di
toccare la carne ferita, che sanno che su questo - non solo loro,
anche tutti noi - saremmo giudicati: ero affamato, ero in carcere,
ero ammalato… I criteri del protocollo finale sono i criteri della
vicinanza, i criteri di questa vicinanza totale, a toccare, a
condividere la situazione del popolo di Dio». raccomanda Papa
Bergoglio: «Non dimentichiamo questo: il buon pastore si fa vicino
sempre alla gente, sempre, come Dio nostro Padre si è fatto vicino a
noi, in Gesù Cristo fatto carne»
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