Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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mercoledì 18 ottobre 2017

Fame e guerre non sono una malattia incurabile: Papa Francesco alla FAO

la statua per non dimenticare la morte di Aylan bimbo siriano
Papa Francesco ha visitato la FAO (Food and Agriculture Organization dell’Onu) a Roma in occasione della celebrazione della Giornata mondiale dell’Alimentazione, quest’anno dedicata al tema: «Cambiare il futuro della migrazione. Investire nella sicurezza alimentare e nello sviluppo rurale».

«Certamente guerre e cambiamenti climatici determinano la fame, evitiamo dunque di presentarla come una malattia incurabile», ha detto Francesco che al riguardo ha puntato il dito contro le «speculazioni» sulle risorse alimentari, che «favoriscono i conflitti e gli sprechi» e fanno aumentare «le file degli ultimi della terra che cercano un futuro fuori dai loro territori di origine. Di fronte a tutto questo – ha proseguito il Papa – possiamo e dobbiamo cambiare rotta. Di fronte all’aumento della domanda di alimenti è indispensabile che i frutti della terra siano disponibili per tutti. Per qualcuno basterebbe diminuire il numero delle bocche da sfamare e risolvere così il problema; ma è una falsa soluzione se si pensa ai livelli di spreco di alimenti e a modelli di consumo che sprecano tante risorse. Ridurre è facile, condividere invece impone una conversione, e questo è impegnativo».

Appello accorato a favore dei migranti in fuga dalla fame: «Non potranno essere fermate da barriere fisiche, economiche, legislative, ideologiche», ha detto Francesco, che ha chiesto alla diplomazia di non «trincerarsi dietro ai sofismi linguistici», sostenendo il patto mondiale promosso dall’Onu per una migrazione sicura, regolare e ordinata, e alla sede della Fao ha regalato una statua del piccolo rifugiato siriano Aylan morto su una spiaggia nel suo viaggio verso l’Europa. «È troppo – ha domandato Francesco – pensare di introdurre nel linguaggio della cooperazione internazionale la categoria dell’amore, declinata come gratuità, parità nel trattare, solidarietà, cultura del dono, fraternità, misericordia?».
Dal Papa una stoccata implicita al presidente Usa Donald Trump, in merito all’accordo sul clima di Parigi dal quale «purtroppo alcuni si stanno allontanando», e un’esortazione a «buona volontà e dialogo per fermare i conflitti» e per «un disarmo graduale e sistematico».

Segue un approfondimento


Su questo sfondo, «lo scenario delle relazioni internazionali mostra una capacità crescente di dare risposte alle attese della famiglia umana, anche con l’apporto della scienza e della tecnica, le quali, studiando i problemi, propongono soluzioni adeguate. Eppure questi nuovi traguardi non riescono ad eliminare l’esclusione di gran parte della popolazione mondiale: quante sono le vittime della malnutrizione, delle guerre, dei cambiamenti climatici? Quanti mancano del lavoro e dei beni essenziali e si vedono costretti a lasciare la loro terra, esponendosi a molte e terribili forme di sfruttamento?».

«La relazione tra fame e migrazioni può essere affrontata solo se andiamo alla radice del problema», ha detto il Papa. «A questo proposito, gli studi condotti dalle Nazioni Unite, come pure da tante Organizzazioni della società civile concordano nel dire che sono due gli ostacoli principali da superare: i conflitti e i cambiamenti climatici».

«Come si possono superare i conflitti?», innanzitutto, ha detto Francesco, citando per esempio «popolazioni martoriate da guerre che durano ormai da decenni e che potevano essere evitate o almeno fermate, e invece propagano i loro effetti disastrosi tra cui l’insicurezza alimentare e lo spostamento forzato di persone. Occorrono – ha notato Jorge Mario Bergoglio – buona volontà e dialogo per frenare i conflitti, e bisogna impegnarsi a fondo per un disarmo graduale e sistematico, previsto dalla Carta delle Nazioni Unite, come pure per porre rimedio alla funesta piaga del traffico delle armi. A che vale denunciare che a causa dei conflitti milioni di persone sono vittime della fame e della malnutrizione, se non ci si adopera efficacemente per la pace e il disarmo?».

Quanto ai cambiamenti climatici, «ne vediamo tutti i giorni le conseguenze. Grazie alle conoscenze scientifiche, sappiamo come i problemi vanno affrontati; e la comunità internazionale è andata elaborando anche strumenti giuridici necessari, come per esempio l’Accordo di Parigi, dal quale, però – ha rimarcato Francesco in evidente riferimento al presidente degli Stati Uniti Donald Trump – purtroppo (“por desgracia” in spagnolo, ndt) alcuni si stanno allontanando. Riemerge la noncuranza verso i delicati equilibri degli ecosistemi, la presunzione di manipolare e controllare le limitate risorse del pianeta, l’avidità di profitto. È pertanto necessario lo sforzo per un consenso concreto e fattivo se si vogliono evitare effetti più tragici, che continueranno a gravare sulle persone più povere e indifese. Siamo chiamati a proporre un cambiamento negli stili di vita, nell’uso delle risorse, nei criteri di produzione, fino ai consumi che, per quanto riguarda gli alimenti, vedono perdite e sprechi crescenti. Non possiamo rassegnarci a dire “ci penserà qualcun altro”».

«Mi pongo – e vi pongo – questa domanda», ha scandito il Papa: «È troppo pensare di introdurre nel linguaggio della cooperazione internazionale la categoria dell’amore, declinata come gratuità, parità nel trattare, solidarietà, cultura del dono, fraternità, misericordia? In effetti, queste parole esprimono il contenuto pratico del termine “umanitario”, tanto in uso nell’attività internazionale. Amare i fratelli e farlo per primi, senza attendere di essere corrisposto: è questo un principio evangelico che trova riscontro in tante culture e religioni e diventa principio di umanità nel linguaggio delle relazioni internazionali». Per Francesco, «amare vuol dire contribuire affinché ogni Paese aumenti la produzione e giunga all’autosufficienza alimentare. Amare si traduce nel pensare nuovi modelli di sviluppo e di consumo, e nell’adottare politiche che non aggravino la situazione delle popolazioni meno avanzate o la loro dipendenza esterna. Amare significa non continuare a dividere la famiglia umana tra chi ha il superfluo e chi manca del necessario».

La comunità internazionale, ha detto ancora il Papa, è consapevole delle armi di distruzione di massa, ma «siamo ugualmente consapevoli degli effetti della povertà e dell’esclusione?», ha domandato. «Come fermare persone disposte a rischiare tutto, intere generazioni che possono scomparire perché mancano del pane quotidiano, o sono vittime di violenza o di mutamenti climatici? Si dirigono dove vedono una luce o percepiscono una speranza di vita. Non potranno essere fermate da barriere fisiche, economiche, legislative, ideologiche: solo una coerente applicazione del principio di umanità potrà farlo. E invece diminuisce l’aiuto pubblico allo sviluppo e le Istituzioni multilaterali vengono limitate nella loro attività, mentre si ricorre ad accordi bilaterali che subordinano la cooperazione al rispetto di agende e di alleanze particolari o, più semplicemente, ad una tranquillità momentanea. Al contrario, la gestione della mobilità umana – ha rimarcato il Papa – richiede un’azione intergovernativa coordinata e sistematica, condotta secondo le norme internazionali esistenti e permeata da amore e intelligenza. Il suo obiettivo è un incontro di popoli che arricchisca tutti e generi unione e dialogo, e non esclusione e vulnerabilità».

«Qui – ha aggiunto il Papa – permettetemi di collegarmi al dibattito sulla vulnerabilità che a livello internazionale divide quando si parla dei migranti. Vulnerabile è colui che è in condizione di inferiorità e non può difendersi, non ha mezzi, vive cioè una esclusione. E questo perché è costretto dalla violenza, da situazioni naturali o peggio ancora dall’indifferenza, dall’intolleranza e persino dall’odio. Di fronte a questa condizione è giusto identificare le cause per agire con la necessaria competenza. Ma non è accettabile, che per evitare di impegnarsi, ci si trinceri dietro a sofismi linguistici che non fanno onore alla diplomazia ma la riducono, da “arte del possibile”, a un esercizio sterile per giustificare egoismi e inattività. È auspicabile che di tutto questo si tenga conto nell’elaborazione del Pacto mundial para una migración segura, regular y ordenada, in corso in questo momento in seno alle Nazioni Unite».

«Prestiamo ascolto al grido di tanti nostri fratelli emarginati ed esclusi: “Ho fame, sono forestiero, nudo, malato, rinchiuso in un campo profughi”», ha detto il Papa. «È una domanda di giustizia, non una supplica o un appello di emergenza. È necessario un ampio e sincero dialogo a tutti i livelli perché emergano le soluzioni migliori e maturi una nuova relazione tra i diversi attori dello scenario internazionale, fatta di responsabilità reciproca, di solidarietà e di comunione. Il giogo della miseria generato dagli spostamenti spesso tragici dei migranti, può essere rimosso mediante una prevenzione fatta di progetti di sviluppo che creino lavoro e capacità di riposta alle crisi climatiche e ambientali. La prevenzione costa molto meno degli effetti provocati dal degrado dei terreni o dall’inquinamento delle acque, effetti che colpiscono le zone nevralgiche del pianeta dove la povertà è la sola legge, le malattie sono in crescita e la speranza di vita diminuisce».

«L’augurio – ha concluso il Papa, suscitando una standing ovation, dopo aver ricordato l’impegno della Chiesa – è che ciascuno scopra, nel silenzio della propria fede o delle proprie convinzioni, le motivazioni, i principi e gli apporti per dare alla FAO e alle altre Istituzioni intergovernative il coraggio di migliorare e perseverare per il bene della famiglia umana».



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