Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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lunedì 8 gennaio 2018

Violenza e guerra nel mondo d'oggi - parte 2 di 3 (di d.Francesco Ondedei)

Come l'uomo si può orientare nella realtà contemporanea.
Violenza e guerra nel mondo d'oggi
(2)
 di don Francesco Ondedei

Io piuttosto che parlarvi di crisi di valori o di analisi di aerei in caduta libera (penso che vi basti rivedere il bellissimo film L'odio (La Haine) di Mathieu Kassovitz), vorrei parlarvi di quest'altro uomo. Per non cadere in sterili visione di un dover-essere che non contribuiscono a nessun nostro passo in avanti. È il rischio che si corre se si vuole restare su posizioni di contrapposizione tra ciò che è positivo o negativo nella nostra storia. Jameson autore di un testo sulla cultura del nostro tardo-capitalismo, dal titolo “Il Postmoderno”, scrive che “la denuncia morale indignata è un lusso ormai non più praticabile” e questo perchè non occupiamo più una posizione degna di essere definita “distanza critica” per pretendere di avere un giudizio oggettivo sulle cose tale da diventare regola per tutti. Io vorrei provare a parlarvi invece di un uomo. Un altro uomo. Anzi, altri uomini!


Tempo fa leggendo un'intervento di Antoine Courban, docente all’Università Saint Joseph di Beirut,

Oggi è l’odio che sembra dominare. La maggioranza delle ideologie contemporanee sono utopie negative, ispirate dall’odio.
Tutti gli antropologi e gli psicologi conoscono il carattere iniziale dell’odio sotto la forma di «narcisismo primario», fase iniziale e indispensabile dello sviluppo dell’individuo.

Pertanto oggi, il lungo apprendimento dell’alterità e la sua umanizzazione sembrano attenuarsi. L’odio non si vergogna più di nascondersi dietro la retorica, sembra quasi divenuto il principio di una morale nuova: «Odio, dunque sono».

Di fronte a questa prospettiva negativa, Courban inizia a parlare di padre Paolo dall'Oglio, il gesuita tuttora in condizione di rapito in Siria dal 29 luglio 2013, ormai due anni fa!

Per parlare di questo Oriente che è quello di padre Paolo Dall’Oglio, voglio rendere omaggio alla sua opera come testimonianza in favore dell’umanesimo integrale, né teocentrico né antropocentrico. Un umanesimo nel quale l’uomo non è schiavo di Dio né suo rivale. L’umanesimo integrale, nella fedeltà all’incarnazione, riconcilia nell’uomo il cielo e la terra, e costituisce la pietra angolare dell’ordine politico di domani in un mondo travolto dalla spirale dell’odio. Questa a mio avviso è la pietra angolare del messaggio di padre Paolo.

Di un loro comune amico Courban riferisce
Ciò che sorprese maggiormente il mio amico è che Paolo, questo straniero, aveva potuto impregnarsi dello spirito del levante installandosi nel deserto, in un monastero dimenticato, del quale aveva fatto una fortezza del dialogo, della tolleranza, della riconciliazione e dell’amore per l’altro.

A questo punto, per continuare a parlare di padre dall'Oglio e della situazione di violenza subita dai cristiani, Courban inizia a parlare di una lettera cristiana assai antica, la cosiddetta Lettera a Diogneto.
La Lettera dice: «Ciò che l'anima è nel corpo, i cristiani sono nel mondo».
Pertanto, la loro unica preoccupazione è quella di mantenere la coesione del corpo, fare ogni sforzo per garantire che tutti i suoi componenti siano strutturati armoniosamente per il bene comune.
E quello che padre Paolo chiamava il «vivere personalmente e individualmente il proprio battesimo».

I cristiani della Lettera a Diognetes non reclamano per se stessi alcuna distinzione specifica.
«I cristiani non si distinguono dal resto degli uomini né per il loro paese, né per la loro lingua, né per loro specifici modi di vivere: non hanno altre città che la vostra, non hanno altra lingua che la vostra, né abitudini singolari».
Dove vivono «si conformano agli usi che trovano stabiliti, ma pongono sotto gli occhi di tutti il sorprendente spettacolo della loro vita difficile da credere».

L’autore indica una scala di valori morali che, fondati sul significato di assemblea e solidarietà, conferiscono al gruppo cristiano la sua originalità.
«Abitano le loro città come stranieri, ma prendono parte a tutto come cittadini».
«Soggetti alle leggi vigenti, sono nelle loro vite superiori a tali leggi. Amano tutti e tutti li perseguitano».
Così era per padre Paolo, lo straniero totalmente a casa sua in Siria per via della sua fede cristiana, che gli ha fatto apprendere la dolcezza infinita di Gesù di Nazareth , sempre definitosi il figlio dell’uomo.

Grazie a Marie Peltier, riferisco alcune parole di padre Paolo: «Rifiuto il proselitismo perché contradicce la dolcezza del mio maestro di Nazareth. …Per me l’universalismo non è sbagliato quando non è violento. Ma lo può diventare cosi se non sa percepire la bellezza della tradizione altrui, se non se ne innamora, e se oppone l’universalismo cristiano all’universalismo musulmano».

Chiedo scusa se vi sono sembrate troppo diffuse queste citazioni, ma mi sembrano importanti: non si tratta solo della speranza che ci invade sentendo parlare di quest'uomo, padre Paolo, di cui in realtà non sappiamo se sia ancora vivo o una delle migliaia di vittime abbandonate in qualche fosso della Siria. C'è il fatto che la vita immaginata da padre Paolo trova consonanza con un testo databile circa al 150 dopo Cristo, 1850 anni fa! Un testo che parte dai Vangeli di certo, eppure configura un modo di immaginare le cose che non troviamo espresso mai così nei testi canonici.

Credo – e non è solo mia opinione – che in questo tempo che viviamo non possiamo continuare semplicemente a cercare delle cartine stradali per capire come muoverci. Una cartina o ti dice poco o ti dice troppo. Le cartine funzionano meglio se c'è una esperienza. È quanto in una lettera esprime bene don Lorenzo Milani, quando oppone all'ipotetico amore universale, in cui non crede, l'amore particolarissimo per quelle persone che ci sono più prossime. Lo stesso testamento che lascia ai suoi, non è altro che una narrazione di come la vita di fede è stata per lui esattamente quella che aveva vissuta coi suoi ragazzi:

Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, non ho punti debiti verso di voi, ma solo crediti. Verso l'Eda invece ho solo debiti e nessun credito. Traetene le conseguenze sia sul piano affettivo che su quello economico.
Un abbraccio affettuoso, vostro Lorenzo
P. S. Quando ho scritto che non ho nessun debito verso di voi facevo per dire.
Cari altri, non vi offendete se non vi ho rammentato. Questo non è un documento importante, è solo un regolamento di conti di casa. Le cose che avevo da dire le ho dette da vivo fino a annoiarvi.
Un abbraccio affettuoso, vostro Lorenzo
Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, non è vero che non ho debiti verso di voi. L'ho scritto per dar forza al discorso!
Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto.
Un abbraccio, vostro Lorenzo

Don Lorenzo ci spiazza: prima ci racconta come stanno le cose e poi dice che invece, NO! Le cose stanno in altro modo. È come se ci facesse vedere la cartina stradale, ci mostri come si possano seguirne le indicazioni, ma poi la getti via. Di fronte alla violenza noi siamo trattenuti in una condizione di sguardo che vive di due contrapposte tensioni: o continuare a guardare per sapere e non dimenticare, oppure volgere lo sguardo altrove per non vedere ed evitare di conoscere quali limiti l'uomo possa oltrepassare in dis-umanità. E facciamo fatica a capire quale delle due sia più eticamente desiderabile. Abbiamo una cartina in mano, ma non comprendiamo come utilizzarla, perché ogni sentiero tracciabile ci può sembrare altrettano appetibile, altrettanto evitabile.

per completare la lettura de la parte 1 e parte 3 cliccate sulle scritte evidenziate

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