Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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martedì 23 gennaio 2018
Vivere da straniero il Vangelo (intervista a padre Paolo Bizzeti)
Monsignor Paolo Bizzeti, gesuita,
succeduto a monsignor Padovese* dopo un intervallo assai lungo, avendo
preso possesso della cattedrale di Iskenderun il 29 novembre del
2015. «È vero – dice il vicario apostolico – sono occorsi più
di 5 anni per colmare quel vuoto, cosa che non ha mancato di
aggravare lo choc della comunità cristiana locale. Certo, in una
situazione di estrema scarsità di risorse umane e finanziarie non
era facile trovare un successore. Ma si è anche sottovalutata
l’importanza di assicurare una continuità alla presenza cristiana
in questa regione.
Forse si è pensato che la Turchia fosse ormai un
Paese islamizzato, chiuso, anche se in tutti questi anni le comunità
cristiane e i religiosi hanno potuto continuare il loro servizio.
Insomma, è innegabile un certo ritardo da parte della nostra Chiesa
latina nel comprendere l’importanza della Turchia anche per il
cristianesimo di oggi, oltre che come luogo delle origini cristiane.
Qui siamo alla cerniera tra Oriente e Occidente, in un crocevia dove
i problemi dello sviluppo economico, dei modelli di civilizzazione,
della convivenza tra le fedi, sono molto sentiti. È quindi
importante che la Santa Sede continui a investire su questo Paese.
Cosa che infatti è avvenuta negli ultimi anni, in cui sono arrivati
tre nuovi vescovi e un nuovo nunzio, monsignor Paul Fitzpatrick
Russell, persona dinamica che ama questo Paese».
Caratteristica, questa, che è anche di
monsignor Bizzeti. Fiorentino, nato nel 1947, nella Compagnia di Gesù
dal 1966, già docente di Teologia spirituale presso la Facoltà
teologica del Triveneto, padre Paolo (così continua a chiamarlo chi
lo conosce meglio) è un profondo conoscitore della Turchia, cui ha
dedicato diversi libri e guide, ed è anche fondatore
dell’associazione 'Amici del Medio Oriente' (Amo). «Questi due
anni di missione in Turchia – dice – sono stati una grazia di
Dio. Essere straniero in un Paese e viverci da cristiano ti aiuta a
vivere il Vangelo. La mia fede è cresciuta, si è approfondita.
Direi, anzi, che un’esperienza di vita in missione dovrebbe essere
messa nel curriculum di formazione di un prete, perché aiuta a
cogliere i limiti del tuo mondo, della tua cultura, della tua Chiesa
e a fortificare le tue motivazioni. Poi qui siamo a stretto contatto
con l’altro per eccellenza della nostra epoca, l’islam, ed è una
provocazione forte, perché trovi persone che hanno serietà morale e
credono in Dio e ti spingono a farti nuove domande. Ed è
un’esperienza forte anche essere parte di una minoranza che non
conta nulla. Io sono un vescovo ma non ho niente, non sono nemmeno
riconosciuto nel mio rango e nella mia identità. Il che spinge
dolcemente a ripensare molte cose».
La Chiesa latina, però, sconta una
debolezza: non ha riconoscimento ufficiale da parte dello Stato
turco. Che invece altre Chiese hanno. Fino a che punto è un
problema? «Nel Trattato di Losanna del 1923 il riconoscimento fu
previsto per le Chiese caldea, siriaca e armena. Si pensava che il
resto sarebbe stato messo a punto nei mesi successivi, cosa che
invece non avvenne anche per l’ignavia delle potenze occidentali. E
lì siamo rimasti. Il riconoscimento giuridico della Chiesa cattolica
latina come tale non è indispensabile, lo è invece quello delle
parrocchie, della Caritas e degli strumenti con cui la Chiesa
cattolica vive la sua vita pastorale».
Questa condizione genera problemi nelle
relazioni con le altre Chiese? «Tra noi non ci sono difficoltà ma i
nostri problemi non sono i loro, è chiaro. Alla fin fine la Chiesa
latina è in buona parte una Chiesa di stranieri e io stesso, come
vescovo, ogni anno devo ottenere il permesso di soggiorno. Il che è
paradossale, perché la Chiesa fondata sul Nuovo Testamento è qui da
sempre. Basti ricordare che i primi sette concilii ecumenici si sono
celebrati qui, in territorio turco. Il pericolo è proprio questo,
oggi: che si consideri il cristianesimo come qualcosa di 'straniero'
quando invece è originario di questo territorio, da duemila anni».
Monsignor Bizzeti ha usato un’espressione forte: 'una Chiesa di
stranieri'. E muovendomi tra Iskenderun, Antakya, Adana, Mersin, ho
trovato infatti sacerdoti e religiosi italiani, romeni, indiani,
nigeriani, e un solo turco. Ma il vescovo ha in mente un’altra
accezione, che supera le questioni di passaporto. «Da quando la
Chiesa latina ha ricominciato ad avere qui una presenza
significativa, cioè da circa due secoli, è mancato forse il
necessario sforzo di inculturazione. Nelle parrocchie, nelle case
religiose, nelle scuole si è riproposto il modello delle Chiese
occidentali, quando invece sarebbe stato utile coniugare il
cristianesimo con la grande tradizione culturale turca. Inoltre, i
religiosi dei vari ordini sono stati benemeriti, hanno garantito il
servizio pastorale alle comunità cristiane locali, ma non c’è
stato un piano concertato che permettesse il nascere di una Chiesa
diocesana locale. Per certi aspetti la Chiesa latina in Turchia non
ha recepito la novità del Concilio Vaticano II».
Un tema importante, questo. Perché la
Turchia continua a cambiare, e a gran velocità. Il lungomare di
Iskenderun lo mostra in poche centinaia di metri. Un’enorme statua
di Atatürk, il padre della patria, circondato di soldati e bandiere.
Un centro commerciale di superlusso. Una grande moschea di fresca
costruzione. Dio, patria e dollaro, con l’accento su questo, quello
o quell’altro secondo le stagioni politiche. Una sfida ulteriore,
per la Chiesa latina. «I cambiamenti degli ultimi vent’anni sono
impressionanti – dice monsignor Bizzeti – . La Turchia si è
aperta alle dinamiche del libero mercato, si è abbandonata a una
certa euforia consumistica, ha vissuto una forte urbanizzazione,
tanto che oggi quasi metà dei turchi vive in poche grandi città. La
società turca è in grande movimento, tra molte difficoltà. La
Chiesa, di fronte a tutto questo, forse non è stata capace di
interpretare a fondo il cambiamento e di capire che esso offriva
anche grandi opportunità di rinnovamento per la stessa presenza
cristiana. La popolazione turca è aperta, non priva di pregiudizi ma
anche incuriosita dai cristiani, soprattutto i giovani. E forse ci
siamo interrogati poco su come farci conoscere. Non vogliamo fare
proselitismo ma abbiamo il dovere di farci conoscere per ciò che
siamo. È mancata la strategia pastorale, ma adesso ci stiamo
muovendo».
per leggere interamente l'articolo visitate il link di Avvenire
* Luigi Padovese, vicario apostolico
dell’Anatolia dall’11 ottobre 2004 al 3 giugno 2010, giorno in
cui fu assassinato dal suo autista, Murat Altun. Un delitto crudele
(monsignor Padovese fu decapitato) su cui non è mai stata fatta
piena luce, perché Altun soffriva di disturbi mentali ma negli
ultimi tempi aveva anche seguito un percorso di radicalizzazione
islamica. Una ferita profonda per i cristiani di Turchia, che si è
riaperta l’estate scorsa quando il giovane killer è uscito dal
carcere dopo aver scontato una pena assai mite.
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