Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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martedì 5 maggio 2020

5 maggio 2020 “E danzando canteranno: «Sono in te tutte le mie sorgenti»” (commento a Gv 10, 22-30)

Dal vangelo secondo Giovanni
Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».
Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Con l’indicazione di un’altra festa, l’evangelista inizia la narrazione dell’ultimo incontro di Gesù con i Giudei. L’inverno è calato nel calendario, e sant’Agostino annota: “Era inverno ed essi erano gelati; ma non facevano niente per avvicinarsi a quel fuoco divino!”. È anche il clima dell’ultimo interrogatorio che gli fanno, poi la sentenza la deciderà il Sinedrio a porte chiuse.

Del resto l’intimazione dei Giudei ha un carattere negativo che precede la risposta di Gesù: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». La risposta è implicita: egli non può essere il Messia, perché non corrisponde a quello che loro si aspettano. Le nostre attese impoveriscono la realtà delle persone che ci troviamo di fronte, scegliendo quelle che si identificano con noi, in cui possiamo scaldarci vicino ad una desiderata identità, oppure obbligandole alle nostre strettoie se vogliono compiacerci, infine semplicemente rifiutandole. Il primo pregiudizio ci riposa nel cuore: “Cosa può venire di buono da Nazareth?”.

La risposta di Gesù è disarmante per chi cerca lo scontro: «Ve l’ho detto, e non credete». Poi riassume i temi della fede: la testimonianza delle opere, la Scrittura. L’esito di ogni persona che lo incontra accogliendo la sua parola è riconoscere che Gesù ed il Padre sono una cosa sola. La fede che Gesù chiama in causa non è una fede nelle fazioni (povero Paolo, quando ai Corinti dovrà ricordare che non si è suoi o di Pietro, ma si è di Cristo!), ma un cammino di integrazione: riuscire a fare unità personalmente nella propria storia, umanamente nella dimensione spirituale dell’uomo, socialmente in pace e giustizia con l’amato prossimo, e per così dire divinamente nella fede entrando in questa comunione tra il Figlio ed il Padre.

Ieri all’incontro con studenti (rigorosamente ancora via web) ho chiesto con quali metafore esemplificherebbero questo tempo di distanziamento conseguenza della pandemia COVID19. La più frequente che si è letta negli articoli -ma da molti, me compreso, non condivisa- è stata la metafora bellica. Per alcuni aspetti è stata usata quella sanitaria della “ospedalizzazione totale”. Ieri i ragazzi -e non- ne hanno suggerite diverse: “La livella”, non in senso…definitivo, come se ne servì Totò. Il distanziamento ha prodotto delle regole che ci hanno spinto a sentirci uguali (anche se purtroppo è evidente che c’è una bella differenza tra un portico in centro e una villa sulle colline!). Potrebbe aiutarci a ripartire dalle basi umane comuni. Un ragazzo ha suggerito che la metafora potrebbe essere che…non c’è metafora! A nostra memoria, non c’è nulla di paragonabile a quanto sta avvenendo. In un tempo dove i mezzi tecnici sono avanzati e si offrono come capaci di soluzioni efficaci, comunque ci stiamo interrogando sulla nostra fragilità e speranza. Questo tempo, è esso stesso che sta diventando un punto di riferimento, nel momento stesso in cui si svolge. Un amico con qualche anno in più ha usato l’immagine della semina e del raccolto, azioni determinate anche dalla situazione di partenza delle persone, che avranno dunque accentuato o cambiato le proprie attitudini e ponendo in essere scelte -anche durante il distanziamento- che avranno conseguenze in futuro. Nel male, ma soprattutto, si spera, nel bene! Da ultimo tengo le parole di un missionario che partecipa il più del tempo tranquillo dalla sua poltrona, per poi uscire dal silenzio come quando una imponente testuggine tira fuori la propria testa dal guscio ed inizia a camminare con passi contati ma tutti significativi. “Ci sarà qualcosa di nuovo. Il Signore sogna qualcosa per noi. Adesso piange! Ma anche lui sogna. Cosa sogna il Signore?”.

Che ricchezza di idee e ampiezza di cuore ritrovo in queste persone, compagni di viaggio. Immagino che dentro il sogno di Dio ci sia questa profonda, amante, libera unità.

Donde

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