Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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sabato 30 maggio 2020
30 maggio 2020 “giusto è il Signore, ama le cose giuste” (commento a Gv 21, 20-25)
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?».
Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.
"Quando morirò, e con me tutte le persone che ho conosciuto, é come se non fossi mai esistito, per cosa e per chi avrò fatto la differenza?". Questo è il pensiero triste e spietatamente sincero di Warren Schmidt al termine di un film (“A proposito di Schmidt”) che tocca le tappe di un uomo, che noi chiameremmo piccolo-borghese, al tramonto della sua vita (“morire tra venti anni anni o tra un’ora che differenza farà?” si chiede). Vive ad Omaha nel Nebraska, sul fiume Missouri, snodo di una delle vie carovaniere verso l’ovest dei pionieri in America del Nord. Si mette in marcia anche lui, dopo una serie di momenti che scuotono e frangono l’algido equilibrio che era la sua vita: il pensionamento da vice del vicedirettore di una compagnia assicurativa che non ha più bisogno dei suoi calcoli sulla vita delle persone. La morte improvvisa di sua moglie che voleva intraprendere con lui dei viaggi con un nuovo super-camper, ma della quale scopre che forse non era mai andato più a fondo di un onesto affetto carico di non detti e senza dialogo. Il matrimonio dell’adorata e idealizzata figlia residente in un altro stato e che non vuole sentirsi dire che sta per sposare un imbecille, che scopriamo essere più che altro una persona semplice, anche lui consapevole di una vita che, per scelta o per incapacità, si ferma agli strati epidermici dell’esistere. Unica cosa che quasi per occupare il tempo inizia a fare è una corrispondenza e sostegno in danaro ad un bimbo africano che alla fine si dimostra essere forse proprio ciò che “fa la differenza”.
Interessante che al termine del suo vangelo, Giovanni metta questa nota iperbolica sulla impossibilità di contenere in un testo scritto tutte le opere compiute da Gesù durante la sua vita incarnata, terrena. Certo che il significato più noto è quello che saremo noi a continuare la scrittura con le nostre vite. Ma forse possiamo tematizzare meglio questa idea, che detta così e basta sembra un tantinello frasetta da foglietto di cioccolatino, una versione cristiana dei giapponesi biscotti della fortuna. Come fai a raccontare una vita? Quanti libri occorrono? Come occorre raccontare/vivere la propria vita per fare la differenza? Simone e Giovanni forse ne indicano la traccia.
I versetti appena precedenti fanno un confronto: c’è Simon Pietro, a cui il gregge viene affidato da pascere, attraverso, non dimentichiamo, quella domanda “Tu mi ami?”. C’è poi l’altro discepolo “che Gesù amava”, presentato nei racconti pasquali come il modello del discepolo credente, più profetico e pronto di Pietro nel riconoscere il Signore (cfr Gv 20,2-10; 21,7). Personaggio reale, diviene anche simbolo, all’interno della chiesa, di quanti con la fede e nella carità sanno riconoscere prontamente il Signore. Lontano dall’esprimere soltanto una tensione tra apostolato e profezia, tra istituzione e carisma, il vangelo si chiude su una vita, quella cristiana, quella di ogni battezzato, che richiama ogni compito affidato nella comunità ad essere non esercizio di potere ma espressione di santità, se volessimo, per così dire, provare a declinare il termine profezia. Una santità non fatta di altari e grazie estorte, ma di umiltà e dono. Per scardinare i grandi portoni che chiudono l’accesso alla vita per tanti, a volte la differenza la può fare un piccolo cuneo ben posizionato da qualche parte, invisibile, semplice, dirompente. E torneremo a sperare e dare speranza.
Lasciamoci stimolare dai segni di santità che il Signore ci presenta attraverso i più umili membri di quel popolo che «partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di Lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità». Pensiamo, come ci suggerisce santa Teresa Benedetta della Croce, che mediante molti di loro si costruisce la vera storia: «Nella notte più oscura sorgono i più grandi profeti e i santi. Tuttavia, la corrente vivificante della vita mistica rimane invisibile. Sicuramente gli avvenimenti decisivi della storia del mondo sono stati essenzialmente influenzati da anime sulle quali nulla viene detto nei libri di storia. E quali siano le anime che dobbiamo ringraziare per gli avvenimenti decisivi della nostra vita personale, è qualcosa che sapremo soltanto nel giorno in cui tutto ciò che è nascosto sarà svelato». (Gaudete et Exsultate, n. 8)
Verrebbe da aggiungere, sorelline e fratellini, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro nei cieli.
Donde
PS: siamo arrivati alla conclusione di questo tempo di commento, domani concluderò questo lungo cammino che dapprima il 12, poi quotidianamente dal 17 marzo, ha segnato tutto il periodo di isolamento e poi progressiva riapertura nel nostro paese. Il Covid non finisce, ma l’invisibile nemico sia contrastato dall’invisibile consolatore che sta dalla nostra parte. Ecco perché farò coincidere con la festa di Pentecoste, memoria di futuro per la chiesa, questo termine, questo inizio di nuovo cammino sperando di tornare ad incontrarci. A domani i saluti.
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