Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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domenica 17 maggio 2020

17 maggio 2020 “venite e vedete le opere di Dio” (commento a Gv 14, 15-21)

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».


“Io vivo e voi vivrete”. La prospettiva sul mondo non è sempre rosea, carico com’è di ambigua adesione alle cose. In uno dei significati che gli attribuisce l’evangelista Giovanni, il mondo può perfino rivolgersi contro chi gli vuole bene, agire in modo da lasciarsi sfuggire dalle mani la violenza e fare del male a chi lo ha generato.

La paura di restare orfani, di perdere il contatto con le origini, con chi ci ha generato, raggiunge i discepoli nel momento in cui Gesù parla come se fosse un addio. Che senso avrebbe altrimenti il discorso sulla sua preghiera, sull’invio del Consolatore e Difensore, sul fatto che sarà quello a restare con loro e non lui, il loro maestro, che li ha amati fino a quel momento e li amerà ancora fino alla fine?

La paura che diventando anziani rischiamo di dimenticare tutto ci tocca nella nostra carne, perché non c’è nessuno che non sia legato o non conosca chi soffre di questo sbiadire la propria storia in un neutro attimo presente, mentre è ancora in vita. Lo racconta in modo magistrale Paco Roca nel suo romanzo “Rughe”. Il modo in cui disegna ciò che resta della memoria in una pagina alla fine del libro è straordinario: siamo alla mensa, ora di pranzo. la tavola fumettistica è suddivisa con la forma regolare di inquadrature cinematografiche, primi piani dei due volti protagonisti, due persone anziane che si sono conosciute nella casa di riposo. Uno ormai non trattiene più nulla se non la vita al momento, l’altro che ha deciso di seguirlo sul piano dei lungodegenti, e che lo sta imboccando. Nel momento in cui dirige il cucchiaio verso la bocca, l’amico guardandolo sembra focalizzare un’identità del volto che lo aiuta. E sorride, prima di ricadere nella nebbiosa smemoratezza. Oppure “la finestra di fronte” il film dove Massimo Girotti, l’attore che morì appena dopo la fine delle riprese, scorre lo sguardo sulla corsa di una donna che sembra rianimare la sua memoria, mentre le note di Giorgia entrano nella colonna sonora. Abbiamo bisogno non solo di raccontare ma di stare anche nella narrazione degli altri. La versione triste e volgare si chiama successo, quella più vera ha a che fare con l’amarsi gli uni gli altri, con il non restare orfani. Forse sarà il racconto di un altro a permetterci un guado anche da questo tempo di pandemia? Sembrerebbe suggerirlo anche papa Francesco nel discorso del 27 marzo: “La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.”

Non c’è solo un livello esistenziale e personale, la paura di restare orfani la viviamo anche socialmente: nelle giornate lavorative, nei contratti a termine, nella visione di una natura che scopriamo fragile in noi e violentata attorno a noi, negli sguardi di chi è povero e chiede come mai la vita sia così dispari. Sul piano ecclesiale è in tanta frenesia pastorale che capiamo come stiamo reagendo e in che cosa crediamo di fatto, come se senza tutto quel nostro sforzo si perdesse la memoria di Gesù. Il che vuol dire che per noi Gesù è morto e gli stiamo tenendo in piedi soltanto un bel cimitero monumentale!

“Io vivo e voi vivrete”. L’unica possibilità che hanno i testimoni del Signore di sopravvivere in questo mondo è legata al fatto che Gesù è vivo. Non sono i nostri sforzi religiosi di rianimazione a garantire la permanenza del cristianesimo, gli errori di voler identificarlo con la società ormai dovrebbero essere superati! La garanzia è nella promessa evangelica che Gesù è il Vivente. Come disse una persona: “chissà se chi incrocia il mio sguardo oggi vede un Dio cadavere o un Dio risorto dai morti?”. Chissà quanto nella nostra vita è compenetrato del messaggio evangelico in modo da conformarla: “Voi lo conoscete (lo Spirito)…In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.”

Noi siamo sacramento, questa nostra vita che è presente in noi e nel prossimo è il fondamento di ogni sacramento, che altrimenti diventa rito magico, proposta di manipolazione della realtà che avverrebbe su presunte forze esterne a noi. Mi piace che si dica vita consacrata, meno mi piace se pensiamo che questo sia solo retaggio di chi prende i voti! “Come il capo e il corpo formano un unico uomo, così il Figlio della Vergine e le sue membra elette costituiscono un solo uomo e l'unico Figlio dell'uomo. Secondo la Scrittura il Cristo totale e integrale è capo e corpo, vale a dire tutte le membra assieme sono un unico corpo, il quale con il suo capo è l'unico Figlio dell'uomo, con il Figlio di Dio è l'unico Figlio di Dio, con Dio è lui stesso un solo Dio. Quindi tutto il corpo con il capo è Figlio dell'uomo, Figlio di Dio, Dio.” (Dai «Discorsi» del beato Isacco, abate del monastero della Stella). Citando il salmo: “voi siete dei, siete tutti figli dell’Altissimo” (Sl 81,6).

Non siamo solo gocce di memoria, siamo anche gocce di vita.

Donde

"Non si accontenti di vivere. 
Lei deve pretendere di vivere in un mondo migliore, non soltanto sognarlo!"

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