Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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lunedì 25 maggio 2020

25 maggio 2020 “Signore è il suo nome” (commento a Gv 16, 29-33)

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, dissero i discepoli a Gesù: «Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato. Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio».
Rispose loro Gesù: «Adesso credete? Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me.
Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!».


Avere una vista acuta non significa per forza soltanto avere dieci decimi. Ci sono un mucchio di differenti tipi di cellule preposti alla vista. Per esempio, condividiamo con molti altri animali la presenza di “bastoncelli”, che sono le cellule sensibili alla luce, consentono la visione anche in condizioni di scarsa luminosità. Si direbbe che Gesù con le sue parole, ci chieda di mettere in gioco tutte le cellule che abbiamo a disposizione per vedere anche in situazione dove forse non pensavamo di trovarci!

“Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi”. È una dichiarazione di buona vista a dieci decimi, i discepoli pensano di essere arrivati ad un punto soddisfacente della visione su Gesù per dire di poterlo conoscere: “crediamo che sei uscito da Dio”. A volte riduciamo la nostra fiducia in Gesù a materia scolastica, dove conta sapere di più o almeno sapere abbastanza su ciò che sarà materia di interrogazione. La fede come un fatto mentale è qualcosa di estremamente ambiguo, ci illude di essere credenti quando forse siamo semplicemente ben preparati per intraprendere il cammino. Ho conosciuto tante persone dipendenti, e più la sostanza da cui dipendevano si concentrava in qualcosa di materialmente fruibile, più ho ascoltato le migliori intenzioni per uscirne da soli, i piani di infallibili grappoli di “se…se …se”. Ma le premesse erano sbagliate, non è sufficiente sapere che cosa potrebbe riportarci alla salute. Gli aspetti curativi non transitano solo sul piano concettuale e razionale, ma si edificano soprattutto su quei beni che noi chiamiamo relazionali!

Gesù prepara e propone una relazione. Spinto dal rischio che correvano i suoi di non essere in grado di superare quell’ora di buio che stava per giungere, sapendo che attaccarsi al solo mentalismo della fiducia in lui li avrebbe visti crollare, fuggire e apparentemente perdere la relazione di vita con lui (“Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo”), Gesù propone loro una pace che poggia sul “non essere soli”. Sembra quasi di sentire il Signore della creazione che afferma in Genesi: “non è bene che l’essere umano sia solo”, sia una monade, un’isola nel deserto oceanico. Lui non è solo, il Padre è con lui.

Questo permette ai suoi non solo di “sapere” chi è Gesù, ma anche di non scandalizzarsi del proprio tradimento verso di lui. Quanto è importante che un amico ci dica che noi per lui siamo più importanti dei nostri errori, anche clamorosi come il tradimento, perché in fondo il suo amore non ha un fondamento opportunistico. È del tutto gratuito perché ha imparato ad amare su una relazione differente da quelle del do-ut-des. Solo così riusciamo a vedere nel buio!

L’ora delle tenebre non è l’ora della solitudine. Si tratta di affinare la nostra sensibilità non più sui parametri che avevamo in precedenza. I paradigmi del nostro vivere sono cambiati, i beni di riferimento vanno reinterpretati per capire ciò che è necessario e ciò che non lo è, ciò che vale la pena esigere in abbondanza e ciò di cui possiamo godere a piccoli sorsi. La vista che possediamo non è solo per ammirare i colori e le forme, ma anche per abituarci a vedere con minore illuminazione. La notte non è per sempre, e possiamo sortirne.

Donde

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