Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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mercoledì 13 maggio 2020

13 maggio 2020 “Quale gioia, quando mi dissero: «Andremo alla casa del Signore!»” (commento a Gv 15, 1-8)

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
lacrime della vite dal tralcio appena potato
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».


Per parlare dell’unione di sé e del Padre, per collocarci in modo nuovo entro questa relazione, Gesù utilizza l’immagine della vite vera: mi chiedo se ne esista una falsa! Certamente è possibile che in natura qualcosa esista di simile alla vite, ma che produca tutt’altro che uva. Nella nostra vita uva falsa potrebbe essere abbandonare la perseveranza, uno dei frutti essenziali per amare. Se iniziassimo a pensare che le cose vanno avanti in automatico non saremmo più perseveranti: non mi scorderò mai il tono di un docente universitario che mi disse -chiedendomi di predicare ad un incontro in preparazione al Natale- “non si preoccupi, dica quello che vuole, tanto non abbiamo bisogno di conversione!”. La vite inoltre non è falsa o vera alla nascita, lo può diventare se l’agricoltore non è un padre, uno capace di avere cura della pianta. La pianta è buona, ma non lo stesso si può dire dei suoi tralci: potare e tagliare non sono esempio di pia e doverosa sofferenza nell’impegno ad essere cristiani. Potare e tagliare sono le azioni essenziali perché la pianta non resti selvatica e scarsamente matura, qui sono il segno della cura che qualcuno ha per noi. Crescere nell’amore è anche comprendere quali siano i verbi adatti ad esprimere la mia cura verso chi mi è prossimo. Potare e tagliare van bene per l’agraria non per la relazione umana (o almeno non sempre!).

Quello che conta è la perseveranza. Rimanere è uno di quei verbi che più possono attribuirsi a quel campo semantico che è così nebbioso delle qualità di Dio. Come si fa a dire che un verbo utilizzato per noi vivi possa applicarsi in modo identico per il Signore della vita? Più o meno è come un gatto che sfoglia la relatività di Einstein per farsi le unghie, e trova il libro ottimo! Eppure rimanere sembra più adatto che essere, amare più di esistere, scegliere più che potere. Resta lì, ad ogni stagione, questo agricoltore, nel giardino a coltivare: forse un caso che Maria di Magdala, incapace di riconoscere Gesù risorto, almeno riesca ad intuire che possa essere l’ortolano, il custode che è rimasto nel giardino a custodire la tomba, a cui chiedere che fine abbia fatto il corpo del suo Signore? Ma il Signore della vita è quell’agricoltore lì, perché è lui che si prende cura delle piante e dei loro frutti.

Noi abbiamo confuso il portare frutto con l’essere persone che sono efficienti e produttive, che sanno rendere. La perseveranza degradata a posto fisso! Per alcuni anche l’essere cristiano è avere un posto fisso garantito, simulacro di vita. Per altri è finalmente il cammino: “La vita - l'umano in noi e negli altri - si salva con la perseveranza. Non nel disimpegno, nel chiamarsi fuori, ma nel tenace, umile, quotidiano lavoro che si prende cura della terra e delle sue ferite, degli uomini e delle loro lacrime. Scegliendo sempre l'umano contro il disumano.” (Turoldo). Quanto diventa importante questo atteggiamento vero dell’agricoltore, in un momento in cui siamo chiamati non a riappropriarci del tempo perduto e delle cose che avevano segnato il benessere, ma riappropriarci dell’avere cura della madre terra e della comunità umana. Appunto: “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.” Questo è predicare, anche senza bisogno di parole!

Donde

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