Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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venerdì 22 dicembre 2017
un breve libro di vita: IL CAMMINO DELL'UOMO
Hermann
Hesse scriveva a Buber nel 1948 :"Tra suoi scritti, Il
cammino dell'uomo è indubbiamente quanto di più bello io
abbia letto. La ringrazio di cuore per questo dono così prezioso e
inesauribile. Lascerò che mi parli ancora molto spesso". Siamo
in presenza non di un libretto edificante o pio ma di un'opera
pedagogica che riguarda l'uomo e il suo percorso esistenziale.
Il
cammino dell'uomo è racchiuso fra due domande, quella iniziale 'Dove
sei?' e quella finale 'Dove abita Dio?'. Nella vita ognuno deve
scegliere la propria strada e scegliere significa anche rinunciare.
Nel mondo futuro non mi si chiederà "Perché non sei stato
Mosè", bensì: "Perché non sei stato te stesso?".
Essere se stessi, questa è la vera scommessa. L'uomo è un essere
diviso, contradditorio, complicato e tutta la vita gli è data per
poter tendere all'unità; solo un uomo unificato , autentico,
infatti, è in grado di trasformare e salvare se stesso e quindi il
mondo.
Dice
Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose nella prefazione
all'edizione italiana "Dalla domanda iniziale 'Dove sei?', si
giunge alla domanda finale: Dio è là dove ci si trova , anzi, Dio è
là dove l'uomo lo fa entrare mediante lo svolgimento fedele del suo
compito, con il suo vivere le relazioni con gli uomini, con gli
esseri viventi, con le cose, con il creato intero".
dal primo capitolo
RITORNO
A SE STESSI
Rabbi
Shneur Zalman, il Rav della Russia, era stato calunniato presso le
autorità da uno dei capi dei mitnagghedim, che condannavano la sua
dottrina e la sua condotta, ed era stato incarcerato a Pietroburgo.
Un giorno, mentre attendeva di comparire davanti al tribunale, il
comandante delle guardie entrò nella sua cella. Di fronte al volto
fiero e immobile del Rav che, assorto, non lo aveva notato subito,
quest'uomo si fece pensieroso e intuì la qualità umana del
prigioniero. Si mise a conversare con lui e non esitò ad affrontare
le questioni più varie che si era sempre posto leggendo la
Scrittura. Alla fine chiese: "Come bisogna interpretare che Dio
Onnisciente dica ad Adamo: «Dove sei?». "Credete voi - rispose
il Rav - che la Scrittura è eterna e che abbraccia tutti i tempi,
tutte le generazioni e tutti gli individui?". "Sì, lo
credo", disse. "Ebbene - riprese lo zaddik - in ogni tempo
Dio interpella ogni uomo: ‘Dove sei nel tuo mondo? Dei giorni e
degli anni a te assegnati ne sono già trascorsi molti: nel frattempo
tu fin dove sei arrivato nel tuo mondo?’. Dio dice per esempio:
‘Ecco, sono già quarantasei anni che sei in vita. Dove ti
trovi?’".
All'udire
il numero esatto dei suoi anni, il comandante si controllò a stento,
posò la mano sulla spalla del Rav ed esclamò: "Bravo!";
ma il cuore gli tremava.
Qual
è il senso di questa storia?
A
prima vista ci ricorda quei racconti talmudici in cui un romano o un
altro pagano consulta un saggio ebreo a proposito di un passo della
Bibbia per mettere in luce una pretesa contraddizione
nell'insegnamento di Israele, e riceve una risposta che dimostra
l'assenza di contraddizione o che confuta la critica in altro modo,
con l'aggiunta a volte di un ammonimento a carattere personale.
Ma
non tardiamo a notare una differenza significativa tra i racconti del
Talmud e questo chassidico, anche se questa differenza appare
all'inizio più importante di quanto sia in realtà. La risposta
infatti viene data su un piano diverso da quello in cui è stata
formulata la domanda.
Il
comandante cerca di smascherare una pretesa contraddizione nelle
credenze ebraiche: nel Dio in cui credono, gli ebrei vedono l'Essere
onnisciente, ma la Bibbia gli attribuisce domande analoghe a quelle
che farebbe chiunque ignori una cosa e voglia apprenderla. Dio cerca
Adamo che si è nascosto, fa risuonare la sua voce nel giardino e
chiede dov'è; ciò significa che non lo sa, che è possibile
nascondersi da lui: dunque Dio non è l'onnisciente.
Ma,
invece di spiegare il passo biblico e risolvere l'apparente
contraddizione, il Rabbi se ne serve solo come punto di partenza,
utilizzandone il contenuto per rivolgere al comandante un rimprovero
per la vita da lui condotta fino a quel momento, per la sua mancanza
di serietà, la sua superficialità e l'assenza di senso di
responsabilità nella sua anima. La domanda oggettiva - che, in
fondo, per quanto qui sia posta senza secondi fini, non è però una
domanda autentica bensì una semplice forma di controversia - riceve
una risposta personale; anzi, invece di una risposta, ne risulta un
ammonimento a carattere personale. Di queste repliche talmudiche non
è rimasto apparentemente altro che l'ammonimento che a volte le
accompagnava.
Ciò
nonostante, esaminiamo il racconto più da vicino. Il comandante
chiede chiarimenti sul brano del racconto biblico che riguarda il
peccato di Adamo. La risposta del Rabbi mira a questo, a dirgli:
"Adamo sei tu. E a te che Dio si rivolge chiedendoti: ‘Dove
sei?’". Apparentemente non gli ha fornito nessun chiarimento
sul significato del brano biblico in quanto tale. Ma in realtà la
risposta illumina sia la situazione di Adamo nel momento in cui Dio
lo interpella, sia la situazione di ogni uomo in ogni tempo e in ogni
luogo. Infatti, non appena si renderà conto che la domanda biblica è
indirizzata a lui personalmente, il comandante prenderà
necessariamente coscienza della portata dell'interrogativo posto da
Dio: "Dove sei?", sia esso rivolto ad Adamo o a chiunque
altro. Ogni volta che Dio pone una domanda di questo genere non è
perché l’uomo gli faccia conoscere qualcosa che lui ancora ignora:
vuole invece provocare nell'uomo una reazione suscitabile per
l'appunto solo attraverso una simile domanda, a condizione che questa
colpisca al cuore l'uomo e che l'uomo da essa si lasci colpire al
cuore.
Adamo
si nasconde per non dover rendere conto, per sfuggire alla
responsabilità della propria vita. Così si nasconde ogni uomo,
perché ogni uomo è Adamo e nella situazione di Adamo. Per sfuggire
alla responsabilità della vita che si è vissuta, l'esistenza viene
trasformata in un congegno di nascondimento. Proprio nascondendosi
così e persistendo sempre in questo nascondimento "davanti al
volto di Dio", l'uomo scivola sempre, e sempre più
profondamente, nella falsità. Si crea in tal modo una nuova
situazione che, di giorno in giorno e di nascondimento in
nascondimento, diventa sempre più problematica. È una situazione
caratterizzabile con estrema precisione: l'uomo non può sfuggire
all'occhio di Dio ma, cercando di nascondersi a lui, si nasconde a se
stesso. Anche dentro di sé conserva certo qualcosa che lo cerca, ma
a questo qualcosa rende sempre più, difficile il trovarlo. Ed è
proprio in questa situazione che lo coglie la domanda di Dio: vuole
turbare l'uomo, distruggere il suo congegno di nascondimento, fargli
vedere dove lo ha condotto una strada sbagliata, far nascere in lui
un ardente desiderio di venirne fuori.
A
questo punto tutto dipende dal fatto che l'uomo si ponga o no la
domanda. Indubbiamente, quando questa domanda giungerà all'orecchio,
a chiunque "il cuore tremerà", proprio come al comandante
del racconto. Ma il congegno gli permette ugualmente di restare
padrone anche di questa emozione del cuore. La voce infatti non
giunge durante una tempesta che mette in pericolo la vita dell'uomo;
è "la voce di un silenzio simile a un soffio", ed è
facile soffocarla. Finché questo avviene, la vita dell'uomo non può
diventare cammino. Per quanto ampio sia il successo e il godimento di
un uomo, per quanto vasto sia il suo potere e colossale la sua opera,
la sua vita resta priva di un cammino finché egli non affronta la
voce. Adamo affronta la voce, riconosce di essere in trappola e
confessa: "Mi sono nascosto". Qui inizia il cammino
dell'uomo.
Il
ritorno decisivo a se stessi è nella vita dell'uomo l'inizio del
cammino, il sempre nuovo inizio del cammino umano. Ma è decisivo,
appunto, solo se conduce al cammino: esiste infatti anche un ritorno
a se stessi sterile, che porta solo al tormento, alla disperazione e
a ulteriori trappole. Quando il Rabbi di Gher arrivò,
nell’interpretazione della Scrittura, alle parole rivolte da
Giacobbe al suo servo – "Quando ti incontrerà Esaù, mio
fratello, e ti domanderà: ‘Tu, di chi sei? Dove vai? Di chi è il
gregge che ti precede?’" - disse ai suoi discepoli: "Osservate
come le domande di Esaù assomiglino a questa massima dei nostri
saggi: ‘Considera tre cose: sappi da dove vieni, dove vai e davanti
a chi dovrai un giorno rendere conto’. Prestate molta attenzione,
perché chi considera queste tre cose deve sottoporre se stesso a un
serio esame: che in lui non sia Esaù a porre le domande. Anche Esaù
infatti può porre domande su queste tre cose, sprofondando l'uomo
nell'afflizione".
Esiste
una domanda demoniaca, una falsa domanda che scimmiotta la domanda di
Dio, la domanda della verità. La si riconosce dal fatto che non si
ferma al "Dove sei?" ma prosegue: "Nessun cammino può
farti uscire dal vicolo cieco in cui ti sei smarrito". Esiste un
ritorno perverso a se stessi che, invece di provocare l'uomo al
ravvedimento e metterlo sul cammino, gli prospetta insperabile il
ritorno e così lo inchioda in una realtà in cui ravvedersi appare
assolutamente impossibile e in cui l'uomo riesce a continuare a
vivere solo in virtù dell'orgoglio demoniaco, dell'orgoglio della
perversione.
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