Un anno non è mai uguale all'altro: è tempo possibile di pace! (commento di p.Balducci alla 1^ DOMENICA D’AVVENTO - Anno B)
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Dicembre 2017 – 1^ DOMENICA D’AVVENTO - Anno B
Qual
è il paese dove la libertà è un bene sicuro anche per i meno
dotati e per i più poveri? Non è forse vero che anche nelle
democrazie più democratiche la legge del più forte spadroneggia in
assoluto più ancora che nella giungla dove almeno i ritmi naturali
contenevano la ferocia umana dentro argini intangibili?
PRIMA
LETTURA: Is 63, 16b-17.19b; 64, 2-7 SALMO: 79- SECONDA LETTURA: 1
Cor 1, 3-9- VANGELO: Mc 13, 33-37
Vorrei
fare una riflessione introduttiva sui diversi modi con cui siamo
soliti valutare il tempo che passa, gli anni che si succedono. C'è
un primo modo che è quello della quantità: un anno succede
all'altro, il tempo corre come una linea, nulla torna indietro e
tutto appare davvero come vanità. Se togliamo dall'universo delle
cose questa sovrastruttura della memoria umana che ordina il caos
nella successione, ogni attimo è la fine dei tempi e ogni attimo è
l'inizio. Nulla resta. L'azione irreparabile del tempo scandisce in
noi la legge della finitezza e della provvisorietà.
C'è anche un
tempo qualitativo, quale vuole essere il tempo liturgico. Il ritorno
ciclico delle stagioni liturgiche è un ritorno che vuole assumere la
linea fuggevole del tempo dentro una struttura significativa. Non è
vero che il tempo è pura successione. C'è in noi l'attesa di ciò
che deve venire, e la disposizione ad accogliere un futuro ricco di
doni misteriosi o di doni conosciuti.
Noi viviamo partecipando alla
sofferenza del mondo, avvertendo questa passione come la nobiltà
tipica dell'esistere prima della morte. L'ombra della morte ci
attraversa e noi dobbiamo prendere posizione di fronte
all'ineluttabile destino. Nella liturgia noi imprimiamo sul tempo che
fugge l'ordine e la logica e il finalismo della nostra coscienza
morale e religiosa.
C'è finalmente un tempo culturale, quello in cui
siamo cresciuti e abbiamo acquistato dalla tradizione che ci ha
preceduto forme di sapere e di condotta. Secondo questa visione, il
tempo è un progressivo accumulo di valori, è un avvicinarsi lento
verso traguardi significativi per tutta l'umanità.
Gli anni non si
succedono uguali agli anni, ma ogni anno porta un di più di
giustizia, di pace, di uguaglianza; o, come si diceva un tempo - ma
la parola ci si è congelata sulle labbra -, un di più di civiltà.
Il dramma di questi anni è che questa terza dimensione non riusciamo
più a viverla. «Le magnifiche sorti e progressive» dell'umanità
sono una fola, un mito da cui ci stiamo distaccando. «Le nostre
iniquità ci hanno portato via come il vento»; hanno portato via i
nostri ideali, le grandi conquiste del passato, gli approdi
irreversibili delle grandi rivoluzioni dell'umanità.
Dove sono
queste conquiste? Dov' è la libertà per cui si son fatte tante
rivoluzioni in questi secoli e i cui contenuti sono sanciti dalle
costituzioni? Qual è il paese dove la libertà è un bene sicuro
anche per i meno dotati e per i più poveri? Non è forse vero che
anche nelle democrazie più democratiche la legge del più forte
spadroneggia in assoluto più ancora che nella giungla dove almeno i
ritmi naturali contenevano la ferocia umana dentro argini
intangibili? E là dove si sono fatte rivoluzioni per la giustizia,
ditemi voi dov'è la giustizia? Essa è pagata amaramente, se pur
c'è.
E così noi ci troviamo in una situazione intollerabile in cui
tutte le nostre ricchezze, quelle che creiamo sfruttando le energie
della natura, trovano corpo e forma nell'arma distruttiva. Abbiamo un
patrimonio, calcolato in denaro, di armi, incredibile: basterebbe
spenderne una piccola percentuale per risolvere tutti i mali del
mondo. Ditemi voi se i nostri atti di giustizia non siamo ormai
divenuti immondi.[…] Forse domani la nostra iniquità ci porterà
via come un vento. Tutto è pronto. La forza d'urto di una bomba è
come il vento, porta via tutto: il Cupolone, il campanile di Giotto,
... È la nostra iniquità che cresce su se stessa col nostro
contributo, con la nostra complicità, con il nostro silenzio o
quanto meno con la nostra inerzia. Ecco perché dobbiamo vigilare.
L'anno che comincia è già grazia, è lo spazio, forse immeritato, -
potrebbe essere l'ultimo - per le nostre scelte.
Ernesto
Balducci – da:”Il Vangelo della pace” – Vol. 2
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