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Papa Paolo VI durante la visita in India nel 1964 |
Siamo a due anni dalla conclusione del
Concilio Vaticano II, dove Paolo VI, oltre ad avere ascoltato dai
Padri conciliari le sofferenze e gravissimi disagi delle popolazioni
del «Terzo Mondo», porta nel cuore dopo il pellegrinaggio in India
per il Congresso Eucaristico dove ha visto la miseria e l’abbandono
dei poveri della periferia di Bombay e dove ha incontrato e
incoraggiato Madre Teresa di Calcutta, l’anelito di essere concreta
voce per chi non ha voce.
Il gesto della rinuncia della tiara e
la sua richiesta ai Padri conciliari di contribuire a un fondo per il
Terzo Mondo fu il messaggio dato all’intera Chiesa e alle persone
di buona volontà di non disattendere il problema dello sviluppo
integrale della persona umana in ogni parte del pianeta.
La Populorum Progressio volle essere,
nell’intento di Paolo VI, una pista concreta offerta a chi ha a
cuore il progresso e il bene morale, sociale, spirituale ed economico
di ogni persona e dell’intera famiglia umana per realizzare la
giustizia e la pace.
Nell’introduzione dellA enciclica
Papa Montini confida che «nel desiderio di rispondere al voto del
Concilio [Vaticano II] e di volgere in forma concreta l’apporto
della Santa Sede a questa grande causa dei popoli in via di sviluppo,
abbiamo ritenuto che facesse parte del nostro dovere il creare presso
gli organismi centrali della Chiesa una commissione pontificia che
avesse il compito di suscitare in tutto il popolo di Dio la piena
conoscenza del ruolo che i tempi attuali reclamano da lui, in modo da
promuovere il progresso dei popoli più poveri, da favorire la
giustizia sociale tra le nazioni, da offrire a quelle che sono meno
sviluppate un aiuto tale che le metta in grado di provvedere esse
stesse e per se stesse al loro progresso: Giustizia e pace è il suo
nome e il suo programma».
Papa Francesco fa eco a questo
richiamo di Papa Montini quando sottolinea che «ogni cristiano e
ogni Comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la
liberazione e la promozione dei poveri in modo che essi possano
integrarsi pienamente nella società».
Di fronte a questi richiami che hanno
nella Sacra Scrittura e nel Concilio Vaticano II la piena
legittimazione, per un cattolico è doveroso allora interrogarsi su
come stiamo dando meno spazio alla dignità della persona e quale
sviluppo integrale e solidale si stia costruendo».
Vediamole queste tematiche, partendo
dal magistero e teniamo conto delle sfide che la post-modernità ci
presenta:
Sviluppo e dignità della
persona
Il criterio principe dello sviluppo
culturale, sociale ed economico di una collettività deve avere come
obiettivo educativo quello - dice Paolo VI - di «permettere all’uomo
di essere più uomo». Lo sviluppo per un popolo, per una famiglia o
persone «non può essere ridotto alla semplice crescita economica»,
deve invece fare in modo che »lo star bene» di una collettività,
di una famiglia, di una persona sia realmente omnicomprensivo della
capacità di potersi «spendere per l’altro» nella libertà
garantita per un’autentica crescita morale, sociale, culturale e
spirituale dei soggetti che abbiamo indicato.
Fraternità e solidarietà tra
le persone e i popoli
Lo sviluppo integrale della persona e
un’autentica fraternità fra i popoli «non possono aver luogo
senza lo sviluppo solidale dell’umanità», e cioè senza che si
realizzi a livello internazionale una concreta cultura di accoglienza
e di sensibilità dove «ogni uomo, senza esclusione di razza, di
religione, di nazionalità possa vivere una vita pienamente umana...
un mondo dove la libertà non sia una parola vana e dove il povero
Lazzaro possa assidersi alla stessa mensa del ricco (Lc 16, 19-31)».
Opportuno riprendere le espressioni di
Paolo VI a chiusura della «Populorum Progressio» quando,
rivolgendosi ai cattolici, a tutti i cristiani e ai credenti, agli
uomini di buona volontà, agli uomini di Stato, agli uomini di
pensiero, chiede in modo accorato: «Voi tutti che avete inteso
l’appello dei Popoli sofferenti, voi tutti che lavorate per
rispondervi, voi siete gli apostoli del buono e vero sviluppo, che
non è la ricchezza egoista e amata per se stessa, ma l’economia a
servizio dell’uomo, il pane quotidiano distribuito a tutti… [a
voi chiediamo] di rispondere al nostro grido di angoscia nel nome del
Signore».
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