Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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venerdì 10 marzo 2017
Smantellato il Gran Ghetto: ora la sfida più grande
Hanno vissuto per venti lunghi anni
nella più grande favelas d’Europa. Sino a mercoledì 1 marzo,
cinque giorni fa, quando la Direzione Distrettuale Antimafia della
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari ha deciso che
era il caso di mettere la parola fine alla vergogna dello
sfruttamento bracciantile dei migranti e, coadiuvata da cento uomini
coordinati dalla Questura di Foggia, ha smantellato il famigerato
Gran Ghetto.
“Riduzione in schiavitù” l’accusa.
Siamo a San Severo, provincia di Foggia. È lì che donne e uomini,
proveniente in larga parte dall’Africa subsahariana, hanno perso la
dignità, diventando numeri nelle mani dei caporali e dei capineri,
la sola forma di intermediazione agricola ormai vigente nelle
campagne della Capitanata: è il business del pomodoro, dell’oro
rosso, che ha attirato in quelle baracche migliaia di essere umani.
Fino a tremila nei mesi estivi.
Per avere una idea sommaria della
baraccopoli di cui stiamo parlando riportiamo una frase del sociologo
barese Leonardo Palmisano in Ghetto Italia: «Finché non s’è
messo piede nel Gran Ghetto – scriveva –, non si può avere idea
di cosa sia un inferno molto ben organizzato». Un piccola città nel
degrado, fatta di legno, lamiere e plastica dove tutto si pagava e
tutto era in vendita, a partire dai corpi. Lavoro di braccia
sfruttato nei campi, sesso a pagamento. Morti misteriose.
La sera di giovedì 2 marzo è finita.
Le fiamme salvano alcuni foglietti: pezzi di libro mastro sui cui i
capineri appuntavano debiti e crediti dei braccianti. 50 euro per un
materasso nel Gran Ghetto, 5 euro per il trasporto nei campi, 50
centesimi per ricaricare il cellulare, 1,50 euro per ogni cassone di
pomodoro raccolto. A conti fatti, nelle tasche dei lavoratori
stranieri restava poco e niente. «Peggio degli slum di Nairobi»,
l’ha descritta l’eurodeputata Eleonora Forenza.
È finita. Nei centri di accoglienza i
migranti vagano spaesati, ma puliti e rifocillati. “Lavoro”, il
loro unico pensiero. Per politica, istituzioni, sindacati, aziende si
apre ora la sfida più grande: riscrivere il patto etico del lavoro
nei campi. È questa la sola strada verso la dignità e la libertà
dell’essere umano in una provincia, una regione, un Paese che
voglia definirsi civile.
tratto da Città Nuova
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