Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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domenica 26 marzo 2017
Le sfide ci salvano da un pensiero chiuso (p.Francesco a Milano)
Le tappe della visita: dalle Case
Bianche al Duomo, dal carcere a Monza. L'omelia della Messa: oggi si
specula anche su poveri e migranti. Infine l'abbraccio dei ragazzi a
San Siro
«Tu sai che l’evangelizzazione non
sempre è sinonimo di prendere pesci. Andare e prendere il largo,
dare testimonianza. Poi c’è il Signore, Lui prende i pesci, quando
come e dove non lo sappiano. Noi siamo strumenti inutili». Così ha risposto alla domanda del prete in Duomo a Milano. Il
Papa ha quindi invitato a «non perdere la gioia di evangelizzare
perché evangelizzare è una gioia. Dobbiamo chiedere la grazia di
non perderla. Non va essere tristi, un evangelizzatore triste è come
non fosse convinto che Gesù è gioia, ti porta la gioia, e quando ti
chiama di cambia la vita e ti invia in gioia. Anche nella croce, ma
in gioia».
«Ogni epoca storica, fin dai primi
tempi del cristianesimo, è stata continuamente sottoposta a
molteplici sfide», perciò, ha spiegato Francesco, «non dobbiamo
temere le sfide, si devono prendere come il bue, per le corna! Non
temerle. È bene che ci siano, perché ci fanno crescere, sono segno
di fede viva, di una comunità viva che cerca il suo Signore e tiene
occhi e cuori aperti». Il Papa ha aggiunto: «Dobbiamo piuttosto
temere una fede senza sfide, una fede che si ritiene completa, tutto
fatto, come se tutto fosse stato detto e realizzato. Questa fede non
serve. Le sfide ci aiutano a far sì che la nostra fede non diventi
ideologica. Sempre le ideologie crescono e germogliano quando uno
crede di avere la fede completa». Le sfide «ci salvano da un
pensiero chiuso e definito e ci aprono a una comprensione più ampia
del dato rivelato».
«Credo che la Chiesa - ha detto ancora
il Papa - nell’arco di tutta la sua storia ha molto da insegnarci e
aiutarci per una cultura della diversità. Lo Spirito Santo è il
Maestro della diversità. La Chiesa pur essendo una è
multiforme. La Tradizione ecclesiale ha una grande esperienza di come
“gestire” il molteplice all’interno della sua storia e della
sua vita. Abbiamo visto e vediamo molte ricchezze e molti
orrori/errori». Francesco ha invitato a guardare al mondo «senza
condannarlo e senza santificarlo, riconoscendo gli aspetti luminosi e
gli aspetti oscuri. Come pure aiutandoci a discernere gli eccessi di
uniformità o di relativismo». Non bisogna confondere - ha
continuato - «unità con uniformità», né «pluralità con
pluralismo». Ciò che si cerca di fare «è ridurre la tensione e
cancellare il conflitto o l’ambivalenza a cui siamo sottoposti in
quanto esseri umani», ma «cercare di eliminare uno dei poli
della tensione è eliminare il modo in cui Dio ha voluto rivelarsi
nell’umanità del suo Figlio».
«La cultura dell’abbondanza a cui
siamo sottoposti - ha detto ancora il Papa - offre un orizzonte di
tante possibilità, presentandole tutte come valide e buone. I
nostri giovani sono esposti a uno zapping continuo». Francesco
ritiene che «sia bene insegnare loro a discernere, perché abbiano
gli strumenti e gli elementi che li aiutino a percorrere il cammino
della vita senza che si estingua lo Spirito Santo che è in loro».
Quando si è bambini, ha continuato «è facile che il papà e la
mamma ci dicano quello che dobbiamo fare, e va bene. Ma via via che
cresciamo, in mezzo a una moltitudine di voci dove apparentemente
tutte hanno ragione, il discernimento di ciò che ci conduce alla
risurrezione, alla vita e non a una cultura di morte, è cruciale».
Rispondendo alla domanda di un diacono
permanente, il Papa ha messo in guardia dal considerare «i diaconi
come mezzi preti e mezzi laici. Questo è un pericolo, eh! Alla fine
non stanno né di qua né di là. Guardarli così ci fa male e fa
male a loro».
C’è il pericolo del clericalismo, ha
aggiunto Francesco. I diaconi, hanno come compito il servizio «a
Dio e ai fratelli. E quanta strada c’è da fare in questo
senso!». Inoltre, ha osservato ancora Bergoglio «non c’è
servizio all’altare, non c’è liturgia che non si apra al
servizio dei poveri, e non c’è servizio dei poveri che non conduca
alla liturgia».
Infine Francesco ha risposto alla
domanda di una religiosa orsolina, che ha parlato della difficoltà
per la mancanza di vocazioni: l’essere in pochi e sempre più
anziani. Il Papa ha parlato del sentimento della rassegnazione.
«Senza accorgerci, ogni volta che pensiamo o constatiamo che siamo
pochi, o in molti casi anziani, che sperimentiamo il peso, la
fragilità più che lo splendore, il nostro spirito comincia ad
essere corroso dalla rassegnazione. E la rassegnazione conduce poi
all’accidia… Pochi sì, in minoranza sì, anziani sì,
rassegnati no!». Il rimedio che «ristora e da pace», ha
aggiunto, è la misericordia di Dio. Quando invece ci si rassegna o
si vive pensando alle glorie del passato, «incominciano a essere
pesanti le strutture, adesso vuote, e ci viene di venderle per avere
i soldi per la vecchiaia. Incominciano a essere pesanti i soldi che
abbiamo in banca e la povertà dove va? Ma il Signore è buono,
quando una congregazione religiosa non va per la strada della
povertà, di solito il Signore invia un economo o una economa che fa
crollare tutto, e questa è una grazia!». La risposta sta nel
«rivisitare le origini, una memoria che ci salva da qualunque
immaginazione gloriosa ma irreale del passato».
Il Papa ha quindi invitato a leggere
un articolo sull’Osservatore Romano che racconta «delle ultime due
piccole sorelle di Gesù dell’Afghanistan, che stavano fra i
musulmani. Devono tornare, sono anziane... benvolute da tutti...
perché testimoni, perché consacrate a Dio Padre di tutti. E io ho
detto al Signore questo: Gesù perché lasci questa gente così? E mi
è venuto in mente il popolo coreano che ha avuto all’inizio tre
quattro missionari cinesi, e poi per due secoli il messaggio è stato
portato avanti dai laici! Le strade del Signore sono come Lui vuole
che siano. Ci farà bene fare un atto di fiducia, è Lui che conduce
la storia».
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