Le sfide ci salvano da un pensiero chiuso (p.Francesco a Milano)
Le tappe della visita: dalle Case
Bianche al Duomo, dal carcere a Monza. L'omelia della Messa: oggi si
specula anche su poveri e migranti. Infine l'abbraccio dei ragazzi a
San Siro

«Ogni epoca storica, fin dai primi
tempi del cristianesimo, è stata continuamente sottoposta a
molteplici sfide», perciò, ha spiegato Francesco, «non dobbiamo
temere le sfide, si devono prendere come il bue, per le corna! Non
temerle. È bene che ci siano, perché ci fanno crescere, sono segno
di fede viva, di una comunità viva che cerca il suo Signore e tiene
occhi e cuori aperti». Il Papa ha aggiunto: «Dobbiamo piuttosto
temere una fede senza sfide, una fede che si ritiene completa, tutto
fatto, come se tutto fosse stato detto e realizzato. Questa fede non
serve. Le sfide ci aiutano a far sì che la nostra fede non diventi
ideologica. Sempre le ideologie crescono e germogliano quando uno
crede di avere la fede completa». Le sfide «ci salvano da un
pensiero chiuso e definito e ci aprono a una comprensione più ampia
del dato rivelato».
«Credo che la Chiesa - ha detto ancora
il Papa - nell’arco di tutta la sua storia ha molto da insegnarci e
aiutarci per una cultura della diversità. Lo Spirito Santo è il
Maestro della diversità. La Chiesa pur essendo una è
multiforme. La Tradizione ecclesiale ha una grande esperienza di come
“gestire” il molteplice all’interno della sua storia e della
sua vita. Abbiamo visto e vediamo molte ricchezze e molti
orrori/errori». Francesco ha invitato a guardare al mondo «senza
condannarlo e senza santificarlo, riconoscendo gli aspetti luminosi e
gli aspetti oscuri. Come pure aiutandoci a discernere gli eccessi di
uniformità o di relativismo». Non bisogna confondere - ha
continuato - «unità con uniformità», né «pluralità con
pluralismo». Ciò che si cerca di fare «è ridurre la tensione e
cancellare il conflitto o l’ambivalenza a cui siamo sottoposti in
quanto esseri umani», ma «cercare di eliminare uno dei poli
della tensione è eliminare il modo in cui Dio ha voluto rivelarsi
nell’umanità del suo Figlio».
«La cultura dell’abbondanza a cui
siamo sottoposti - ha detto ancora il Papa - offre un orizzonte di
tante possibilità, presentandole tutte come valide e buone. I
nostri giovani sono esposti a uno zapping continuo». Francesco
ritiene che «sia bene insegnare loro a discernere, perché abbiano
gli strumenti e gli elementi che li aiutino a percorrere il cammino
della vita senza che si estingua lo Spirito Santo che è in loro».
Quando si è bambini, ha continuato «è facile che il papà e la
mamma ci dicano quello che dobbiamo fare, e va bene. Ma via via che
cresciamo, in mezzo a una moltitudine di voci dove apparentemente
tutte hanno ragione, il discernimento di ciò che ci conduce alla
risurrezione, alla vita e non a una cultura di morte, è cruciale».
Rispondendo alla domanda di un diacono
permanente, il Papa ha messo in guardia dal considerare «i diaconi
come mezzi preti e mezzi laici. Questo è un pericolo, eh! Alla fine
non stanno né di qua né di là. Guardarli così ci fa male e fa
male a loro».
C’è il pericolo del clericalismo, ha
aggiunto Francesco. I diaconi, hanno come compito il servizio «a
Dio e ai fratelli. E quanta strada c’è da fare in questo
senso!». Inoltre, ha osservato ancora Bergoglio «non c’è
servizio all’altare, non c’è liturgia che non si apra al
servizio dei poveri, e non c’è servizio dei poveri che non conduca
alla liturgia».
Infine Francesco ha risposto alla
domanda di una religiosa orsolina, che ha parlato della difficoltà
per la mancanza di vocazioni: l’essere in pochi e sempre più
anziani. Il Papa ha parlato del sentimento della rassegnazione.
«Senza accorgerci, ogni volta che pensiamo o constatiamo che siamo
pochi, o in molti casi anziani, che sperimentiamo il peso, la
fragilità più che lo splendore, il nostro spirito comincia ad
essere corroso dalla rassegnazione. E la rassegnazione conduce poi
all’accidia… Pochi sì, in minoranza sì, anziani sì,
rassegnati no!». Il rimedio che «ristora e da pace», ha
aggiunto, è la misericordia di Dio. Quando invece ci si rassegna o
si vive pensando alle glorie del passato, «incominciano a essere
pesanti le strutture, adesso vuote, e ci viene di venderle per avere
i soldi per la vecchiaia. Incominciano a essere pesanti i soldi che
abbiamo in banca e la povertà dove va? Ma il Signore è buono,
quando una congregazione religiosa non va per la strada della
povertà, di solito il Signore invia un economo o una economa che fa
crollare tutto, e questa è una grazia!». La risposta sta nel
«rivisitare le origini, una memoria che ci salva da qualunque
immaginazione gloriosa ma irreale del passato».
Il Papa ha quindi invitato a leggere
un articolo sull’Osservatore Romano che racconta «delle ultime due
piccole sorelle di Gesù dell’Afghanistan, che stavano fra i
musulmani. Devono tornare, sono anziane... benvolute da tutti...
perché testimoni, perché consacrate a Dio Padre di tutti. E io ho
detto al Signore questo: Gesù perché lasci questa gente così? E mi
è venuto in mente il popolo coreano che ha avuto all’inizio tre
quattro missionari cinesi, e poi per due secoli il messaggio è stato
portato avanti dai laici! Le strade del Signore sono come Lui vuole
che siano. Ci farà bene fare un atto di fiducia, è Lui che conduce
la storia».
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