Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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sabato 24 marzo 2018
"La passione di Dio è incarnarsi" (David Maria Turoldo
A mo’ di preghiera
Manda, Signore, ancora profeti,
uomini certi di Dio,
uomini dal cuore in fiamme.
E Tu a parlare dai loro roveti
sulle macerie delle nostre parole,
dentro il deserto dei templi:
a dire ai poveri
di sperare ancora.
Che siano appena tua voce,
voce di Dio dentro la folgore,
voce di Dio che schianta la pietra.
(D.M. Turoldo, Manda, Signore, ancora
profeti – in O sensi miei… Poesie 1948-1988)
“Poeta, profeta, disturbatore delle
coscienze, uomo di Dio, amico di tutti”: così lo salutava il
Cardinal Martini, celebrandone le esequie nel Duomo della “sua”
Milano. A cent’anni dalla nascita, si moltiplicano in tutta Italia
gli incontri e i convegni per rileggere la personalità e l’opera
di Padre David Maria Turoldo “servo e ministro della Parola”,
profeta del ‘900 come alcuni dei suoi amici: Don Mazzolari, La
Pira, Don Milani (di cui fu anche confessore), Padre Balducci.
Come lo ha recentemente
definito l’amico p. Ronchi, Turoldo fu “cantore del Dio che non
ammette compromessi” e come tale esercitò la parresia cristiana
all’interno della Chiesa e della società, partecipando alla
Resistenza, denunciando l’oppressione dei “Faraoni” di turno,
le solitudini delle moderne città, il tradimento delle istituzioni
laiche e religiose.
Innamorato della vita e cultore dell’amicizia,
pagò di persona posizioni ideali e scelte pastorali che precorrevano
il Concilio Vaticano II, di cui fu entusiastico sostenitore.
Affermava infatti: “Non si comprenderà mai abbastanza il dono del
Concilio alla Chiesa: la sua opportunità indifferibile, la
provvidenzialità della sua impostazione.” Liberando la Parola da
ogni “sequestro ecclesiastico”, suscita reazioni contrapposte, di
consenso e condanna, già negli anni milanesi della “Corsia dei
Servi” e della predicazione in Duomo, così da incorrere
nell’ordine gerarchico imposto ai suoi Superiori : “Fatelo
girare, perché non coaguli!”.
Le molteplici tappe del suo “esilio”
lo portano a conoscere realtà europee ed extra-europee, sempre a
contatto con “gli ultimi” della Terra. Padre Turoldo, che ha
conosciuto la povertà nel Friuli della sua infanzia, – terra di
miseria contadina e di emigrazione, realisticamente descritta nel suo
film “Gli ultimi” (‘62) – non concepisce un “divino che non
faccia fiorire l’umano”.
I cristiani sono per lui “inventori
di strade, non esecutori di ordini o ripetitori di dogmi”, perché
ogni “strada del mondo è Galilea”: per questo la strada e il
vento sono nelle sue poesie simboli della libertà dello Spirito. Si
appassiona all’esperienza di Nomadelfia ed è tra i primi in Italia
a dare voce alle novità teologiche della Chiesa latinoamericana,
alle vittime delle dittature e alle lotte dei popoli indigeni. Le sue
poesie per Frei Tito e Oscar Romero, la solidarietà al poeta e
sacerdote nicaraguense Ernesto Cardenal – di cui traduce il poema
“Quetzacoatl, Il serpente piumato” -, e l’incontro con l’india
Rigoberta Menchù sonosegni di una vicinanza profonda alle “periferie
del mondo”, pure testimoniata dal suo costante impegno per la pace.
Anche la scrittura poetica è parte integrante della sua vocazione e
si alimenta della frequentazione assidua dei testi biblici: i Salmi –
ripetutamente tradotti -, Il Cantico, Giobbe e Qohelet i libri più
amati. La sua opera si colloca a pieno titolo nel panorama della
letteratura religiosa del ‘900, più volte premiata, apprezzata da
intellettuali ed amici del calibro di Ungaretti, Santucci, Bo, Luzi,
Merini, in dialogo con la ricerca di Pasolini e Zanzotto, – suoi
conterranei -, ricondotta dalla critica alla forza espressiva delle
Laudi jacoponiche. A confermare questa “coincidenza e
inscindibilità tra vocazione alla parola e testimonianza della
Parola” (Giudici), è lo stesso Turoldo:
“La vera, la grande poesia, finisce
sempre inpreghiera: appunto, la vita stessa è un atto di fede. Per
me la poesia è lo stesso che continuare a pregare, a vivere, a
respirare.”
E poesia e profezia sono per lui
sinonimi: poeti e profeti sono “scribi del mistero”, espressione
del “disagio del razionale/l’evocazione e l’annuncio/in diversa
lucidità”. Liberi dalla presunzione di “voler tutto spiegare”,
in contrasto con il prepotente dominio della tecnoscienza, sono forse
i soli ancora in grado di stupirsi: a salvare il poeta è solo la
“Meraviglia”, lo stesso stupore dei pastori che per primi si
mossero per scoprire il “più grande evento della storia”, la
nascita di Cristo, sceso dal suo cielo per scorrere “nel torrente
della vita”.
Proprio con questo Dio, che “patisce nel cuore
dell’uomo” e “si consuma in noi”, il prete-poeta, il
contadino-teologo dialoga ininterrottamente e “combatte”. Anche
la disperazione è così virtù cristiana che nutre la speranza, e il
grido di Giobbe, eco del dolore individuale e del male della storia,
interpella il Tu-Dio, il totalmente Altro, che è “impossibile
amare impunemente”e del quale sperimentiamo anche il silenzio e
l’assenza. Perché “credere è entrare in conflitto” e il tema
della teomachia (“Il Sesto Angelo”) risulta centrale negli
scritti e nella predicazione di Turoldo.
“E’ l’Oggi di Dio nella mia
esistenza, che io devo scoprire e comunicare, altrimenti anche Dio è
un’evasione”:
e quando la diagnosi rivela la presenza
del tumore (“Ieri all’ora nona mi dissero:/ il Drago è certo,
insediato nel centro/del ventre come un re sul trono.”), anche la malattia si fa occasione di canto-preghiera, perché “credere a
Pasqua non è/giusta fede:/ troppo bello sei a Pasqua! /Fede vera è
al Venerdì santo”. Poesia, teologia e profezia calate nella storia
personale e collettiva, condensate nell’accorato ultimo invito in
prossimità della morte: “La vita non finisce mai. Aiutiamoci a
sperare!”. Riscoprire l’eredità di Turoldo credo possa davvero
aiutarci nella quotidiana fatica di far dialogare la Terra con il
Cielo, perché “casa di Dio siamo noi, se conserviamo la libertà e
la speranza di cui ci vantiamo”(Ebrei, 3,6).
Daniela Negri
Turoldo (22 novembre 1916, Sedegliano,
1992, Milano). A cent’anni dalla nascita riscoprirne l’eredità
può aiutarci nella quotidiana fatica di far dialogare la Terra con
il Cielo.
L’articolo della Prof.ssa Daniela
Negri è stato pubblicato sul mensile dell’Azione Cattolica di
Cremona Dialogo Anno XXVI n.1-2 Gennaio-Febbraio 2017.
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