40. Gli oceani non solo contengono la maggior parte dell’acqua del pianeta, ma anche la maggior parte della vasta varietà di esseri viventi, molti dei quali ancora a noi sconosciuti e minacciati da diverse cause. 41...qualunque azione sulla natura può avere conseguenze che non avvertiamo a prima vista, e che certe forme di sfruttamento delle risorse si ottengono a costo di un degrado che alla fine giunge fino in fondo agli oceani. 174. Menzioniamo anche il sistema di governance degli oceani. Infatti, benché vi siano state diverse convenzioni internazionali e regionali, la frammentazione e l’assenza di severi meccanismi di regolamentazione, controllo e sanzione finiscono con il minare tutti gli sforzi. Il crescente problema dei rifiuti marini e della protezione delle aree marine al di là delle frontiere nazionali continua a rappresentare una sfida speciale. In definitiva, abbiamo bisogno di un accordo sui regimi di governance per tutta la gamma dei cosiddetti beni comuni globali.
Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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martedì 6 marzo 2018
Anche il mare respira (ma gli togliamo ossigeno)
In acqua non c'è più aria. Non è un
gioco di parole, l’oceano sta soffocando. Dalla metà del secolo
scorso a oggi le zone oceaniche senza ossigeno, inclusi mari ed
estuari, hanno aumentato di ben quattro volte la loro estensione e le
aree con una concentrazione molto bassa hanno decuplicato le
dimensioni. Il dato, come molte informazioni importanti per il nostro
futuro che non hanno ricadute immediate, passa sotto silenzio, o
quasi. Ne parlano gli amici di Slow Food, ne parlano gli addetti ai
lavori, ma che in mare non ci sia più aria a gran parte
dell’informazione mainstream interessa poco. Che vuoi che sia, non
si vede, quindi non sarà poi così grave.
E invece dovremmo preoccuparcene.
Perché il calo di ossigeno nelle acque degli oceani è tra le
peggiori conseguenze provocate dalle attività umane a danno
dell’ecosistema terrestre. La maggior parte degli abitanti del mare
non sopravvive senza ossigeno, funziona come per noi, no? E’ una
constatazione banale se vogliamo, ma con ricadute che, in una parola,
si chiamano: estinzione. Delle creature che vivono in acqua, ma anche
degli esseri umani che dalla loro esistenza dipendono. Come infatti
riporta lo studio realizzato da GO2NE (Global Ocean Oxygen Network),
un gruppo di lavoro creato nel 2016 dalla Commissione Oceanografia
Intergovernativa delle Nazioni Unite, gli oceani nutrono oltre 500
milioni di persone e danno lavoro a più di 350 milioni, soprattutto
per quanto riguarda i Paesi in via di sviluppo. Attività minori
legate alla pesca, all’artigianato costiero e al turismo, se il
trend rimane questo, saranno le prime a subire il danno a causa delle
difficoltà a ricollocarsi altrove, senza considerare il grave
impatto che questo causerebbe sull’economia locale.
E’ Denise Breitburg, ricercatrice
statunitense in seno allo Smithsonian Environmental Research Center,
a rendere noti i risultati di un recente studio (gennaio 2018) che
non lascia presagire nulla di buono, anzi. E lancia un grave allarme:
dalle coste degli States a quelle europee, da quelle asiatiche a
quelle australiane la situazione è preoccupante e lo è a maggior
ragione proprio per le dimensioni globali dell’analisi. Sono 500 le
zone prive di ossigeno, e non più di settant’anni fa erano 50. Un
aumento vertiginoso in un tempo minimo. Non siamo senza speranza,
perché il trend potrebbe essere rallentato, se non frenato.
Basterebbe una forte volontà politica, oltre che un buon impegno
della società civile. Insomma, l’ossigeno se lo mangiano gli
agenti inquinanti riversati in mare, e sappiamo bene a quali
responsabili si risale partendo da questi presupposti.
Prima che tra le onde, oltre
all’ossigeno, venga inghiottito quel poco senno che ci rimane,
pensiamoci. Tre sono i fronti suggeriti su cui è necessario agire
tempestivamente: affrontare le cause di questo declino, in termini di
inquinamento (migliorando i sistemi di depurazione) e
surriscaldamento (diminuendo le emissioni di gas serra); proteggere
la vulnerabilità dell’ecosistema marino e della sua fauna (ponendo
aree importanti sotto tutela ambientale); migliorare la tracciabilità
delle aree a bassa densità di ossigeno (individuando così le aree
più a rischio per applicare soluzioni calibrate ed efficaci).
Insomma, in fondo sappiamo cosa occorre fare e chi occorre supportare
quando abbiamo l’occasione di sostenere come cittadini programmi
politici o azioni: dobbiamo privilegiare sistemi di produzione a
basso impatto, che non percorrano irresponsabili scorciatoie chimiche
le cui conseguenze – non tra molto tempo e non solo per la nostra
specie – piomberanno sul futuro del pianeta, condizionandone la
sopravvivenza stessa.
per intero potete leggere l'articolo su UNIMONDO
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