Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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giovedì 9 novembre 2017
La Sapienza avviene nell'incontro con l'uomo (commento di p.Balducci alla XXXII Domenica T.O.)
12 Novembre 2017 – 32^ DOMENICA TEMPO
ODINARIO- Anno A
Solo oggi noi non possiamo più parlare
di umanesimo senza vergognarci se questo umanesimo non prende le sue
misure con ogni uomo, anche col negro. Ecco perché ci vuole un di
più di amore, oggi. Non è facile.
PRIMA LETTURA: Sap 6,12-16- SALMO: 62-
SECONDA LETTURA: 1 Ts 4,13-18- VANGELO: Mt 25,1-13
…La vita di Gesù non è la vita di
un filosofo che dopo essere stato nel silenzio, nella meditazione,
annuncia ai suoi discepoli una dottrina esoterica. Gesù camminava
sul sentiero umano e lo faceva in modo tale che se noi ce lo
rappresentassimo fino in fondo avremmo scandalo di Lui. «Beati
coloro che non si scandalizzano di me». Gesù non era che un uomo
accanto agli uomini: solo chi ha capito questo può parlare di Lui
come Dio. È questa la sapienza di cui abbiamo bisogno. Essa ha le
stesse dimensioni dell' amore e poiché noi viviamo in un tempo in
cui la distinzione fra il privato e il pubblico si annienta, in cui
anche le decisioni private hanno riflessi pubblici e le decisioni
pubbliche hanno riflessi potenti sulla vita privata, abbiamo bisogno
di una sapienza che si estenda per tutto l'arco delle nostre
responsabilità. Ecco perché io penso che oggi il frutto più alto
della sapienza è quello che ci porta ad intendere il nostro tempo
con amore e cioè a cercare nel nostro tempo la pace.
Quando diciamo
pace, nel linguaggio che è contestuale al rito che celebriamo la
domenica, noi parliamo di una pace totale, che investe il modo di
rapportarci al prossimo, le relazioni pubbliche fra i popoli. Questa
è la luce della sapienza. Se io metto due uomini di pari competenza,
due grandi scienziati, a discutere sul pericolo di guerra e di pace,
essi, a parità di cognizioni, possono dividersi per diversità di
amore. Se uno dei due è appassionato per la salvezza dell'uomo e ha
già deciso che l'uomo non deve uccidere l'uomo, troverà nelle
cognizioni che ha in possesso i punti di appoggio per la sua tesi di
sapienza; l'altro troverà negli stessi dati argomenti per sostenere
il prolungamento dell'attuale situazione che è quella
dell'equilibrio del terrore. Quel che decide non è un più di sapere
ma è un più di amore. Noi abbiamo bisogno di questo più di amore.
Tutta la nostra cultura è nata all'interno di orizzonti
particolaristici anche se non ce ne siamo accorti. Un tempo un
fiorentino con il suo linguaggio culturale, parlava dell'uomo con la
U maiuscola.
Qui è nato l'umanesimo. Ma quando qui nasceva
l'umanesimo, c'erano ancora oltre l'Atlantico, gli Indios e nell'
Africa i negri che dell'umanesimo nulla sapevano. E noi credevamo di
parlare dell'uomo. Si parlava di noi, della nostra isola. Solo oggi
noi non possiamo più parlare di umanesimo senza vergognarci se
questo umanesimo non prende le sue misure con ogni uomo, anche col
negro. Ecco perché ci vuole un di più di amore, oggi. Non è
facile. La spinta del passato, che è una specie di forza di inerzia,
ci soffoca. Anche nei discorsi di uomini politici, senza distinzione
fra i migliori o i peggiori, c'è una insularità culturale che fa
paura.
Se noi non ci preoccupiamo, non dico della fame del mondo -
per tornare ad un tema, mi vergogno di dirlo, vieto, tanto se ne
parla sterilmente, senza conseguenze - ma di tutte le attese umane e
a dimensione politica, delle attese sociali del mondo intero, senza
passare da qui, il nostro discorso non è sapiente. Potrà essere
vantaggioso, machiavellicamente efficace, ma nell'immediato la
catastrofe si avvicina, il rischio della fine aumenta, perché
l'esser molto intelligenti, all'interno di un sistema falso, è un
pericolo, in quanto l'intelligenza deduttiva porta alle estreme
conseguenze i mali insiti nel sistema. Un certo empirismo rimedia da
sé ai propri errori ma la deduttività dell'intelligente, in un
sistema erroneo, è micidiale. Noi dobbiamo, ricordiamocene, uscire
fuori dai perimetri del sistema per sedere accanto all'uomo e
aspettare che la sapienza venga.
La sapienza viene proprio
nell'incontro con l'uomo. E lei che ci sta cercando. Se noi
incontrando in città, a Firenze, un negro ci sedessimo con lui
perché ci raccontasse la sua storia, noi ci vergogneremmo! La
sapienza viene attraverso il volto degli uomini di colore, ma noi non
ce ne curiamo o al più siamo caritatevoli, facciamo opera di
assistenza ma non ascoltiamo la sapienza. Se noi chiedessimo a un
ragazzo che si smarrisce nella droga e nella violenza perché ci
racconti la sua vita, la sapienza verrebbe a noi. Ma noi non
ascoltiamo, noi prepariamo le strutture per relegarci i delinquenti e
i drogati, ma non ascoltiamo. La nostra è una cultura che produce da
sé i propri rimedi, i propri strumenti e i propri progetti, ma non
ascolta più. Torno al punto di partenza. Il nostro modo di vivere
l'attesa della fine deve essere di tenere la lampada ricolma di olio.
Questo olio è la sapienza che si deve esercitare nella dimensione
del quotidiano. Se pensate a tutte le volte che avete scansato un
incontro, avete scansato un ascolto, vi siete sbrigati per una
presenza inopportuna ... forse avete contato le occasioni in cui la
sapienza stava per venire verso di voi e voi non l'avete voluta
ascoltare.
Ernesto Balducci – da: “Il vangelo
della pace” – vol. 1
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