Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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giovedì 19 luglio 2018
Abbracciami! Viaggio in Brasile. 18 luglio 2018
Ultimo giorno a Jequie. Iniziamo a sentire quel sapore in bocca, come d'alluminio per il rientro non solo a Salvador, ma in Italia. Ed i vari saluti del giorno sembrano tutti un po più defintivi e ricchi di augurio e benedizione.
Neanche da dire che sia stata una giornata poco intensa. Al mattino visitiamo i due asili sulla cui questione avevo scritto ieri. Poi col gruppo di pastorale carceraria ci viene offerta la possibilità di entrare in carcere. Quasi in ritardo, e per la fretta tiriamo dritti su qualche Kebra Molla, i dossi (nostri compagni abituali sulle strade, e se non ce ne accorgiamo i passeggeri di dietro si prendono colpi da coccige infranto!), arriviamo per l incontro e il pranzo col vescovo José. Un Po di riposo e due passi vicino al Rodoviario, (stazione corriere), prima della messa e cena serale di saluto con le suore.
Entrare nel carcere sembra essere un processo facile qui, ma in questo caso è più una eccezione: nelle altre carceri le perquisizioni sono molto attente ed essere stranieri è un buon motivo per impedirti l'ingresso. La presenza della pastorale carceraria ha significato anche il riconoscimento di diritti disattesi, ma non tutti.
Per esempio il cortile interno quando entriamo nelle due zone visitate, è pieno di persone fuori dalle celle, praticamente gli è permesso per tutto il giorno. Ciò compensa in parte il sovraffollamento del carcere, che è un problema in tutto il Brasile. In questo i posti disponibili sono 300 ma attualmente ce ne sono 700, per cui in celle pensate per max 3 persone, ci vivono in 8/10. E questo non è neppure uno dei peggiori, anzi!
Quando si sblocca il cancello che chiude il corridoio di ingresso fatto di due cancellate, ecco quello che vediamo: siamo ad un angolo del cortile quadrato, che è percorso da una serie di fili paralleli dove sono stesi panni, indumenti, coperte, ad asciugare o prendere il sole. La parete di fronte è solo muro, alto 5/6 metri credo, bloccato in alto da una rete elettrificata sporgente all'interno. Sui due altri lati si guardano, occhieggiando tra i panni, le celle tutte aperte, con parecchio materiale personale ammucchiato fuori. Sul ciglio del muro, in alto, in numero quasi identico a quello delle celle, sporgono antenne rivolte al cielo ma zavorrate di bottiglia di plastica ripiene d'acqua. L'impressione è di una certa tranquillità. Alcuni che erano usciti per lavorare orti interni, rientrano portandosi dietro le zappe! Franco, responsabile per lo stato di Bahia della pastorale carceraria, che insieme a padre William ci fa da guida, ci racconta anche che qui sono state abolite le punizioni e le celle di isolamento, frutto di venti anni di lotta della pastorale carceraria.
I carcerati si accostano fraternamente a loro, si capisce che cercano una parola, oppure essi stessi si confidano. Anche questo è pastorale carceraria, dare un elemento di vita familiare per ricostruire stili di relazione non più improntati alla violenza e proprio interesse, ma alla gratuità e all amore.
Però di alcune storture del sistema non si viene a capo, e non sono cose minime. Più di due terzi dei presenti sono in attesa di giudizio, e scontano già una pena senza sapere di essere colpevoli. Su 500 comuni, solo 36 hanno avvocati di ufficio gratuiti, che spesso lavorano svogliatamente o sovraccarichi. Molti carcerati vengono da fuori regione, semplicemente perché arrestati in questo stato, qui vengono imprigionati. Perciò sono più isolati dai familiari e hanno maggiori difficoltà per il processo.
La popolazione carceraria è in maggioranza composta di persone delle favelas, sono afro o meticci, cioè i più fragili nei percorsi di famiglia, educazione, lavoro, condizioni di vita.
Apparentemente non qui, ma altrove in molte carceri ci sono le mafie interne degli stessi malavitosi condannati, che di fatto controllano il traffico della droga dentro e fuori. Del resto il capo di imputazione per cui quasi tutti sono dentro è proprio il traffico di droga, ed i suoi correlati, furto e omicidio. Non è poi raro l abbinamento di guardie violente e di guardie che si lasciano corrompere, in una ricerca di potere che per molti carcerati è tutto ciò che bisogna ottenere, anche più importante della stessa vita! La vera coppa del mondo da vincere qui dentro -dice padre William- non è quella del calcio ma dei diritti umani!
Far rinascere l'umanità di questi uomini, è un po la speranza che il tronco di Iesse generi una nuova pianta. Ma con Gesu, per noi, è successo. E le relazioni umane che i volontari intessono vanno in questa direzione.
Intanto il primo passionale canto è iniziato. Siamo in cerchio. Un uomo, Marco, che ha ottenuto di poter tenere la chitarra in cella, suona una canzone. È un evangelico, come altri qui dentro. Ma ciò che importa è pregare insieme.
Cantano di una forza che hanno ricevuto da Gesù, di essere liberati da dentro. Un altro canto parla di un dialogo con Dio che non necessita di cellulari, di cui non si deve aver paura,e che si può fare anche da dentro una cella. Un secondo imprigionato ci vuole cantare un testo che ha scritto lui stesso: implora di vivere, tornare a vivere. Soffre dentro e anche le visite di moglie e figlio che portano gioia, vengono interrotte dalla voce del secondino che interrompe l'ora di colloquio. Ed allora si affida a Gesù che ha portato nel suo regno per primo il ladrone pentito.
È ora di spostarci nell'altro blocco dove sono tenute le donne.
La loro situazione è migliore come affollamento, i posti sono più che sufficienti, ma per loro la sofferenza è maggiore rispetto ai carcerati uomini. Per le donne le visite sono richieste molto meno, marito e compagni si fanno di nebbia. Oltre all'isolamento dovuto al carcere, spesso patiscono una condanna alla solitudine anche da chi doveva stargli vicino.
Sembrano molto giovani, una ragazza è anche in cinta, ma non le viene riconosciuto il diritto al parto e ai mesi di allattamento in regime di arresti domiciliari. Alcune manifestano una sicurezza da leader ostentata, ma altre sembrano davvero delle fragili studentesse liceali che dovrebbero trovarsi altrove. I volontari qui hanno un ruolo davvero importante di garantire un supporto familiare. Ci salutano con affetto, e mentre ci allontaniamo Franco ci dice che il canto intonato è l inno che fanno quando una di loro finisce la pena e viene scarcerata.
Non abbiamo parole.
Il gesto che chiude la nostra visita è un saluto. Mentre ci dirigiamo al cancello principale, incrociamo una guardia ed un ragazzo. Lui è ammanettato dietro la schiena, ma ci vuole comunque stringere la mano.
Ci sono luoghi dove entri ma tu sai che uscirai, e ti chiedi cosa lascerai a chi ti guarda sapendo che la tua condizione è opposta alla sua e che ogni parola pronunciata suonerà forse come il cartiglio dolciastro di un cioccolatino.
Puoi solo sperare allora non tanto nelle parole, ma che la congiunzione tra esseri umani valichi anche le soglie del dolore e della sofferenza, e spiccichi qualcosa di una umanità sana, disposta a condividere, a farsi carico, e a tenere in se una memoria dell'altro che sia incisa nella propria carne. Faccia anche male, purché ci ricordiamo.
[Oggi 19 luglio viaggeremo per rientrare a Salvador. Mi tengo quindi la parte di incontro con il vescovo e saluto alle suore per il diario di domani. d onde].
Neanche da dire che sia stata una giornata poco intensa. Al mattino visitiamo i due asili sulla cui questione avevo scritto ieri. Poi col gruppo di pastorale carceraria ci viene offerta la possibilità di entrare in carcere. Quasi in ritardo, e per la fretta tiriamo dritti su qualche Kebra Molla, i dossi (nostri compagni abituali sulle strade, e se non ce ne accorgiamo i passeggeri di dietro si prendono colpi da coccige infranto!), arriviamo per l incontro e il pranzo col vescovo José. Un Po di riposo e due passi vicino al Rodoviario, (stazione corriere), prima della messa e cena serale di saluto con le suore.
Entrare nel carcere sembra essere un processo facile qui, ma in questo caso è più una eccezione: nelle altre carceri le perquisizioni sono molto attente ed essere stranieri è un buon motivo per impedirti l'ingresso. La presenza della pastorale carceraria ha significato anche il riconoscimento di diritti disattesi, ma non tutti.
Per esempio il cortile interno quando entriamo nelle due zone visitate, è pieno di persone fuori dalle celle, praticamente gli è permesso per tutto il giorno. Ciò compensa in parte il sovraffollamento del carcere, che è un problema in tutto il Brasile. In questo i posti disponibili sono 300 ma attualmente ce ne sono 700, per cui in celle pensate per max 3 persone, ci vivono in 8/10. E questo non è neppure uno dei peggiori, anzi!
Quando si sblocca il cancello che chiude il corridoio di ingresso fatto di due cancellate, ecco quello che vediamo: siamo ad un angolo del cortile quadrato, che è percorso da una serie di fili paralleli dove sono stesi panni, indumenti, coperte, ad asciugare o prendere il sole. La parete di fronte è solo muro, alto 5/6 metri credo, bloccato in alto da una rete elettrificata sporgente all'interno. Sui due altri lati si guardano, occhieggiando tra i panni, le celle tutte aperte, con parecchio materiale personale ammucchiato fuori. Sul ciglio del muro, in alto, in numero quasi identico a quello delle celle, sporgono antenne rivolte al cielo ma zavorrate di bottiglia di plastica ripiene d'acqua. L'impressione è di una certa tranquillità. Alcuni che erano usciti per lavorare orti interni, rientrano portandosi dietro le zappe! Franco, responsabile per lo stato di Bahia della pastorale carceraria, che insieme a padre William ci fa da guida, ci racconta anche che qui sono state abolite le punizioni e le celle di isolamento, frutto di venti anni di lotta della pastorale carceraria.
I carcerati si accostano fraternamente a loro, si capisce che cercano una parola, oppure essi stessi si confidano. Anche questo è pastorale carceraria, dare un elemento di vita familiare per ricostruire stili di relazione non più improntati alla violenza e proprio interesse, ma alla gratuità e all amore.
Però di alcune storture del sistema non si viene a capo, e non sono cose minime. Più di due terzi dei presenti sono in attesa di giudizio, e scontano già una pena senza sapere di essere colpevoli. Su 500 comuni, solo 36 hanno avvocati di ufficio gratuiti, che spesso lavorano svogliatamente o sovraccarichi. Molti carcerati vengono da fuori regione, semplicemente perché arrestati in questo stato, qui vengono imprigionati. Perciò sono più isolati dai familiari e hanno maggiori difficoltà per il processo.
La popolazione carceraria è in maggioranza composta di persone delle favelas, sono afro o meticci, cioè i più fragili nei percorsi di famiglia, educazione, lavoro, condizioni di vita.
Apparentemente non qui, ma altrove in molte carceri ci sono le mafie interne degli stessi malavitosi condannati, che di fatto controllano il traffico della droga dentro e fuori. Del resto il capo di imputazione per cui quasi tutti sono dentro è proprio il traffico di droga, ed i suoi correlati, furto e omicidio. Non è poi raro l abbinamento di guardie violente e di guardie che si lasciano corrompere, in una ricerca di potere che per molti carcerati è tutto ciò che bisogna ottenere, anche più importante della stessa vita! La vera coppa del mondo da vincere qui dentro -dice padre William- non è quella del calcio ma dei diritti umani!
Far rinascere l'umanità di questi uomini, è un po la speranza che il tronco di Iesse generi una nuova pianta. Ma con Gesu, per noi, è successo. E le relazioni umane che i volontari intessono vanno in questa direzione.
Intanto il primo passionale canto è iniziato. Siamo in cerchio. Un uomo, Marco, che ha ottenuto di poter tenere la chitarra in cella, suona una canzone. È un evangelico, come altri qui dentro. Ma ciò che importa è pregare insieme.
Cantano di una forza che hanno ricevuto da Gesù, di essere liberati da dentro. Un altro canto parla di un dialogo con Dio che non necessita di cellulari, di cui non si deve aver paura,e che si può fare anche da dentro una cella. Un secondo imprigionato ci vuole cantare un testo che ha scritto lui stesso: implora di vivere, tornare a vivere. Soffre dentro e anche le visite di moglie e figlio che portano gioia, vengono interrotte dalla voce del secondino che interrompe l'ora di colloquio. Ed allora si affida a Gesù che ha portato nel suo regno per primo il ladrone pentito.
È ora di spostarci nell'altro blocco dove sono tenute le donne.
La loro situazione è migliore come affollamento, i posti sono più che sufficienti, ma per loro la sofferenza è maggiore rispetto ai carcerati uomini. Per le donne le visite sono richieste molto meno, marito e compagni si fanno di nebbia. Oltre all'isolamento dovuto al carcere, spesso patiscono una condanna alla solitudine anche da chi doveva stargli vicino.
Sembrano molto giovani, una ragazza è anche in cinta, ma non le viene riconosciuto il diritto al parto e ai mesi di allattamento in regime di arresti domiciliari. Alcune manifestano una sicurezza da leader ostentata, ma altre sembrano davvero delle fragili studentesse liceali che dovrebbero trovarsi altrove. I volontari qui hanno un ruolo davvero importante di garantire un supporto familiare. Ci salutano con affetto, e mentre ci allontaniamo Franco ci dice che il canto intonato è l inno che fanno quando una di loro finisce la pena e viene scarcerata.
Non abbiamo parole.
Il gesto che chiude la nostra visita è un saluto. Mentre ci dirigiamo al cancello principale, incrociamo una guardia ed un ragazzo. Lui è ammanettato dietro la schiena, ma ci vuole comunque stringere la mano.
Ci sono luoghi dove entri ma tu sai che uscirai, e ti chiedi cosa lascerai a chi ti guarda sapendo che la tua condizione è opposta alla sua e che ogni parola pronunciata suonerà forse come il cartiglio dolciastro di un cioccolatino.
Puoi solo sperare allora non tanto nelle parole, ma che la congiunzione tra esseri umani valichi anche le soglie del dolore e della sofferenza, e spiccichi qualcosa di una umanità sana, disposta a condividere, a farsi carico, e a tenere in se una memoria dell'altro che sia incisa nella propria carne. Faccia anche male, purché ci ricordiamo.
[Oggi 19 luglio viaggeremo per rientrare a Salvador. Mi tengo quindi la parte di incontro con il vescovo e saluto alle suore per il diario di domani. d onde].
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