Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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sabato 23 maggio 2020

23 maggio 2020 “cantate inni con arte” (commento a Gv 16, 23b-28)

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena.
Queste cose ve le ho dette in modo velato, ma viene l’ora in cui non vi parlerò più in modo velato e apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre stesso infatti vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio.
Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre».


La nostra preghiera sarà la risposta alle parole sul Padre che Gesù ci dirà. La nostra risposta è chiedere di avere lo stesso nome di Gesù, “figlio”, quando staremo davanti al Padre con le nostre parole, e balbettando richieste che domani ci sembreranno sorpassate, capiremo di che stoffa ogni giorno siamo amati! Perché avere un nome è non restare orfani. Questa era la promessa all’inizio del discorso: “non vi lascerò orfani”. Ora Gesù ci accompagna e ci colloca nel punto più accessibile, meno ostacolabile, di fronte a Dio: “il Padre stesso vi ama perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio”.

Capire chi siamo non nasce da identità genetica, neppure da quella del potere nel proprio gruppo di appartenenza. Non è frutto di una affermazione autoreferenziale. Sapere chi sono implica sapere di essere amati. La maturità raggiungerla nel momento in cui sappiamo amare noi stessi come Dio ci ama. Il Vangelo annunciarlo quando rispondiamo con amore alle vicende della nostra vita. Ecco!, per esempio, saper dire che possiamo amare anche questo tempo, che è un limbo dopo l’isolamento, che è un interrogarsi come star sicuri dalla malattia, che può farci pensare al passo differente che le nostre vite hanno preso, nel dolore certamente, ma anche in una consapevolezza che molte cose si possono fare in un modo diverso. Imparare a stare con sé stessi e riflettere: che grande occasione!

Pierre Rabhi, in nome della terra
Durante il mio servizio civile in una casa famiglia della Papa Giovanni XXIII, ebbi modo di ascoltare don Oreste Benzi di persona. Durante un incontro ci disse che: “quando ami una persona la rigeneri alla vita.” Come la partorissi di nuovo. Di questo amore materno e paterno abbisogna il nostro tempo, noi stessi ne sentiamo la necessità. Riceverlo e donarlo. Siamo cristiani così, partendo da questo ascolto, della sete degli altri, dei piedi consumati di chi vive in strada, della terra che chiede a noi una risposta: “che male ti ho fatto?”. E poi c’è il Padre, dal quale siamo usciti e al quale andiamo.

Donde

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