Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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domenica 10 maggio 2020

10 maggio 2020 “dell’amore del Signore è piena la terra” (commento a Gv 14, 1-12)

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere.
Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».


La casa del Padre mio: torno a questa espressione magnifica del Vangelo secondo Giovanni, un dono alla serena inquietudine di quanti cristiani colgono seriamente la missione. Un riferimento alla casa del Padre che diede occasione a don Primo Mazzolari di parlare della chiesa nel suo ultimo intervento alla missione di Ivrea dell’ottobre 1958, di fatto identificando Chiesa e casa del Padre: “cosa ne avete fatto della mia casa?”.

Scrive: “la conclusione delle missioni. Han detto che queste erano giornata del ritorno. Io quasi sarei del pensiero di farla diventare la giornata dell’allontanamento. Non giudicatemi male su questa parola, perché se c’è una situazione che va mutata nella cristianità di oggi è quel rimanere senza convinzione e senza amore nella casa del Padre.” Mi sono andato a rivedere queste parole quando alcuni giorni addietro, ad un incontro, un prete ha notato la struttura a “carrozzoni” dei fedeli, che si troverebbero a vivere una scarsa consistenza spirituale personale, ad esclusivo traino del prete di riferimento, che faccia da motore: “sono poche le locomotive tra chi frequenta”. Ovviamente questo non avviene per generazione spontanea, forse anche le “locomotive clericali” sviluppano il mandato missionario più sul fare che sull’essere, più su scadenze del calendario che per la gioia e la vita, trascinando in questa “alta velocità” tanto l’educazione alla Parola, quanto la maturità nei cristiani.

Ieri come oggi il cristiano -o forse il credente in genere??- fa in fretta a passare da una collocazione dinamica e di servizio, ad una statica e di potere. Si può occupare un posto nella casa del Padre per l’utilità che ne posso trarre, o anche solo per quella sicurezza senza desideri che mi rassicuri. Situazioni simili sono spesso registrate nelle scritture come in quelle odierne. Nel testo degli Atti, ad esempio, lo vediamo accadere nel conflitto di ruolo, e dunque di potere, interno alla comunità tra cristiani provenienti dal mondo ebraico rispetto a quelli dal mondo greco, e cioè senza il pedegree del popolo eletto! L’attenzione è focalizzata sull’aiuto concesso alla fascia più debole, le vedove, ma come segno di un turbamento generale nella comunità che finisce per bloccare l’annuncio della Parola. La crisi finirà non per chiudere ma darà occasione di apertura alla comunità: gli apostoli devono dichiararsi deboli e non sufficienti a guidarla da soli. In ultima analisi è quello il problema: essi hanno conosciuto Gesù, possono dunque essere guide ma non esercitare questo come un esercizio assoluto di potere. Volevano fare tutto da soli, anche loro interpreti smemorati che non si può essere i figli che non lasciano la casa del Padre, senza occuparla contro i figli prodighi che vorrebbero tornare in quella casa! L’essere pietre scartate è ciò che rende possibile annunciare la pietra angolare (cfr la lettera di Pietro che oggi ascoltiamo). Se è bella la casa del Padre, è perché Dio non si manifesta in Gesù come il costruttore che edifica solo con pietre perfette e squadrate. La forza di abitare senza esclusioni questa casa è proprio in questo riferirsi a Cristo: “Siccome è fondata su un’altra pietra, siccome non ha bisogno di me, allora è coì bello spalancare il cuore  e chiedervi perdono in nome di una verità che non sappiamo ripetere degnamente, in nome di una grazia che non sappiamo trasmettervi con le mani pure, in nome di un richiamo morale che si inabissa dentro di noi, perché non siamo capaci neanche di prenderlo in mano!”.

Essere d’inciampo fa pensare piuttosto a certe malghe raffazzonate che si incontrano sui sentieri interrotti in montagna. Nella chiesa e nel mondo vedrò meglio la presenza di Dio nelle pietre scartate che in quelle che si mostrano come tagliate con marmoreo fil di piombo. Probabilmente in noi questa tensione genera un conflitto: cerco nella società un appiglio che mi autentichi come persona di valore e magari con un potere da esercitare, e al contempo mi trovo non solo a interrogarmi se sto escludendo qualcuno in questa ricerca di affermazione, ma se non sono io stesso pietra scartata, ben al di sotto dell’ideale me stesso che costruisco come un muro contro gli altri. E allora metto in crisi la costruzione fino a quel momento stabilita. Forse è questa la santa ribellione di cui parla don Primo: “fino a quando ci sarà qualcheduno che troverà tra il cristiano e il Cristo, tra il prete e il Cristo i segni, così facili a scoprirsi, di una distanza che non è soltanto di parole ma che è di opera, di dignità morale, di capacità di cuore, allora io vi dico che la chiesa ha spalancato le porte dei poveri. Quello che mi fa male sono questi momenti di disinteresse, di indifferenza. Allora vuol dire che c’è qualcosa di spento nell’ideale della vita cristiana davanti ai vostri occhi. Bisogna che noi abbiamo delle sante ribellioni, e vorrei quasi strapparvela questa santa ribellione, perché è la prova di una continuità di vita che, quando non siamo capaci di poterla preparare nel nostro animo, almeno che la sappiamo arditamente sognare quasi direi, violentemente imporre.”

Che altro dire? Una sana revisione di vita e conversione può iniziare quando ci mettiamo sul serio a guardare in che modo amiamo o siamo indifferenti alla nostra comunione di chiesa. Se ci stiamo in forma elitaria, magari pensando che turarci il naso verso alcune storture possa fare di noi dei cristiani saggi e pazienti, invece di appassionarci anche alle povertà e cercare quanto è vitale nella chiesa di cui siamo membra.  “Vorrei farvi sentire che questa nostra povera umanità ha bisogno di poter pesare attraverso le proprie mani e il proprio cuore quello che vi è di vero, di buono, di sereno e di pacifico e di accogliente e di cordiale nella casa del Padre, perché quando sarete stanchi di fissare l’occhio sulla nostra indegnità, alzate gli occhi e vedrete il volto di Cristo, anche crocifisso: è il volto di un fratello che vi può dare tutte le garanzie.”

Donde

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