Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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martedì 12 maggio 2020

12 maggio 2020 “riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro” (commento a Gv 14, 27-31)

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prìncipe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco».


“Vado e tornerò da voi”. Gesù torna al presente, e questo ne è il congedo. Dopo avere risposto ai suoi e prima dei tre capitoli sulle relazioni (Gv 15-17), il maestro saluta i suoi in un modo unico. Non a caso questo congedo è divenuto liturgia eucaristica: chi presiede le pronuncia quasi letteralmente prima dello scambio della pace. Francesco d’Assisi la pone come uno dei due polmoni caratteristici dell’ordine: pax et bonum. La nascita del Signore stesso era avvenuta mescolando il vagito del bimbo tra i suoi genitori, e l’annuncio degli angeli ai poveri (questo erano i pastori, tenuti ai margini, sospettati sempre di furto, nomadi di vita e di casa): “Pace in terra agli uomini che egli ama”. La pace messianica annunciata da Isaia e da Michea si è realizzata: il Signore delle schiere celesti, il Dio dell’alto dei cieli invierà uno che toglierà ogni lontananza, ogni separazione nell’uomo che genera turbamento e paura.

Quando dobbiamo pensare ad un saluto, forse la parola “pace” non è la prima a venirci in mente. Uno dei passaggi che dovremo affrontare nei prossimi mesi sarà proprio il mancato addio ai nostri cari durante il periodo COVID. Certe forme di negazione della nostra fragilità e rimozione della morte dalla cultura nel sociale che abitiamo, si sono espresse anche sotto forme apparentemente innocue come l’hashtag andràtuttobene: ci ha pensato una bimba di Cagliari a dire che non sempre il re è vestito, cambiando, dopo alcuni giorni, la scritta su un foglio che i genitori avevano esortato a disegnare, correggendolo in “NON CREDO andrà tutto bene”. Tutt’altro che pessimista, questa frase cerca di rimediare ad uno strabismo carico di tensione in cui ci siamo spesso ritrovati in questi mesi, e peggio ancora lo abbiamo vissuto in solitaria compagnia pensando che il pur benefico scambio di contatto virtuale possa sostituire quello reale, con cui prima o poi dovremo fare i conti. Con un occhio impaurito guardavamo i dati e le bare, paura di un invisibile contagio che suonava come sentenza, con l’altro cercavamo di stare orientati al futuro, alla speranza, alla vita. Il passaggio, la pasqua, sarà cercare di integrare in noi questa parola che Gesù pronuncia per i suoi che stavano soffrendo lo stesso strabismo (momento di gloria del loro maestro, annuncio concreto della sua condanna a morte).

Quale parola può condizionare tutto il resto della nostra vita più di un ultimo saluto a qualcuno, fosse anche solo per un definitivo spostamento delle coordinate esistenziali? Gesù sceglie “pace” come parola definitiva che lasciasse un sapore in bocca ai suoi di cosa significasse questo non essere lasciati orfani di paternità. Questa parola non chiude alla realtà, né un pacifista si può chiamare tale se considera la pace solo come assenza di guerra. La pace, stella polare di ogni missione, dice che non esiste nessun fatto della nostra vita che sia solo chiusura. Ogni momento, ogni dolore, ogni saluto è anche un accesso completamente nuovo (di qui anche la fatica di ri-nascere) alla vita.

Ieri un suggerimento finale dall’incontro con studenti e non solo, ci ha proposto di salutarci comunque con le persone che incrociamo, oltre la mascherina che rischia di essere un agile e giustificante nascondimento. Oggi il vangelo ci offre la parola che non è facile dire ma che sarebbe il saluto più appropriato, che più lascerebbe nel cuore dell’altro un inizio di cammino:  “Pace”, è questo il saluto.

Donde

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