Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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mercoledì 1 aprile 2020

1 aprile 2020 LUCI (commento a Gv 8, 31-42)

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro».

Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro».
Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato».



Come introduzione alla preghiera del Padre nostro, all’interno della liturgia eucaristica, possiamo scegliere tra varie formule. Quella che pigramente svetta tra le altre è la canonica “obbedienti alle parole del salvatore, e formati al suo divino insegnamento, osiamo dire”, in una sonorità che cerca un poco di quella solenne pregnanza del testo latino. La seconda si esprime così: “Il Signore ci ha donato il Suo Spirito. Con la fiducia e la libertà dei figli, diciamo insieme”.
La parola latina obbedire della prima ha il senso derivato di eseguire qualcosa che ci viene detto o esplicitamente ordinato. La composizione della parola mette insieme il verbo ascoltare e la preposizione “ob”, che tra i suoi significati ha anche quello direzionale, “verso”, quasi a dire che il mio ascolto è immerso completamente nella voce di chi mi parla. Penso al salmo 122 (123), che in un momento di difficoltà, vede il popolo con le orecchie tese verso il Signore in attesa del Suo intervento: “A te alzo i miei occhi, a te che siedi nei cieli. Ecco, come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni, come gli occhi di una schiava alla mano della sua padrona, così i nostri occhi al Signore nostro Dio, finché abbia pietà di noi. Pietà di noi, Signore, pietà di noi, siamo già troppo sazi di disprezzo, troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti, del disprezzo dei superbi.”. un salmo ben contestualizzabile nelle nostre giornate!
Oppure a episodi evangelici, quando Gesù incontra qualcuno e opera con la sua potenza un segno, che però chi gli sta di fronte non può vedere immediatamente realizzato, ma sulla sua parola parte e rientra per verificare che così è avvenuto, come succede al funzionario del re: “Quell'uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino.” (Gv 4,50). Oppure nella vocazione di Simone descritta dall’evangelista Luca, quando alle parole di Gesù sulla pesca, risponde: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». (Lc 5,5).
Nell’altra introduzione liturgica al Padre Nostro, la luce dell’obbedienza viene per così dire filtrata in un prisma e si manifesta in alcuni suoi colori: la fiducia, la libertà, l’essere figli. Tutto ciò come effetto del dono dello Spirito Santo, intersezione radicale con il Figlio. E quando una cosa ci viene donata, non possiamo fare come Totò nei suoi film quando diceva: “Parli come badi, Lei non sa chi sono io!”. Non è per nascita, ma per volontà del Signore della vita e per Battesimo, che diveniamo figli.
In mille delle nostre catechesi affermiamo che senza libertà non c’è amore, ma quanta di questa nostra libertà è piuttosto frutto dell’abitudine. La piantina dello Spirito la continuiamo ad annaffiare dentro il vasetto, e possedere quel vasetto ci sembra sufficiente per affermare che siamo cristiani: “…non siamo mai stati schiavi di nessuno,…siamo figli di Abramo,…abbiamo un solo padre: Dio!” dicono quei giudei che si trovano innanzi a Gesù, piccati nel loro amor proprio. Si può essere figli e non riconoscere il Figlio di Dio? Certamente: basta evitare di chiamare gli altri sorelle e fratelli, padri e madri, uomini liberi e non schiavi.
Per essere liberi, per essere figli, per riconoscere il dono ricevuto, non basta dire che i nostri nonni hanno passato il deserto. Forse lo stiamo passando anche noi e quello che stiamo vivendo potrebbe essere il tempo della nostra figliolanza. Certo che è un tempo né desiderabile, né che si vorrebbe ripetere, ma visto che è qui, che è questo il nostro tempo, come sortirne senza che sia un lamento soltanto per le nostre abitudini sconvolte.
È un discorso adulto, ma il deserto, l’attesa, il desiderio, la gioia di potersi incontrare, la sofferenza per il non poterlo fare, ci fa entrare nella dinamica dell’innamorato, che è sintomo migliore della nostra libertà di quanto non lo sia il fare sempre le cose uguali per cercare conferme e sicurezza.
Mi chiedo per esempio quanti vivono schiavi in mezzo a noi, nel nostro mondo ora sconvolto nei suoi meccanismi di produzione e consumo. Per esempio: chi di noi che può leggere questa pagina con il suo accesso ad internet e al sistema elettrico, farebbe a cambio con chi è senza casa in queste settimane e magari è costretto a vivere a stretto contatto con altri in strutture di fortune? Sono convinto che ciascuno ne penserà altri di esempi! Forse dovremmo fare attenzione a quando la nostra libertà che non poggia sulla comunione (con Dio) e sulla condivisione (con gli altri), diventa privilegio e crea distanze e nemici. Mi vengono in mente alcuni passi di Isaia che ci devono scuotere ancora oggi (Is 1,10-20), e anche se ci fa soffrire questo prolungato digiuno eucaristico, entriamo nella visione del corpo di Cristo che siamo, che è la Chiesa. Allarghiamo i nostri sensi, espandiamo la nostra capacità di sentire con tutto il nostro corpo e con il nostro capo che è il Cristo. E allora obbedire ed amare non saranno distanti, né avremo bisogno di appellarci a qualche nostra eredità, perché semplicemente “siamo”!

Mai come oggi voglio chiamarti sorellina, fratellino, mammina, babbino, nonnina e nonnino…miei!

Donde

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