Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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lunedì 27 aprile 2020

27 aprile 2020 “Ho scelto la via della fedeltà” (commento a Gv 6, 22-29)

Dal vangelo secondo Giovanni
Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie.
Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».


C’è un punto di rottura nelle cose, che solo vagamente viene annunciato da qualche segnale: una goccia che sentiamo cadere da giorni da qualche parte in bagno, un tubo ossidato intorno ad uno snodo passante. Dicono alcuni di sentire un boato poco prima del terremoto, come se la terra buttasse fuori un fiato scolpito nel buio sotterraneo e gridato fuori, urla di un guerriero prima di attaccare ed uccidere. Nei vangeli Gesù sembra quasi con ironia ricordare che prima della pioggia del diluvio o di quella di fuoco, tutto filava liscio e normale: “mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano”. C’è da chiedersi come un mondo quale il nostro, così tecnicamente rassicurato dalle proprie capacità e convinto di crescere senza limiti e arricchirsi illimitatamente, sia tanto incapace di dare un peso ai segnali che chiedono un cambiamento, quasi che gli squilibri di distribuzione dei beni e il peso sulla madre terra fossero un prezzo accettabile. Ascoltando solo ciò che è in nostro potere fare, il possibile infine ci ha posseduto? Ciò che è ignobile, ciò che è disprezzato, ciò che è nulla nel mondo (cfr 1Cor 1,28), far finta che non esista? Nel 1983 uscì in sala questo documentario-film che trae il titolo da una parola profetica - Koyaanisqatsi - della lingua amerindia hopi, che significa "vita in tumulto", oppure "vita folle; vita tumultuosa; vita in disintegrazione; vita squilibrata; condizione che richiede un altro stile di vita".

Una delle caratteristiche di chi sceglie la sequela di Gesù, è quella di accorgersi (un impegno!!!) del significato dei segni, o meglio ancora, saper cogliere i segni dei tempi. Gesù, in questo capitolo sesto del vangelo secondo Giovanni, è appena reduce da un successo senza precedenti tra le folle: ha sfamato 5000 persone partendo da una irrisoria quantità di cibo. Attorno a lui la gente, che vorrebbe farlo re, si accorge dell’allontanarsi di Gesù. Egli si sta sottraendo loro e rifiuta questa opzione: non è in questo potere la regalità della casa del Padre da condividere con ogni essere umano, non è quella l’ora del regno. Ma il desiderio di esaltare uno che può moltiplicare il cibo vince sulla distanza e con le barche (una flotta?) la gente lo insegue fin nei pressi di Cafarnao. Inizia un dialogo sui segni che scandisce, via via, il punto di rottura tra Gesù e la folla, intesa non solo come massa di individui, ma anche come modalità di una sequela superficiale, finalizzata al proprio benessere personale, per alcuni, e alla gloria umana, per altri. O entrambe le cose (EG 93).

«Chi è caduto in questa mondanità – afferma Papa Francesco in Evangelii gaudium al n. 96 – guarda dall’alto e da lontano, rifiuta la profezia dei fratelli, squalifica chi gli pone domande, fa risaltare continuamente gli errori degli altri ed è ossessionato dall’apparenza. Ha ripiegato il riferimento del cuore all’orizzonte chiuso della sua immanenza e dei suoi interessi e, come conseguenza di ciò, non impara dai propri peccati né è autenticamente aperto al perdono. È una tremenda corruzione con apparenza di bene. Bisogna evitarla mettendo la Chiesa in movimento di uscita da sé, di missione centrata in Gesù Cristo, di impegno verso i poveri».
Sono tempi in cui chiedersi cosa dobbiamo fare non è un pensiero raro tra gli altri. Gesù fa coincidere l’operare al credere nel Testimone che Dio ha mandato, metterlo al centro. Noi possiamo tenere al centro della nostra vita qualcuno ma di fatto tenerlo isolato in quella miniera che è il nostro cuore, come in una cassaforte, refrattari a far entrare in contatto la nostra vita con quella persona. Quanti affetti e relazioni assomigliano a questa modalità: “sei al centro del mio cuore!”, e l’altro viene chiuso dentro una prigione!
Uscire allo scoperto farà rendere conto tanti che la loro sequela di Gesù necessita di un salto.


Cosa dobbiamo fare? Continuiamo a chiedercelo! La risposta migliore resta nel vangelo e nella vita. 

Ma vi lascio guardare -se potete- anche questi 9 minuti del film citato sopra. Il documentario era iniziato narrando il deserto, e in esso le grotte dove si trovano le tracce dei graffiti e pitture del popolo Hopi. Progressivamente dai luoghi dove minima è l’impronta umana, adeguata ad ascoltare quanto è intorno, la telecamera arriva fin nelle città e nel loro turbinio e frenesia: lavoro, persone, distruzione. Tutto scorre veloce, sempre più veloce davanti ai nostri occhi. Anche il ritmo solare viene accelerato. Poi c’è uno STOP. Seguono questi 9 minuti di umanità e vicende che rimangono fuori dalla corrente principale nella quale forse anche noi ci troviamo. Gli esclusi: emarginati, stranieri, malati psichici, barboni, migranti, poveri, anziani… Se scegliete di vedere questo spezzone di film, fate attenzione: non sarà facile tornare indietro. Il punto di rottura può essere la fine di qualcosa ma può essere anche l’inizio di un’altra. Un po' come essere risorti! Un po' come essere umani!

donde



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