Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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venerdì 3 aprile 2020

3 aprile 2020 APPARTENENZA (commento a Gv 10, 31-42)

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, i Giudei raccolsero delle pietre per lapidare Gesù. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio».
Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: “Io ho detto: voi siete dèi”? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata –, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.
Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.


È l’ultimo confronto. I Vangeli di oggi e domani sono come le due ante di quelle pale di altare che si aprivano solo per alcune festività: i dipinti che venivano rivelati servivano ad esaltare i contenuti pittorici e simbolici della rappresentazione al centro. Oggi la prospettiva è quella di Gesù, domani ascolteremo quella dei suoi accusatori. Viene dichiarata ufficialmente l’attribuzione di colpa a suo carico: “tu che sei uomo ti fai Dio!”. La difesa di Gesù è fondata su una sorta di logica biblica: se nei Salmi (82,6) al Signore vengono attribuite le parole “voi siete dei, siete tutti figli dell’Altissimo”, allora il messia avrà pur diritto ad essere chiamato figlio di Dio! Comunque -se anche non lo fosse- non sarebbe una bestemmia, semmai -tecnicamente- una usurpazione di titolo.
Segue un appello: potremmo immaginare un Gesù che a questo punto guarda diretto negli occhi intorno e con passione ed un tono di voce tutt’altro che spento o meditativo dice: “Siete capaci di riconoscere le opere del Padre in quello che compio? Che il Padre è presente?”. Non diamo per scontato i giochi delle definizioni. Potremmo conoscere praticamente cosa significa compiere delle opere, e potremmo teologicamente sapere cosa significa che Dio è Padre, ma la somma dei due termini non ci abilita ad essere immediatamente capaci di riconoscere nella storia le opere del Padre, che è dono e frutto di esperienza di condivisione di vita di passione con gli altri. Il famoso mare che distanzia il dire ed il fare: “L’idea – le elaborazioni concettuali – è in funzione del cogliere, comprendere e dirigere la realtà. L’idea staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo classificano o definiscono, ma non coinvolgono.” (Evangelii Gaudium n.232).
L’appello sortisce effetti differenti: nel territorio ufficiale è oggetto di condanna e di attacco, nelle terre del meticciato, dove ebrei mescolavano la vita con i pagani, le opere di Gesù vengono riconosciute come segni che Dio opera in mezzo a loro. Si chiude anche il cerchio: di nuovo torna la figura di Giovanni il Battista, come sguardo abilitante su tutta la storia e la scrittura che a Gesù conduce e ne testimonia l’autenticità di tradizione e di profezia insieme. “tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero”.
Gesù si è ritirato oltre il Giordano. Sta scappando per rifugiarsi tra i suoi? L’evangelista Giovanni suggerisce altro. Egli “sfuggì dalle loro mani”, e cioè: non lo possiamo sottrarre dalle mani del Padre. Un potente strumento questo simbolo che ci porta già oltre il momento dell’arresto e del processo, della condanna e della esecuzione di Gesù. Nessuno, neanche la sofferenza della fine e lo strappo della morte, potrà sottrarre Gesù dalle mani del Padre. Quando si dice che anche noi siamo nelle mani del Padre, qualche volta sembra trasparire l’idea che un destino ineluttabile guidi le nostre vite. Invece è indizio di Resurrezione. Abbiamo la passione della vita nelle nostre fibre, si ritma, il nostro cuore, sul battito di cuore di chi ci tiene in braccio.
Ormai non si evade dalla storia, certamente l’appello di Gesù ci propone una scelta, ci chiede di non aggregarci al metodo che ci sembra il più semplice: stare a guardare e approfittare appena riusciamo. Un po' come giocare ad “un due tre stella” e non essere beccati! Quando si concluderà questo tempo di malattia e morte, se ne aprirà un altro dove, forse per forza, dovremo fare passi indietro e conosceremo più diffusamente la povertà; dove l’egoismo del fai-da-te non troverà più la scorta del consumismo diffuso a sostegno delle proprie azioni. Che faremo? Guarderemo in strada se sta passando qualcuno con la croce sulle spalle senza intervenire? Come evangelizzeremo il nuovo tempo che arriverà? Collaboreremo con le opere del Padre o con il giudizio degli accusatori? So che si fermano tante fabbriche, ma quelle delle armi no! Perché? Sarà quello forse il motore della ripresa?
Quel Tum Tum che sentiva Giona nel ventre della balena, ne era il cuore, divenne il Kum Kum (=ebraico, alzati!) di Dio che lo richiamava alla vita per andare a Ninive. Alzati e va!

Seduti qui in uditorio, cerchiamo di imparare a distinguere e comprendere la varietà dei suoni e delle voci: forza!

Donde

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