Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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mercoledì 8 aprile 2020

8 aprile 2020 INSIEME (commento a Mt 26, 14-25)

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.
Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».


Al rallentatore: quante volte ci capita di ripensare a qualche fatto della nostra vita. Lo ripercorriamo minuto per minuto, scavando nei nostri ricordi se qualcosa ci fosse sfuggito. “La mia voce sale a Dio e grido aiuto; la mia voce sale a Dio, finché mi ascolti. Ripenso ai giorni passati, ricordo gli anni lontani. Un canto nella notte mi ritorna nel cuore: rifletto e il mio spirito si va interrogando.” Ci sembra così preziosa la quotidianità sconvolta in queste settimane che vorremmo già il presente come fosse un ricordo passato, e però non lo abbandoniamo perché proprio in questi giorni abbiamo dovuto salutare qualcuno senza poterlo incontrare; sappiamo che altri sono in corsie di ospedale mute per noi se non per un dispaccio quotidiano che ci tiene appeso il fiato; vediamo uscire di casa qualcuno della nostra famiglia che per lavoro sa di dover restare in esterni o interni dove il silente meccanismo coronarico cerca di agganciare i suoi ingranaggi al nostro corpo. “Nel giorno dell'angoscia io cerco il Signore, tutta la notte la mia mano è tesa e non si stanca; io rifiuto ogni conforto. Può Dio aver dimenticato la misericordia, aver chiuso nell'ira il suo cuore?”.

Il nostro stile di pasteggiare, seduti a tavola con il proprio personale piatto, bicchiere, posate, tovagliolo, etc…non è una tradizione così antica, né così unicamente diffusa al presente. In Tanzania, per esempio, non è raro che ci sia un unico piatto al centro, con una buona quantità di ugali (polenta), una sorta di piramide bianca, bollente ma senza esalare fumo, contornata da verdure cotte e qua e là qualche pezzettone di carne. Si allunga la mano e si raccoglie della polenta, quanta ne sta in un pugno. La si modella rapidamente per farne una piccola sfera, e col pollice se ne ammacca la perfetta (!) rotondità per usarne come un cucchiaio e raccogliervi dentro un poco di quella verdura. Quando spiegavo ai bambini questo particolare indizio, iniziavano a capire che quella frase di Gesù non poteva indicare un gesto che in realtà tutti stavano compiendo con lui, ma come proverbialmente quando si mangia, si condivide più del cibo, se in quella comunione entra una mano che tradisce, la cosa ci sembra ancora più grave. Non è un estraneo che tradisce, ma un commensale, un amico. Guai a quell’uomo, meglio non fosse mai nato. Le parole di Gesù ci fanno chinare il capo e fermarci in silenzio, a chiederci -anche noi- “sono forse io?”. Eppure ci aprono ad uno spazio diverso da quello che spesso è nostro retaggio teorico-catechistico: l’idea che Dio voglia questa crocifissione, il sottile dubbio scarlatto di una divinità assetata di sangue per compensare il prezzo del peccato! La condanna del tradimento qui espressa, rivela che quello sarà il contesto in cui si attuerà la redenzione ma la croce non è la finalità di Dio. Il Figlio è cosciente del tradimento ma questo non lo distoglie dal rimanere fedele al Padre, alla forza del Suo amore per noi. Per questo condanna il tradimento, il male, il peccato e alla fine anche la morte, perché la volontà di Dio è la redenzione, non questo contesto.

E torno a considerare quel piatto unico! Tante mani dentro, c’è anche quella di Gesù. Le altre possono anche tradire, non la sua. Perché in fondo quello che cerco in questi giorni di passione è sapere chi mi accompagnerà fino alla fine, con chi arriverò a cantare l’alleluia pasquale. Non sono solo. “Tu sei il Dio che opera meraviglie, manifesti la tua forza fra le genti. È il tuo braccio che ha salvato il tuo popolo, i figli di Giacobbe e di Giuseppe. Guidasti come gregge il tuo popolo per mano di Mosè e di Aronne.”

Non siamo soli, amici. E oggi possiamo provare a mangiare anche con le mani, senza posate.
NB: (tutti i passi citati fuori del Vangelo sono tratti dal Salmo 76)


Donde

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