Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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sabato 23 settembre 2017
Elaborare la cultura dell'incontro (in attesa di Papa Francesco)
Editiamo il discorso che Papa Francesco ha fatto lo scorso 17 febbraio agli universitari di ROMA TRE in attesa di ciò che vorrà dirci il prossimo 1 ottobre.
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vi ringrazio di avermi invitato a
visitare questa Università, la più giovane di Roma, e rivolgo a
tutti voi il mio saluto cordiale. Ringrazio il Rettore, prof. Mario
Panizza, per le parole di accoglienza, ed auguro ogni bene per il
lavoro e la missione di questo Ateneo. L’istruzione e la formazione
accademica delle nuove generazioni è un’esigenza primaria per la
vita e lo sviluppo della società. Ho ascoltato le vostre domande, di
cui vi sono grato; le avevo lette in precedenza e cercherò di dare
delle risposte tenendo conto anche della mia esperienza.
La nostra società è ricca di bene, di
azioni di solidarietà e di amore nei confronti del prossimo: tante
persone e tanti giovani, sicuramente anche tra di voi, sono impegnati
nel volontariato e in attività al servizio dei più bisognosi. E
questo è uno dei valori più grandi di cui essere grati e
orgogliosi. Però, se ci guardiamo attorno, vediamo che nel mondo ci
sono tanti, troppi segni di inimicizia e di violenza. Come ha
giustamente osservato Giulia, sono presenti molteplici segnali di un
“agire violento”. Ti ringrazio, Giulia, perché il Messaggio per
la Giornata della Pace di quest’anno propone proprio la nonviolenza
come stile di vita e di azione politica. In effetti, stiamo vivendo
una guerra mondiale a pezzi: ci sono conflitti in molte regioni del
pianeta, che minacciano il futuro di intere generazioni. Come mai la
comunità internazionale, con le sue organizzazioni, non riesce a
impedire o a fermare tutto questo? Gli interessi economici e
strategici hanno più peso del comune interesse alla pace?
Sicuramente queste sono domande che trovano spazio nelle aule delle
università, e risuonano prima di tutto nelle nostre coscienze. Ecco:
l’università è un luogo privilegiato in cui si formano le
coscienze, in un serrato confronto tra le esigenze del bene, del vero
e del bello, e la realtà con le sue contraddizioni. Un esempio
concreto? L’industria delle armi. Da decenni si parla di disarmo,
si sono attuati anche processi importanti in tal senso, ma purtroppo,
oggi, malgrado tutti i discorsi e gli impegni, molti Paesi stanno
aumentando le spese per gli armamenti. E questa, in un mondo che
lotta ancora contro la fame e le malattie, è una scandalosa
contraddizione.
Di fronte a questa drammatica realtà,
giustamente voi vi chiedete: quale dev’essere la nostra risposta?
Certamente non un atteggiamento di scoraggiamento e di sfiducia. Voi
giovani, in particolare, non potete permettervi di essere senza
speranza, la speranza è parte di voi stessi. Quando manca la
speranza, di fatto manca la vita; e allora alcuni vanno in cerca di
un’esistenza ingannatrice che viene offerta dai mercanti del nulla.
Costoro vendono cose che procurano felicità momentanee e apparenti,
ma in realtà introducono in strade senza uscita, senza futuro, veri
labirinti esistenziali. Le bombe distruggono i corpi, le dipendenze
distruggono le menti, le anime, e anche i corpi. E qui vi do un altro
esempio concreto di contraddizione attuale: l’industria del gioco
d’azzardo. Le università possono dare un valido contributo di
studio per prevenire e contrastare la ludopatia, che provoca danni
gravi alle persone e alle famiglie, con alti costi sociali.
Una risposta che vorrei suggerirvi –
e ho presente la domanda di Niccolò – è quella di impegnarvi,
anche come università, in progetti di condivisione e di servizio
agli ultimi, per far crescere nella nostra città di Roma il senso di
appartenenza ad una “patria comune”. Tante urgenze sociali e
tante situazioni di disagio e di povertà ci interpellano: pensiamo
alle persone che vivono per strada, ai migranti, a quanti necessitano
non solo di cibo e vestiti, ma di un inserimento nella società, come
ad esempio coloro che escono dal carcere. Venendo incontro a queste
povertà sociali, ci si rende protagonisti di azioni costruttive che
si oppongono a quelle distruttive dei conflitti violenti e si
oppongono anche alla cultura dell’edonismo e dello scarto, basata
sugli idoli del denaro, del piacere, dell’apparire… Invece,
lavorando con progetti, anche piccoli, che favoriscono l’incontro e
la solidarietà, si recupera insieme un senso di fiducia nella vita.
In ogni ambiente, specialmente in
quello universitario, è importante leggere e affrontare questo
cambiamento di epoca con riflessione e discernimento, cioè senza
pregiudizi ideologici, senza paure o fughe. Ogni cambiamento, anche
quello attuale, è un passaggio che porta con sé difficoltà,
fatiche e sofferenze, ma porta anche nuovi orizzonti di bene. I
grandi cambiamenti chiedono di ripensare i nostri modelli economici,
culturali e sociali, per recuperare il valore centrale della persona
umana. Riccardo, nella terza domanda, ha fatto riferimento alle
“informazioni che in un mondo globalizzato sono veicolate
specialmente dai social network”. In questo ambito così
complesso, mi pare sia necessario operare un sano discernimento,
sulla base di criteri etici e spirituali. Occorre, cioè,
interrogarsi su ciò che è buono, facendo riferimento ai valori
propri di una visione dell’uomo e del mondo, una visione della
persona in tutte le sue dimensioni, soprattutto in quella
trascendente.
E parlando di trascendenza, voglio
parlarvi da persona a persone, e dare testimonianza di chi sono. Mi
professo cristiano e la trascendenza alla quale mi apro e guardo ha
un nome: Gesù. Sono convinto che il suo Vangelo è una forza di vero
rinnovamento personale e sociale. Parlando così non vi propongo
illusioni o teorie filosofiche o ideologiche, neppure voglio fare
proselitismo. Vi parlo di una Persona che mi è venuta incontro,
quando avevo più o meno la vostra età, mi ha aperto orizzonti e mi
ha cambiato la vita. Questa Persona può riempire il nostro cuore di
gioia e la nostra vita di significato. E’ il mio compagno di
strada; Lui non delude e non tradisce. E’ sempre con noi. Si pone
con rispetto e discrezione lungo il sentiero della nostra vita, ci
sostiene soprattutto nell’ora dello smarrimento e della sconfitta,
nel momento della debolezza e del peccato, per rimetterci sempre in
cammino. Questa è la testimonianza personale della mia vita.
Non abbiate paura di aprirvi agli
orizzonti dello spirito, e se ricevete il dono della fede – perché
la fede è un dono – non abbiate paura di aprirvi all’incontro
con Cristo e di approfondire il rapporto con Lui. La fede non limita
mai l’ambito della ragione, ma lo apre a una visione integrale
dell’uomo e della realtà, preservando dal pericolo di ridurre la
persona a “materiale umano”. Con Gesù le difficoltà non
spariscono, ma si affrontano in modo diverso, senza paura, senza
mentire a sé stessi e agli altri; si affrontano con la luce e la
forza che viene da Lui. E si può diventare, come ha detto Riccardo,
“operatori della carità intellettuale”, a partire dalla stessa
Università, perché sia luogo di formazione alla “sapienza” nel
senso più pieno del termine, di educazione integrale della persona.
In questa prospettiva l’Università offre il suo peculiare e
indispensabile contributo al rinnovamento della società.
E l’Università può essere anche
luogo in cui si elabora la cultura dell’incontro e dell’accoglienza
delle persone di tradizioni culturali e religiose diverse. Nour, che
proviene dalla Siria, ha fatto riferimento alla “paura”
dell’occidentale nei confronti dello straniero in quanto potrebbe
“minacciare la cultura cristiana dell’Europa”. A parte il fatto
che la prima minaccia alla cultura cristiana dell’Europa viene
proprio dall’interno dell’Europa, la chiusura in sé stessi o
nella propria cultura non è mai la via per ridare speranza e operare
un rinnovamento sociale e culturale. Una cultura si consolida
nell’apertura e nel confronto con le altre culture, purché abbia
una chiara e matura consapevolezza dei propri principi e valori.
Incoraggio pertanto docenti e studenti a vivere l’Università come
ambiente di vero dialogo, che non appiattisce le diversità e neppure
le esaspera, ma apre al confronto costruttivo. Siamo chiamati a
capire e apprezzare i valori dell’altro, superando le tentazioni
dell’indifferenza e del timore. Non abbiate mai paura
dell’incontro, del dialogo, del confronto.
Mentre portate avanti il vostro
percorso di insegnamento e di studio nell’università, provate a
domandarvi: la mia forma mentis sta diventando più individualistica
o più solidale? Se è più solidale, è buon segno, perché andrete
contro-corrente ma nell’unica direzione che ha un futuro e che dà
futuro. La solidarietà, non proclamata a parole ma vissuta
concretamente, genera pace e speranza per ogni Paese e per il mondo
intero. E voi, per il fatto di lavorare e studiare in università,
avete una responsabilità nel lasciare un’impronta buona nella
storia.
Vi ringrazio di cuore per questo
incontro e per la vostra attenzione. La speranza sia la luce che
illumina sempre il vostro studio e il vostro impegno. Su ciascuno di
voi e sulle vostre famiglie invoco la benedizione del Signore.
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