Antico mosaico - Taghba, Mare di Galilea |
Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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martedì 28 aprile 2020
28 aprile 2020 “tu mi hai riscattato, Signore, Dio fedele” (commento a Gv 6, 30-35)
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, la folla disse a Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”».
Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane».
Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».
C’è una forma perversa di intendere alcune pagine del vangelo. Ad esempio quando sentiamo l’affermazione messa in bocca a Gesù: “i poveri li avrete sempre con voi”, e nei secoli è diventata la giustificazione per mantenere ingiusta l’ingiustizia e meschina l’elemosina. In queste parole di Gesù oggi c’è un invito a non sentirci sazi del pane di Mosè, che aveva salvato il popolo dalla fame nel deserto. Il pane di Mosè era la manna quotidiana che non doveva essere rapinata, non era lecito l’accumulo per i giorni successivi, ma andava raccolta solo per il quotidiano. E non chiediamo anche noi nella nostra preghiera che ogni giorno il Padre nostro ci doni il pane quotidiano? Il pane di Mosè era frutto delle mormorazioni, del malcontento di Israele verso quella situazione che stavano vivendo: il Signore glielo concede, Gesù ne parla come di un segno verso un altro pane.
Stare nel deserto liberi oppure schiavi in Egitto ma con almeno sempre una cipolla tra i denti: cosa è meglio? Tanti poveri che aiutiamo guardano con sospetto la mano anonima che gli offre qualcosa, con la quale entrano in relazione nella misura in cui possono ritenere utile e opportuno avvalersi di ciò che viene dato, non di chi dà quella cosa. Alla “colazione” di strada, la ferita più grossa che puoi fare ad un ospite, è accoglierlo con mille saluti con tanto sorriso con belle parole. Magari però incrociando per strada quella stessa persona, non l’hai salutata. Se una persona sa che da te non può ottenere umanità, cercherà solo quello che sei in grado di dare: cose! Ma si è liberi o schiavi, se sappiamo soltanto dare cose? Temo che questo sia restare schiavi e insegnare ad altri ad esserlo. Nel deserto – oggi le nostre vite a volte non hanno niente da invidiare al deserto roccioso del Sinai – il Signore che fa vivere cerca una relazione!
Diversi anni fa, quando il fisico mi permetteva di seguire anche gruppi instradati con zaino e tendina su per sentieri montani, boschi e valle, mi capitò di sentire in bocca ad un ragazzo chiamato a benedire la mensa una preghiera che sicuramente aveva ricevuto da qualcun altro, ma che in quella situazione, in mezzo a un gruppo così giovane, mi segnò la memoria. “Signore, dona pane a chi ha fame e fame di giustizia a chi ha pane!”. Il pane offerto da Gesù è un pane che continua a lievitare relazione: “io sono il pane di vita!”. Del pane non si è mai sazi: di uno sentiremo la fame dell’altro non ci stancheremo mai. Uno è frutto di fame, l’altro di amore. Uno esiste per tamponare un bisogno, l’altro arriva per compiere la vita. Al primo per consumarlo basta la mia fame, al secondo necessita la fame dell’altro. È una madre che non si ferma finché tutti i figli non sono stati sfamati. Oppure: “quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra?” (Lc 11,11). Dio non cerca schiavi da comandare, ma entrare in relazione con i figli, ecco che cerca. Cosa significa ricevere il pane dentro questa relazione: date voi stessi da mangiare!
“Ecco, tu dici, io canto. Tu canti, certo, lo sento che canti. Ma bada che la tua vita non abbia a testimoniare contro la tua voce. Cantate con la voce, cantate con il cuore, cantate con la bocca, cantate con la vostra condotta santa. «Cantate al Signore un canto nuovo». Mi domandate che cosa dovete cantare di colui che amate? Parlate senza dubbio di colui che amate, di lui volete cantare. Cercate le lodi da cantare? L'avete sentito: «Cantate al Signore un canto nuovo». Cercate le lodi? «La sua lode risuoni nell'assemblea dei fedeli». Il cantore diventa egli stesso la lode del suo canto. Volete dire le lodi a Dio? Siate voi stessi quella lode che si deve dire, e sarete la sua lode, se vivrete bene.” (Agostino di Ippona)
Non sentirsi ancora sazi e potere comunque dare pane, sentirsi comunque amati e potere ancora chiedere amore. Come mi suggerisce un amico prete, anche oggi siete con me in questa eucaristia, vivetela anche voi sorelline e fratellini. Preghiamo insieme: «Signore, dacci sempre questo pane».
Donde
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