Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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sabato 25 gennaio 2020
BRASILE 2020 - lo vedi già?
venerdì 24 gennaio
"Preoccupati di quello che non ti dico, non fissarti soltanto su quello che ti dico." Pausa. "Quello lo vedi già!". Ho sognato stanotte (il caldo, il sudore, il letto senza piedi, le lenzuola rigirate) e mentre sognavo l'acqua che scrosciava, un bahiano mi ha parlato in quel modo. Era un volto, tranquillo stava nella piazza della chiesina sul mare, la chiesina madre di chiese, Salvador la prima capitale del Brasile, una delle più antiche città dove Europa, Africa, America Latina si incontrarono. Capita nei sogni di incontrare testimoni di quelle prime ore. Che parlano dove possono, se non nella realtà quotidiana, allora nei sogni. Un volto tranquillo bahiano stava nella piazzetta, la chiesa aveva le porte spalancate: quella grande centrale e le due piccole laterali. Un uomo senza un piede, con una vistosa protesi metallica più scarpa, entra nella chiesa. Un ragazzo aiuta un cieco a superare la barriera di auto che impedisce dalle vie laterali l'accesso alla piazza. Due donne sono sedute nei banchi più prossimi all'altare e fissano un ostensorio non tanto grande con dentro l'ostia sacra. Un volto tranquillo bahiano nella piazzetta mi parla senza guardarmi, guarda verso la facciata della chiesa, in mille toni di bianco si oppone al grigiore del cielo, alle onde in burrasca ammutolite dal traffico. Guarda la facciata ma si rivolge a me: "Quello lo vedi già!". Poi si è allontanato svegliandomi.
Oggi ultimo giorno intero a Salvador, infine staremo al Bairro da Paz, dove tante cose hanno avuto inizio per noi bolognesi, dove oggi risiede la prima comunità di suore minime che si era aperta a Salvador al tempo in cui c'era pure una presenza di preti bolognesi. Non è lontano da dove siamo allocati per dormire, da Itapua, nella posada Betel (due anni fa c'eravamo già stati: colorata, sobria, non sempre comoda, popolare, alloggio di lavoratori settimanali, pensione di famiglie in transito). In venti minuti ci troviamo al Bairro, e scendendo dal viadotto principale a 4 corsie per direzione di marcia, si passa subito alle stradine senza numero, come uno shangai mescolato sul tavolo, ed il navigatore che vede soltanto la direzione più breve non percepisce la direzione più umana da prendere!
Sr. Cleliangela e Sr. Mary Shiny ci accudiscono per tutto il giorno: introdotti negli ambienti, seduti a mangiare il pranzo per-farci-sentire-a-casa (non vedi che lo siamo?), spostandoci nella parrocchia cosparsa di cappelline, consigliando a volte come muoversi, se dire o non dire le nostre parole d'occidente, accidentali rischi di incomprensione.
I nostri primi passi di bambino. Salutiamo donna Anna, insieme a due altre donne (figlia e nipote?) dentro la sua casa. Oltrepassato il cancello di ferro sorride, felice di rivedere don Claudio che è stato qui parroco una decina di anni fa. E' anziana, i fianchi larghi, indossa una gonna leggera ed una camiciola ampia, nulla che stringa il suo voluminoso corpo. Il viso tondo, capelli grigi, non lunghi, tenuti insieme da alcuni fermagli e separati a metà della fronte sui due versanti. Durante la messa della festa serale seguirà i canti, dalla sua panca seconda fila, muovendo questo suo corpo e alzando ritmiche braccia e mani, insieme a tutti gli altri. E sorridendo, felice di quel corpo più grande in cui si trova a vivere. Negli altri.
Introdurci alla storia del Bairro spetta a Marinalva, una donna che sin dai primi anni di occupazione di questo terreno (proprietà privata, si erano persi gli eredi, il demanio ci voleva mettere le mani, e loro che arrivavano dall'interior occupavano, costruivano, e quando gli demolivano, ricostruivano) ha lottato per restarci. Da 33 anni è qui, anche se solo dal 1988, con l'appoggio del vescovo dom Lucas, iniziano ad ottenere i primi riconoscimenti burocratici e giuridici. Il Bairro che si era costituito nel 1982 veniva chiamato Malvines, nome latinoamericano delle Falkland, perchè proprio in quell'anno si stava combattendo per le isole tra Argentina e Gran Bretagna. A significare anche che la zona nasceva dalla tensione e dalla violenza. Ma un'assemblea popolare in una piazzetta vicino alla parrocchia, decise di cambiare e scelse il nome PAZ: questo sarà il Bairro da Paz. Le ruspe erano state fermate, il vescovo venne considerato un riferimento di tutti quelli del bairro, anche non cattolici. Era il 1988. Ora la piazza è sorvegliata da una colomba gigante, monumento ad ali aperte, sperando che armi e spaccio diminuiscano sempre di più. Adesso ci abitano circa 70mila persone. Le persone continuano ad arrivare, ma si sostiuiscono ad altri che lasciano il posto. L'ombra di 13 nuovi grattacieli, sull'altro lato del fiume discarica, protetti dalle mura della zona, città dentro la città, resta lì a ricordare che non si può abbassare la guardia.
La questione della coscientizzazione attraversa i vari ambiti pastorali di attività parrocchiali. "Il problema è che i poveri non hanno coscienza che pagano le tasse anche per i ricchi!". La pastorale afro combatte contro la scarsa autostima che di se hanno i discendenti della schiavitù: "I neri rifiutano se stessi perchè il parametro di successo sono i bianchi. Ancora un retaggio della schiavitù!". Qui è praticamente impossibile non avere un DNA meticcio, ma la genetica è solo la scusa di una frattura che nasce dalla povertà (di beni relazionali, di studio, di lavoro). "Se non ti liberi dalla schiavitù che ti porti dentro, allora i ricchi potranno controllarti!". Solo nel 1888 la schiavitù finì in Brasile, e solo a livello ufficiale. Girando nel Bairro Sr Cleliangela ci fa notare che mentre parlano di sé, invece che definirsi poveri, preferiscono dire piccoli. "...noi siamo piccoli e allora...!". Di fianco ad una delle cappelline, all'improvviso sentiamo un fischio modulato come se Maria Callas fosse alle prove. Una signora ci accompagna nella casa della vicina e vediamo due grandi pappagalli, liberi, appollaiti su una cancellata aperta, sotto la tettoia. Uno dei due gorgheggia stupendo, passando la scala di note a cui noi diamo un nome "E' un do! Un fa diesis!". Potrebbero volarsene via - noto - ma non lo fanno. Non c'è più bisogno di una gabbia per trattenerli. Godiamo tuttavia dei loro suoni, che noi interpretiamo come un'abile imitazione di umanità colta in giro per il bairro.
Resta la festa serale. Oggi è la festa di Nossa Senhora da Paz. Diciannove e trenta, tutti convergono nella chiesa parrocchiale. C'è pure il vescovo Esteban, incontrato già a Bologna e qui due anni fa. Per il parroco coincide anche col saluto alla parrocchia. La gente è in grande partecipazione, di numero ed emotiva. i ventilatori sollevano un po nel loro ciclico passaggio, un movimento bloccato, destra sinistra, sinistra destra. Alla fine della messa una bimba di 3-4 anni approfitta della distrazione generale per asciugarsi un po i capelli e sentire il sudore sparire dal suo viso. In alcuni momenti la liturgia passa dall'estrema tradizione di candelabri e pizzi, alla ieratica omelia del vescovo che rapisce l'attenzione sulle doti e l'esempio di Maria, fino ai canti finali dove il parroco si esibisce come ad un'assemblea carismatica. Eppure tutto avviene senza soluzione di continuità: l'assemblea, il popolo (di Dio), è il contenitore perfetto di tutto questo; la liturgia è il testo sul quale si svolge l'incontro. Del visibile e del non visibile. Del suono e del silenzio, che c'è anche nel canto più chiassato e battuto a mani inesauste. Del movimento e della staticità tenace della statua, non così grande, non così appariscente, di Maria signora della pace.
Concluso, ci trasferiamo per la cena che chiude la nottata. La stanchezza ci apre anche a qualche risata insieme, di noi otto. L'altra metà del tavolo è impegnata tra preti e seminaristi a parlare con il vescovo. Uno sguardo di una signora del lato opposto al gruppo delle Oranti mi compare davanti agli occhi. Le Oranti hanno come una divisa, vestendosi similmente, e tutte un nastro rosso, largo, al collo. La signora sull'altra fila le sta fissando, forse una in particolare, con uno sguardo non benevolo, non incerto nel pensiero. Tutto era presente in questa festa - mi sono detto, senza troppo scandalo.
Nella notte non si è più ripresentato il mio amico bahiano. Forse tornerà.
"Preoccupati di quello che non ti dico, non fissarti soltanto su quello che ti dico." Pausa. "Quello lo vedi già!". Ho sognato stanotte (il caldo, il sudore, il letto senza piedi, le lenzuola rigirate) e mentre sognavo l'acqua che scrosciava, un bahiano mi ha parlato in quel modo. Era un volto, tranquillo stava nella piazza della chiesina sul mare, la chiesina madre di chiese, Salvador la prima capitale del Brasile, una delle più antiche città dove Europa, Africa, America Latina si incontrarono. Capita nei sogni di incontrare testimoni di quelle prime ore. Che parlano dove possono, se non nella realtà quotidiana, allora nei sogni. Un volto tranquillo bahiano stava nella piazzetta, la chiesa aveva le porte spalancate: quella grande centrale e le due piccole laterali. Un uomo senza un piede, con una vistosa protesi metallica più scarpa, entra nella chiesa. Un ragazzo aiuta un cieco a superare la barriera di auto che impedisce dalle vie laterali l'accesso alla piazza. Due donne sono sedute nei banchi più prossimi all'altare e fissano un ostensorio non tanto grande con dentro l'ostia sacra. Un volto tranquillo bahiano nella piazzetta mi parla senza guardarmi, guarda verso la facciata della chiesa, in mille toni di bianco si oppone al grigiore del cielo, alle onde in burrasca ammutolite dal traffico. Guarda la facciata ma si rivolge a me: "Quello lo vedi già!". Poi si è allontanato svegliandomi.
Oggi ultimo giorno intero a Salvador, infine staremo al Bairro da Paz, dove tante cose hanno avuto inizio per noi bolognesi, dove oggi risiede la prima comunità di suore minime che si era aperta a Salvador al tempo in cui c'era pure una presenza di preti bolognesi. Non è lontano da dove siamo allocati per dormire, da Itapua, nella posada Betel (due anni fa c'eravamo già stati: colorata, sobria, non sempre comoda, popolare, alloggio di lavoratori settimanali, pensione di famiglie in transito). In venti minuti ci troviamo al Bairro, e scendendo dal viadotto principale a 4 corsie per direzione di marcia, si passa subito alle stradine senza numero, come uno shangai mescolato sul tavolo, ed il navigatore che vede soltanto la direzione più breve non percepisce la direzione più umana da prendere!
Sr. Cleliangela e Sr. Mary Shiny ci accudiscono per tutto il giorno: introdotti negli ambienti, seduti a mangiare il pranzo per-farci-sentire-a-casa (non vedi che lo siamo?), spostandoci nella parrocchia cosparsa di cappelline, consigliando a volte come muoversi, se dire o non dire le nostre parole d'occidente, accidentali rischi di incomprensione.
I nostri primi passi di bambino. Salutiamo donna Anna, insieme a due altre donne (figlia e nipote?) dentro la sua casa. Oltrepassato il cancello di ferro sorride, felice di rivedere don Claudio che è stato qui parroco una decina di anni fa. E' anziana, i fianchi larghi, indossa una gonna leggera ed una camiciola ampia, nulla che stringa il suo voluminoso corpo. Il viso tondo, capelli grigi, non lunghi, tenuti insieme da alcuni fermagli e separati a metà della fronte sui due versanti. Durante la messa della festa serale seguirà i canti, dalla sua panca seconda fila, muovendo questo suo corpo e alzando ritmiche braccia e mani, insieme a tutti gli altri. E sorridendo, felice di quel corpo più grande in cui si trova a vivere. Negli altri.
Introdurci alla storia del Bairro spetta a Marinalva, una donna che sin dai primi anni di occupazione di questo terreno (proprietà privata, si erano persi gli eredi, il demanio ci voleva mettere le mani, e loro che arrivavano dall'interior occupavano, costruivano, e quando gli demolivano, ricostruivano) ha lottato per restarci. Da 33 anni è qui, anche se solo dal 1988, con l'appoggio del vescovo dom Lucas, iniziano ad ottenere i primi riconoscimenti burocratici e giuridici. Il Bairro che si era costituito nel 1982 veniva chiamato Malvines, nome latinoamericano delle Falkland, perchè proprio in quell'anno si stava combattendo per le isole tra Argentina e Gran Bretagna. A significare anche che la zona nasceva dalla tensione e dalla violenza. Ma un'assemblea popolare in una piazzetta vicino alla parrocchia, decise di cambiare e scelse il nome PAZ: questo sarà il Bairro da Paz. Le ruspe erano state fermate, il vescovo venne considerato un riferimento di tutti quelli del bairro, anche non cattolici. Era il 1988. Ora la piazza è sorvegliata da una colomba gigante, monumento ad ali aperte, sperando che armi e spaccio diminuiscano sempre di più. Adesso ci abitano circa 70mila persone. Le persone continuano ad arrivare, ma si sostiuiscono ad altri che lasciano il posto. L'ombra di 13 nuovi grattacieli, sull'altro lato del fiume discarica, protetti dalle mura della zona, città dentro la città, resta lì a ricordare che non si può abbassare la guardia.
La questione della coscientizzazione attraversa i vari ambiti pastorali di attività parrocchiali. "Il problema è che i poveri non hanno coscienza che pagano le tasse anche per i ricchi!". La pastorale afro combatte contro la scarsa autostima che di se hanno i discendenti della schiavitù: "I neri rifiutano se stessi perchè il parametro di successo sono i bianchi. Ancora un retaggio della schiavitù!". Qui è praticamente impossibile non avere un DNA meticcio, ma la genetica è solo la scusa di una frattura che nasce dalla povertà (di beni relazionali, di studio, di lavoro). "Se non ti liberi dalla schiavitù che ti porti dentro, allora i ricchi potranno controllarti!". Solo nel 1888 la schiavitù finì in Brasile, e solo a livello ufficiale. Girando nel Bairro Sr Cleliangela ci fa notare che mentre parlano di sé, invece che definirsi poveri, preferiscono dire piccoli. "...noi siamo piccoli e allora...!". Di fianco ad una delle cappelline, all'improvviso sentiamo un fischio modulato come se Maria Callas fosse alle prove. Una signora ci accompagna nella casa della vicina e vediamo due grandi pappagalli, liberi, appollaiti su una cancellata aperta, sotto la tettoia. Uno dei due gorgheggia stupendo, passando la scala di note a cui noi diamo un nome "E' un do! Un fa diesis!". Potrebbero volarsene via - noto - ma non lo fanno. Non c'è più bisogno di una gabbia per trattenerli. Godiamo tuttavia dei loro suoni, che noi interpretiamo come un'abile imitazione di umanità colta in giro per il bairro.
Resta la festa serale. Oggi è la festa di Nossa Senhora da Paz. Diciannove e trenta, tutti convergono nella chiesa parrocchiale. C'è pure il vescovo Esteban, incontrato già a Bologna e qui due anni fa. Per il parroco coincide anche col saluto alla parrocchia. La gente è in grande partecipazione, di numero ed emotiva. i ventilatori sollevano un po nel loro ciclico passaggio, un movimento bloccato, destra sinistra, sinistra destra. Alla fine della messa una bimba di 3-4 anni approfitta della distrazione generale per asciugarsi un po i capelli e sentire il sudore sparire dal suo viso. In alcuni momenti la liturgia passa dall'estrema tradizione di candelabri e pizzi, alla ieratica omelia del vescovo che rapisce l'attenzione sulle doti e l'esempio di Maria, fino ai canti finali dove il parroco si esibisce come ad un'assemblea carismatica. Eppure tutto avviene senza soluzione di continuità: l'assemblea, il popolo (di Dio), è il contenitore perfetto di tutto questo; la liturgia è il testo sul quale si svolge l'incontro. Del visibile e del non visibile. Del suono e del silenzio, che c'è anche nel canto più chiassato e battuto a mani inesauste. Del movimento e della staticità tenace della statua, non così grande, non così appariscente, di Maria signora della pace.
Concluso, ci trasferiamo per la cena che chiude la nottata. La stanchezza ci apre anche a qualche risata insieme, di noi otto. L'altra metà del tavolo è impegnata tra preti e seminaristi a parlare con il vescovo. Uno sguardo di una signora del lato opposto al gruppo delle Oranti mi compare davanti agli occhi. Le Oranti hanno come una divisa, vestendosi similmente, e tutte un nastro rosso, largo, al collo. La signora sull'altra fila le sta fissando, forse una in particolare, con uno sguardo non benevolo, non incerto nel pensiero. Tutto era presente in questa festa - mi sono detto, senza troppo scandalo.
Nella notte non si è più ripresentato il mio amico bahiano. Forse tornerà.
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