Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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giovedì 12 marzo 2020

12 marzo 2020 Abbiamo bisogno di fare MEMORIA (comunitaria) per il FUTURO (Commento a Matteo 20,17-28)

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 20, 17-28)

In quel tempo, mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà».
Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Lo condanneranno a morte. Per Gesù questo fatto è chiaro,
i gruppi che gli si oppongono lanciano il messaggio in maniera sempre più scoperta. I dodici sono storditi ancora dal successo che il loro maestro aveva ottenuto fino a qualche tempo prima. Poco importa la flessione di popolarità che aveva avuto dopo quell’annuncio che aveva fatto qualche tempo prima tra i suoi e che si era divulgato: la sua morte per condanna! Ma cosa voleva dire? Anche di miracoli ne faceva pochini adesso. Questo però non avrebbe offuscato la fama crescente ottenuta nei due anni e più trascorsi insieme! “Il popolo è con noi! Dio è con noi! Stiamo andando a Gerusalemme, la città dove il re Davide aveva posto la sede del potere sulle dodici tribù. Dodici come siamo noi!”. Pietro, non contraddire il maestro, hai provato a farlo e per tutta risposta ti ha dato del Nemico numero uno! Lascialo parlare. Gli passerà questa vena profetica triste. Adesso lascialo parlare, arrivati a Gerusalemme tutto passerà. Sarà quasi Pasqua, che vuol dire passaggio, cambiamento, liberazione. Vedrai che gli passerà! Vedrai che farà la sua Pasqua da re!

Una città è piena di angoli. Ognuno di essi può offrire un incontro. Buono, cattivo, insperato, disperato, sorridente, triste, universale. In città Gesù sembra sapere quali saranno i volti che incontrerà. Non intendo le fattezze, i tratti, il genere, meno che mai la bellezza. Saranno volti che porteranno inciso lo sguardo di chi dopo aver visto mille volte una spiaggia ed il mare, alla fine, nel mare, ci entra. Avranno inciso sul volto come un angolo di casa, incontreranno Gesù e prenderanno una decisione. Saranno pro o contro di lui? 
Per i dodici, dietro quell’angolo c’è finalmente l’occasione di riscatto per il popolo. O forse soltanto per loro. Anche questo: che importa? Loro, i dodici, sono del popolo, ragionano come il popolo, hanno la stessa sete di giustizia e di vita migliore che ha il popolo. Ogni beneficio che trarranno dallo stare vicino a Gesù, sarà un beneficio per il popolo oppresso dai romani e dai gruppi che fanno pesare il loro potere ai propri conterranei, ai propri confratelli. Sacerdoti, scribi, farisei, sadducei. Che dire poi dei politici e della loro interessata amicizia con gli invasori? Il loro potere, quando ci sarà, non sarà come quello degli altri. Dovranno solo stare attenti che quegli angoli sui volti, quelle angolature sui visi, gli occhi della gente che avrebbero incrociato i loro, fossero orientati alla stessa maniera. Che la città di Gerusalemme pensasse tutta alla stessa maniera: il prescelto di Dio è arrivato, accogliamolo e facciamolo re. Al resto ci avrebbero pensato loro, i dodici. Gerusalemme sarà in salita per loro, ma ce la devono fare.
Anche Gesù saliva a Gerusalemmecon loro. Saliva alla città come si sale una croce.

Gesù parla in privato ai suoi, ma sembra che ai dodici le sue parole non parlino. Oggi, dopo duemila anni, a noi sembra facile capire il suo discorso, per noi la morte di Gesù è effettivamente avvenuta. Noi guardiamo la replica di un film, abbiamo lo spoiler, sappiamo come va a finire: l’arresto, la condanna, la morte in croce. Le sue parole quasi ce le aspettiamo. Deve pronunciarle se vogliamo vedere il finale del film. E come tutte le cose che ci aspettiamo, finiscono per destarci scarso interesse e poca emozione, attenti più al fatto che il copione si ripeta sempre uguale, piuttosto che a quanto realmente sta avvenendo! Gesù racconta della sua morte, i suoi discutono di posti di comando. A volte non ci rendiamo conto della realtà e la modifichiamo fino a che diventi visibile solo ciò che vogliamo vedere.Per noi finirà per essere quella la realtà. Ricordate ai tempi di Noè? Mangiavano, bevevano, si sposavano, etc… Rendersi conto della situazione: lasciamo che la realtà sia fondamento del nostro giudizio. Magari sarà scarsamente confortante ma da lì si può ripartire. Sempre.

“…e il terzo giorno risorgerà.”. Ultime parole di Gesù prima della discussione coi suoi. E questo facciamo fatica anche noi a capirlo. Possiamo capire il gesto coscientemente passivo di chi sceglie di farsi catturare, condannare e perciò morire in croce. Ma che uno risorga! Che poi vuol dire “farsi risorgere da qualcun altro”, perché anche in questo caso ci sono delle mani che risollevano, non più quelle omicide di chi si sente minacciato nel proprio potere, ma quelle vitali del Padre. 
Si! Questo è difficile anche per noi. Un prete amico mi racconta sempre che della risurrezione poco capiamo, ma forse l’immagine più consonante è quella dei segni che Gesù compie, quando riporta alla vita persone decedute, e lo fa prendendo loro la mano e invitando a rialzarsi. Alzarsi ogni mattino, con una speranza che ci motiva. Una speranza che è già potere di redenzione dalla morte del mondo. 
Una speranza che poi sono gli altri, le persone che amiamo, la cui assenza o lontananza ci fa soffrire, perché l’amore è una voce che grida forte e vuole trovare presto una sponda da cui rilanciare la propria eco. Se non la trova, procede in avanti, ancora. L’amore non conosce mortee può procedere all’infinito. La sofferenza può nascere anche da questo ed è un mistero che proprio la sofferenza più grande sia quella che si aggemella all’amare qualcuno. Un mistero quello del risorgere, che tanto ha a che fare con l’amare e la vita, quanto con il soffrire e la morte. C’è un mistero anche nelle parole di Gesù sulla propria passione e morte, tanto quanto ce n’è in quel risorgere il terzo giorno. Tratteniamo dunque il mistero per non far diventare la nostra fede in Gesù una verità da declinare di volta in volta in assoluti morali, mistici, di promozione umana, di potere terreno. Il mistero di amore che è colui che chiamiamo Dio insiste su questo mistero della passione morte e resurrezione di Gesù. Un mistero che ha però un tempo, una scadenza: “…il terzo giorno.”. Attendilo perché incontrarLo di nuovo sarà fonte di una gioia che era già alle radici del mondo. Attendilo, perché la sofferenza ha un termine, un fine, che è incontrare chi hai amato e chi ami. Il mistero è questo, il fine è amare! Passo dopo passo, respiro dopo respiro, il terzo giorno risorgerà! 

Ma i dodici non stanno chiacchierando di queste frivole cose. Il maestro deve capire che bisogna decidere in fretta chi sarà alla sua destra: un patto pre-elettorale, la squadra di governo, la spartizione delle cariche, il chi di noi, il premio ottenuto, la coppa Cobram e la pianta di ficus, il primo della classe, l’asso pigliatutto, la poltrona. Ci si mette di mezzo anche la mamma di Giovanni e Giacomo. E avevano ancora il coraggio di farsi chiamare “figli del tuono”! Immagino la scena: “Gesù!” “Dimmi pure!” “I miei figli ti devono dire qualcosa!” “Ascolto!” “Ecco…io…cioè noi…se per caso stai decidendo…!” “Ah! Come sempre mi tocca intervenire! vogliono sapere se li fai tuoi successori al potere!”. Ma ce la vedete questa donnona che zampetta sempre dietro a Gesù nel suo peregrinare? E gli altri dieci: sai i commenti! Poi: come si permettevano di spartirsi la torta senza chiedere niente agli altri?

Gesù trova un angolo, propone una svolta, il potere diventa occasione di uno scambio di idee con i suoi. «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». La possibilità di controllare, se non la propria, almeno la vita degli altri! Superarli ed essere dominante, il maschio alfa. Competizione come regola di vita, ma non per i suoi discepoli. Tra voi non sarà così. Volete competere, volete essere grandi, anzi qualcuno di voi vuole essere il più grande, ecco come fare: servire
Non è forse questa la radice di competere? Cum-petere viene tradotto come una corsa di tutti per afferrare un oggetto unico. Invece tradurlo così alla lettera: insieme cercare! Cercare insiemedi raggiungere il medesimo oggetto, il medesimo fine. Unico non è l’oggetto, ma il movimento. Servire è questo movimento dal basso, come quando la mamma raccoglieva dalla spianatoia in legno o da dentro la madia, i cappelletti, con le mani cosparse di farina, delicatamente ma con gesto deciso. E con le braccia cariche, lasciare che la raccolta rispondesse alla chiamata della pentola di brodo in ebollizione: è giorno di festa! Servire è questo gesto umile e sperimentato di chi sa preparare tutto con gioia per la festa insieme. Come il figlio dell’uomo che è venuto per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.

Un’ultima nota: mi permetto di azzardare anche il perché Gesù intervenga in modo quasi tranquillo con quelli a lui più vicini, cercando di cogliere il momento come occasione per dare un criterio di vita, che se in Matteo viene espressa in questi termini, ritroviamo come Lavanda dei piedi nel racconto dell’ultima cena in Giovanni! Il senso è lo stesso.
Chi sa leggere i segni dei tempi, sa anche che il futuro ha bisogno non solo di ricordi del passato! 
Per i discepoli, che nulla capiscono del suo discorso, le parole di Gesù sarebbero solo un ricordo da riportare alla luce quando nel proprio cuore penseranno, con amarezza e tristemente, al momento della sua morte. Umanamente questo è importante, ma il rischio è che il ricordo faccia ripiegare su emozioni talmente personali da risultare incomunicabili, non trasmissibili. La lunga spiegazione di Gesù si muove in un’altra direzione: fare memoria.C’è bisogno di una memoria comunitaria della storia, altrimenti la storia rischia di avere l’estensione solo delle persone che l’hanno vissuta e per gli altri puramente materia scolastica. Anche ciò che stiamo vivendo in questo tempo di pandemia: un evento unico per tutti quelli nati negli ultimi – almeno – 60 anni. E non è solo questione di riempire il tempo presente, di evitare quei comportamenti che mettano a rischio gli altri ed il lavoro del personale sanitario. La responsabilità personale è fondamento di un futuro diverso dal contagio, oggi. Ma avremo bisogno anche di una memoria collettiva di questi eventi per uscirne un po’ più popolo ed un po’ meno individualisti. Altrimenti faremo presto a tornare ai ripiegamenti su noi stessi. Questa memoria va costruita sin da adesso!
Gesù è capace da subito di dare tracce per costruire una memoria comunitaria, offre materia per poter fare memoria di quegli avvenimenti anche dopo, anche oltre.

Eccoci allora all’ultima nota, musica finale: se siamo discepoli di Gesù, se ci piace sentirci chiamare cristiani, allora ascoltare queste parole di Gesù dovrebbe essere per noi come ascoltare le regole per custodire la vita in noi. È un semplice paragone, ma delle indicazioni che ci vengono date in questo tempo per evitare il contagio, dovremmo coglierne la necessità e la forza per evitare il più possibile di ammalarci, allo stesso modo #iorestoacasaascoltando le parole di Gesù. Lo stile di vita cristiano non è né un volontariato né inconsueto, ma è straordinario il modo con cui compiamo gli stessi identici quotidiani gesti che tutti intorno a noi compiono.
Magari le vicende di questi giorni possano aprirci ad una consapevolezza di popolo che necessita di fare memoria insieme della propria storia, anche se fosse dolorosa. Magari lo è perché scopriamo che stiamo amando qualcuno! 

d. Francesco Ondedei

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