Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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mercoledì 18 marzo 2020

17 marzo 2020 RACCOLTO (commento a Mt 18,21-35)

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. 
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». 


Il proverbio dice: “Chi semina vento raccoglie tempesta!”. Ci dimentichiamo dell’altra faccia della questione: “Se non ascoltiamo le voci degli altri, non saremo in grado di cantare con la nostra!”. Forse del primo siamo più esperti, il secondo ci risulta più enigmatico. Il tale che chiede il condono del debito per se ma non sente la voce di chi gli chiede altrettanto, è un uomo che dice parole ma non sa parlare, passa il tempo ma non sa vivere. La misericordia, il volto di Dio che Gesù ci ha fatto conoscere, sarà il nostro canto se prima ci mettiamo in ascolto della voce degli altri. In fondo il debito è ciò che dovuto, un dono già acquisito che chiama a conformarsi ad esso. Qual è il nostro debito? Forse pensiamo ai nostri peccati e ributtiamo tutto dentro il pentolone della colpa e dell’espiazione. Qui il debito non sono i 10.000 talenti, il debito (cioè il dono dato, voce che ti chiama a cantare in coro) è che il padrone ebbe compassione di lui, la misericordia è lo scoglio sul quale si infrange tristemente silenziosa l’onda della voce del servo, che pensa “ottenuta la grazia, gabbato il santo!”. Oggi mi va di proverbi! Mi piacerebbe che fossimo capaci di raccogliere il perdono non come un prezzo da pagare ma come un canto a cui partecipare. E nel coro non possiamo essere soli!

Buona giornata, cari imparanti come me!

Donde


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