29 LUGLIO h.6.45
Abbiamo ancora i muscoli surriscaldati dalle piramidi di ieri, che già stamattina dobbiamo uscire presto per raggiungere Beni Sweif a quasi due ore a sud del Cairo. Messa alle 6, colazione, attesa di Andros, il nostro autista.
Ritarda qualche minuto perciò io e Matteo seguiamo suor Maria Pia, che si dirige nell'orto per vedere se un giglio è arrivato al "punto giusto". Entriamo dal cancellino e vediamo le piante da fiore e quelle commestibili di verdure. Dice che ancora non è pronto. Senza sprecare movimenti inutili, prende il capo del tubo rattoppato qua e là, lo svolge e lo infila in un vaso rotto in mezzo alle piante di gigli. Una sola ha ancora il fiore che si deve schiudere. Va ad aprire l'acqua che fuoriesce non direttamente nella terra ma tracima dal vaso rimanendo in parte nel coccio infranto. "Così anche gli uccellini possono bere!".
Giriamo qua e là nell'orto. Lei con le forbici potando rose appassite quasi senza guardarle: Zac!Zac! Raccogliamo alcuni limoni maturi caduti a terra. Uno, spericolato, è finito dietro l'albero e per recuperarlo quasi finisco per sbilanciarmi e tuffarmi in meeeeezzo alla teerrra! Invece riesco a riprendere l'equilibrio e pure il limone. Matteo ride.
Poi Andros arriva e partiamo.
h.10.40
Arriviamo al centro per bambini con problematiche di diversa natura: down, difficoltà cognitive, autismo, problemi cerebrali, paralisi.
"Come chiesa cerchiamo sempre di partire con l'aiuto dato al territorio dove si apre contestualmente una chiesa. Centri come questo, oppure asili. A volte piccoli dispensari." Abuna Andrea ci spiega. "È poi una zona lontana dalla città e molti servizi non sarebbero vicini per le famiglie."
Nei piani attuali il governo sta procedendo con una decongestione o ammodernamento delle città. Perciò è stata costruita New Cairo o questa cittadina Beni Sweif. Ai nostri occhi appare come una cittadina piccola questo quartiere periferico, con tante palazzine abitative e negozi. Un ritmo di vita meno caotico ma comunque sempre secondo la regola stradale "il sistema è non avere sistema". Il governo prevede anche spazi per le chiese nei progetti di sistemazione del territorio.
Il centro è stato costruito nel 2017 e lo visitiamo con Mary la giovane direttrice cristiana. Le altre operatrici e professioniste sono tutte musulmane.
Sono 24 le ragazze ed i ragazzi della scuola. Oggi è l' ultimo giorno prima della pausa estiva e sono in 16 i presenti. Non tutti quelli presenti potrebbero andare a scuola altrove. Il centro è finanziato dalla diocesi copto cattolica. Imparano attività manuali, consumano qui un pasto poi ritornano a casa con il bus.
L'insegnamento comprende anche le pratiche di vita quotidiana come il mangiare e il tenere pulito.
Pratica di insegnamento sono anche le sedute: per specifiche competenze la figura dell'educatrice si relaziona ad un singolo ragazzo o ragazza di volta in volta.
Sono pochi i centri statali come questo, perciò i genitori sono contenti, inoltre è gratuito.
Giriamo per le aulette.
Mette in ordine le forme un ragazzo e alza lo sguardo per vedere chi siamo. È Abramo, ha 16 anni, ha fatto un corso di nuoto. Mohammed, gli è seduto di fronte e sistema le lettere dell'alfabeto arabo, formine di legno da inserire nella giusta forma del riquadro base. Da poco per un incidente ha dovuto inserire una protesi nella gamba. Ma da come si muove sembra si sia perfettamente adattato. Ci sono giochi per sviluppare le abilità manuali. C'è l'agenda visiva. Un ragazzo fa uno spiedino con elementi geometrici guardando lo schema dipinto che gli propone l'educatrice. Una ragazza col volto tenero di chi ha fatto della semplicità il criterio per comprendere il mondo, infila in una corda elementi colorati. Si chiama esercizio di manualità fine.
Le educatrici sono tutte donne. oggi è Santa Marta e in casa suor Salaam ha pregato per le donne, per il rispetto e l'emancipazione.
In un'altra stanza un ragazzo ricostruisce una storia. A volte deve lavorare di immaginazione. Pishori è il suo nome.
Camil fa esercizi di equilibrio e coordinamento. Il suo nome vuol dire "perfetto".
C'è la stanza con la parete sensoriale. (Perché siamo qui in questa stanza sensoriale? per accorgerci che siamo noi un po' indietro in umanità, mentre pigiamo gli interruttori dei nostri orari e dei nostri impegni imprescindibili).
Al telaio di tessitura c'è Ani, maestro non vedente. Da 15 anni lavora con bambini come loro. Abita qui vicino. Kirillos il ragazzo che lavora con lui è affetto da forte sordità. Ciò che è incredibile non è che Ani sappia fare questo mestiere, ma come riesca a entrare in paziente comunicazione con il ragazzo e gli trasmetta l'abilità ed insieme la sua umanità nel fare il lavoro.
Ci danno in regalo oggetti prodotti da loro: una candela, che grazie a Dio non si scioglierà durante le soste in auto del giorno, e una scatolina artistica. Ci intervistano. Cosa ne pensate? Noi siamo entusiasti. Cuore e competenza. Mentre loro prendono il pasto noi li salutiamo.
h.11.40
Raggiungiamo l'ospedale che è una parrocchia. Padre Boulos (Paolo) è famoso in tutta la regione per la sua determinazione. Magro, non molto alto, non ha capelli ma la barba dona al volto una cornice adeguata ad una ferma e decisa serenità. 20 anni fa ha intrapreso questo progetto, poi riconosciuto dal governo, e compensa in tal modo la scarsa presenza numerica di parrocchiani della sua confessione (copto-cattolico) mettendo in questo servizio tutto il suo impegno pastorale. Lo segue un barboncino di piccola taglia, un cane che non si vede in giro. I due si muovono sempre insieme.
Il governo mette il personale, ma le spese sono della diocesi, e la gente che non può permettersi le spese, paga almeno una quota simbolica. Si arriva fino a 50 operazioni al giorno. Usciamo dal pronto soccorso mentre entra una giovane famiglia con una bimba non sofferente ma leggermente claudicante. Le guardie di ingresso ci salutano. Padre Boulos mi ricorda alcune figure di missionari incontrati ormai decenni fa, come Baba Camillo: determinate, limpide, con una meta chiara e una cura per le persone che dall'altare arriva alla vita. Nella sua comunità scopriamo poi essere presente a sostenerlo, la San Vincenzo, associazione caritativa molto attiva qui in Egitto.
h.12.30
Siamo dalle suore francescane presenti da 125 anni con una scuola che si sviluppa dall'asilo alle elementari e medie. Ci accolgono suor Helene e suor Yvonne, sono missionarie del cuore immacolato di Maria.
Con loro il tema sulla situazione vissuta tra 2011 e 2013 (primavera araba e avvento dei fratelli musulmani al governo con il presidente Morsi) emerge subito, perché la loro scuola è stata bruciata completamente e alle suore fu solo concesso di scappare. Si rifugiarono presso una professoressa musulmana che lì insegnava. Passarono qualche giorno nascoste, poi raggiunsero un luogo più sicuro.
Ad alcune domande sul presente, comprendiamo come sia complesso il discorso da fare, per cui conviene evitare un giudizio che identifichi il male tutto da una parte ed il bene tutto dall'altra. La scuola accoglie tutti e ci spiegano le suore, non può accettare visioni manichee che sono contro testimonianza al Vangelo.
I vescovi ortodossi accettarono di aprire le porte delle loro scuole per lasciare che gli studenti della scuola distrutta potessero frequentare. E così fino alla riapertura nel 2016.
Suor Helene è in grado di farci capire quanta pressione insista sui cristiani, senza però giustificare con ciò una condanna generica verso un mondo da cui sono fuoriusciti questi attacchi violenti, ma anche molte esperienze di dialogo e comprensione.
Sono 4 suore in tutto, e la scuola ha 873 alunni, 46 per classe. Il governo vorrebbe addirittura 60!
h.13 passate
Cerchiamo in centro un cibo veloce dove mangiare.
Vecchi edifici coloniali ci accompagnano ogni tanto, riallineati oggi come palazzi per uffici governativi. Ritinteggiati.
Dopo pranzo siamo diretti al monastero nella zona rurale di El-Azab. Il Nilo scorre vigoroso in questa città e nutre all'esterno canali di ampia portata che rendono le coltivazioni un sorriso contagioso per chi era fermo all'idea di deserto.
Arriviamo al controllo della polizia per accedere al monastero, proprio di fronte ad un canale (io sono con la camicia da prete perché alla sera incontreremo il vescovo Toma e questo rischia per noi di essere una involontaria richiesta di scorta per il nostro viaggio. La polizia non vuole che un prete rischi un attentato! Ma Andros riuscirà a convincerli di non essere a rischio).
Al centro del piazzale oltre le mura, una aiuola contiene la statua del santo Abram, il cui corpo è custodito e venerato in questo monastero femminile(37 monache). Morto nel 1840, la sua fama era di essere generoso e buono con i poveri. Una persona ci fa da guida e ci accompagna a vedere la stanza con le memorie ed il corpo dentro la bara, avvolto da un drappo dipinto con il suo volto. Altri pellegrini sono qui, sembrano gruppi di catechismo in gita. Attorno alla tomba, infilati in ogni modo, foglietti piegati con intenzioni scritte. "Sono preghiere di intercessione" ci dice la nostra guida "la fede della nostra gente è semplice e si esprime così."
Ci rimettiamo in strada per raggiungere la parrocchia copto cattolica sede anche della diocesi di Giza.
h.20
Siamo a cena col vescovo Toma, padre Pius, padre Andrea e Mohsen, un uomo sposato che a breve verrà ordinato presbitero (perciò dovrà vendere la sua azienda e ricevere d'ora in poi ciò che gli serve per vivere dal vescovo). In casa troviamo al lavoro anche il papà di Andros, discreto e gentile come il figlio. O forse l'ordine sarebbe al contrario, cioè in Andros abbiamo ritrovato le doti che ora vediamo nel padre.
Il vescovo Toma siede capotavola ed io sono al suo lato destro. Conosce l'italiano, è molto affabile e certamente col suo atteggiamento ci facilita il dialogo. Ci racconta che lui ha 15 preti in tutto nella sua diocesi copto cattolica. Rispetto la chiesa copto ortodossa la sproporzione è chiara: "in Egitto 9 diocesi noi, 120 loro". Torna a spiegarci che sono sette le chiese orientali cattoliche:
copto cattolica, maronita, caldea, siro cattolica, armena, greca, latina orientale.
La cena prosegue con alcune notizie sulle vicende dell'Egitto.
Poi scendiamo perché giù è appena terminata la sfida a calcetto tra le parrocchie dei due padri presenti. Scopriamo una comunità sorridente, che ci fa sentire a casa, con scherzi battute domande. Molti bimbi passano a salutarci sorridenti. Uno canta un testo liturgico in lingua copta. Conosciamo anche la campionessa locale di domande sulla Bibbia che parteciperà ad un contest con altre parrocchie. Foto, saluti, sorrisi, comunione. Riprendiamo la strada di casa ben felici del giorno.
30 LUGLIO
h. 18.30
Oggi sarebbe stato il giorno intero da trascorrere con Silvia Porta, fidei donum bolognese, e gli altri del focolare. Un guasto al pullman di ritorno dalla Mariapoli, ieri, li ha fatti rientrare verso le 5 del mattino, perciò spostiamo al pomeriggio ciò che si può.
Raggiungiamo Silvia e Bernard, focolarino tedesco, fuori della chiesa dove hanno partecipato alle messa. Scendendo dal Mokattam, vediamo numerosi gli aquiloni sulla città, o meglio sulle case più povere. Ci dividiamo sulle due loro auto e partiamo alla volta del centro scuola per sudanesi realizzato dai comboniani a Kiloarbaenos, quartiere popolare per non dire estremamente povero alla periferia del Cairo. Il nome significa "4 km e mezzo", cioè la distanza dalla strada principale quando questa zona iniziò a popolarsi. (La parrocchia storica dei sudanesi gestita dai comboniani è l'altra, quella già visitata al Sakakini).
Durante il viaggio, io e Matteo in auto con Bernard, ascoltiamo il racconto del servizio che svolge al "Kilo". Bernard è istrionico e ha prospettive a volte di (con)fusione con le persone che sostiene. Si capisce quanto si appassioni e si voglia donare al prossimo.
Il suo lavoro è tramite la fondazione MONDO UNITO, escamotage che evita connotazioni troppo confessionali alle proposte che fanno: da percorsi di empowerment rivolti alle donne, alle semplici gite per rallegrare i giovani con la piscina o il parco zoo.
Al Centro Santa bakhita ci accoglie James e dopo una lunga visita alla scuola, saliamo in casa sua e ci fermiamo per cena, a base di pesce. La luna sta crescendo da quando siamo arrivati e venerdì sarà piena. James è responsabile per i servizi sociali. Sposato con Rebecca, ha quattro figli. Anche lui vive in un palazzo alveare, appartamento minuscolo, affitto 2500 Lire egiziane. Un'ottantina di euro. Poco per noi, per loro è una spada di Damocle. Ma la loro gioia di stare con noi e poterci accogliere in casa è reale.
Un po' stanchi e senza cartina, arriviamo con calma oltre il labirinto delle strade fino al Mokattam. La mezzanotte è passata da quasi 10 minuti.
31 LUGLIO h.9.30
Siamo al convento dei domenicani. Fondato nel 1928, ha avuto come scopo quello di accostare l'ordine domenicano allo studio della cultura coranica e delle sorgenti della religione islamica. La scelta è caduta sul Cairo: è la città con la più grande università Sunnita del mondo islamico, Al-Azar.
Padre Immanuel, francese, ci guida dentro gli ambienti di questa comunità che conta otto religiosi. A fine 800 iniziò il rinascimento dell'Islam. In principio era casa affiliata alla scuola biblica di Gerusalemme.
Il metodo storico critico che si applicava al testo biblico, non va bene per il Corano, perché lo statuto del Corano è che si tratta di parola di Dio non secondo Maometto ma secondo Dio. Non è possibile che dipenda da una cultura! Allora i domenicani iniziano a studiare i commentari che nei secoli l'Islam ha prodotto, come hanno capito loro il Corano. In questo modo si può utilizzare per così dire l'approccio storico attraverso la comprensione del testo nei secoli.
Nasce cosi la biblioteca.
Padre Immanuel ha un italiano con accenti francesi, ma ha il dono della chiarezza.
h. 10,20
Passiamo alla casa delle suore di San Vincent de Paul, dove venivamo ospitati con i gruppi al tempo di don Contiero. Poi proseguiamo fino all'ospedale italiano dove suor Pina ci guida ad una comprensione adeguata di cosa sia un ospedale qua al Cairo, di come funzioni, come si coniugano per la loro comunità intercongregazionale preghiera e lavoro.
I posti letto sono 250, i servizi offerti completano tutto il ventaglio delle possibili necessità sanitarie.
Ma il rapporto con la gente è ciò che illumina questa suora: "Mi accompagni?" Le chiedono di frequente i malati, musulmani soprattutto. "Nei momenti in cui la persona è più fragile non c'è religione, c'è solo umanità che emerge."
Premurosa ci accompagna a prendere il taxi e rientrare ormai fuori orario per il pranzo.
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