Sono già le 20 quando ci sediamo di fronte all'ingresso del caseggiato delle suore comboniane. Siamo nell'angolo da cui si vede pure il cancello di accesso al giardino della proprietà: alcuni vialetti di cemento segnalano i vari percorsi verso la casa, verso il retro, verso un gazebo al lato sinistro dell'edificio dove i gruppi ospiti possono radunarsi per il rosario.
Maria è una presenza discreta in questo paese musulmano, perché le viene riconosciuto un ruolo significativo nella storia in quanto madre di quello che per loro è il profeta Gesù.Un piccolo eden alla destra del cancello soddisfa lo sguardo assetato di verde, un verde esuberante, quasi la rete metallica che lo circonda tentasse di frenarlo altrimenti il grigio caldo dei palazzi cittadini potrebbe sparire in un attimo. Ma non è così! Lo dicono gli altri alberi e cespugli delicatamente curati nel resto del giardino, circondati da una terra avida che chiede acqua in cambio di quel colore vitale. Non ci avevano del resto insegnato a scuola che il Nilo fu ed è la fonte della prosperità per il popolo egizio? Senza quell'acqua questo sarebbe un deserto.
Così iniziamo i nostri racconti serali, ascoltando noi le suore, e le suore noi quattro.
Tre compagni di viaggio: Cecilia, giovanissima logopedista porta con sé l'esperienza delle Case della Carità che frequenta in Italia e di cui ha fatto esperienza per alcuni mesi anche all'estero, in India. Matteo, giovane docente di "religione" al Salvemini, ha trovato nell'esperienza missionaria una buona sponda per tessere uno dei ponti di contatto con il mondo studentesco che frequenta. Dario lavora in una grande multinazionale di Bologna, per lui un primo viaggio a Mapanda (Iringa, Tanzania ) e un anno e tre mesi come fidei donum sempre in Tanzania nella missione diocesana, hanno aperto un desiderio ed una domanda che ancora camminano con lui quotidianamente. Infine il sottoscritto, d.Onde, già da queste parti sin dal 1990 con i viaggi del Centro Studi Donati insieme a don Tullio Contiero.
Delle suore la prima a parlare è Rita. Tutte esordiscono con la loro età, punto di forza e insieme fragilità nel futuro per tutto il mondo delle vocazioni nelle Chiesa. Chi prenderà il loro posto nei servizi di madri presso i villaggi le scuole i dispensari gli ospedali di cui i raccontano?
Lei ha 85 anni, di Verona. Stamattina ci ha salutato con buongiorno. Voleva usare il saluto arabo ma la cuoca, donna locale, le ha detto di no, per accoglierci doveva usare la nostra lingua! Sbarcata ad Alessandria nel 1961, per molti ormai un tempo preistorico, per loro la radice della memoria dei tempi del Concilio. In questo paese ha frequentato soprattutto luoghi come questa casa di spiritualità, al servizio delle consorelle e di chi avesse bisogno di accoglienza. Ricorda anche il periodo di costruzione di questo luogo, quando il terreno rischiò di essere sequestrato o qui vicino, per lungimiranza di frate Leone, venne costruito il centro francescano dei frati minori, di come nel 1973 furono costretti a lasciarlo per le tensioni politiche a seguito della guerra del Kippur. Il frate dovette seppellire la statua di Maria in attesa di un incerto ritorno a Lei affidato. Il che avvenne. "Negli ultimi 25 anni hanno costruito tutti questi palazzi, ma prima anche da casa nostra si vedeva la statua mariana dei frati!".
Stamattina siamo usciti nell'oretta che precedeva la messa domenicale e abbiamo cercato (non subito con esito da bravi esploratori) la chiesa. Data l'ora del nostro arrivo abbiamo fatto colazione alle 10.30 per recuperare un po' di sonno del viaggio di ieri.
Alzarsi tardi significa cogliere gli ultimi momenti di acqua che esca non calda dai rubinetti. Il resto del giorno il sole e le temperature impediscono di avere meno di un'acqua tiepida per ridestare il viso ogni tanto.
Come tutte le cose qui sottoposte al caldo, hanno una consistenza fluida, le superfici rilasciano perciò odori, a volte sono veri profumi. Come il legno e la sua vernice, un dolce attrito nel naso, che per me è anche il ricordo forte del tempo trascorso al lebbrosario qui nel 1991.
Rientrati dopo la visita al centro francescano, per la messa e a seguire il pranzo, ci siamo infine presi un'altra oretta di riposo.
Ormai il buio è calato e il vento ci conforta, quando inizia a parlare suor Maria, 77 anni, portoghese di nascita, missionaria per scelta, al Cairo dal 1969. Qui ha vissuto tra la capitale e i villaggi dove erano presenti le suore comboniane nell'Altro Egitto. La missione nel sud del paese è differente -racconta- perché nei pomeriggi dei villaggi era un continuo andare e venire loro alle case della gente, e la gente alla loro casa. "Noi siamo sempre accoglienti con tutti, cristiani cattolici o copti, oppure musulmani, perché la capacità di dialogare è ciò che distingue la missione!".
Per un attimo ho un lampo della nostra passeggiata pomeridiana, quando hanno staccato la luce alle 15 -eccessi di consumo per condizionatori costringono a questi razionamenti- e rischiavamo anche di non poter passare il cancello per uscire, oltre a mandare a monte il nostro progetto iniziale. Così nell'attesa mi sono lasciato conquistare lo sguardo dai palazzi vicini. In uno mi incuriosiscono alcuni vestiti stesi fuori del davanzale. Un vento li scuote in modo strano, sembrano danzare. Una danza curiosa, un desiderio di volare. I colori ancora bagnati pescano nel cielo il tempo della loro asciugatura e sembra un progetto di libertà dai fili e dalle mollette che li trattengono.
Abbiamo vagato per le strade del quartiere. Ampi viali principali, molto negozi, di abiti soprattutto, vetrine ben curate, banche dai titoli multicolor, negozi di giocattoli talora e locali per avventori. Tutti visi belli della città
ma sovrastati dal resto del palazzo cui appartengono e perciò in contrasto con il famoso ocra di cui scrivevo. Un contrasto però non misero, piuttosto curioso e sollecito al nostro sguardo da poco nato in questo paese.
Poi le persone: deve essere un quartiere o una zona abbastanza ricca perché a parte qualche carretto di frutta o di pane arabo (oh cosa è stato vedere l'abilità con cui da due vassoi di bastoni intrecciati un uomo a gettato su di uno stretto carretto quattro file di pani perfettamente allineati senza farne cadere uno con un gesto di scatto come solo un artista che dipinge il mondo sa fare!), e qualche persona in angolo seduta, ignorata, invisibile, per tutto il resto le persone sono attive e chiaramente al lavoro su qualcosa. Incrociamo alcuni che escono dalla mosche dopo il richiamo alla preghiera delle 16.30. Un nonno ben vestito, camicia calzone giacca, ha ancora tra le mani il rosario dei 99 nomi di Dio. Tra i palazzi alcune voragini recintate di fondazioni per future costruzioni.
Dalla distrazione mentale rientro nell'ascolto. È il turno di sr. Salaam. 77 anni anche lei, Eritrea è il suo paese, ma è sempre stata qui dopo l'invio in missione. L'arabo non è stato facile per lei " ma la lingua è il passo più importante per un missionario, perché è con essa che smetti di essere estraneo ed inizi a comprendere la cultura e la gente!". Ha frequentato molto i villaggi a sud e tra tutte le opere compiute quella che ci tiene a ricordare è il lavoro per la donna. "Abbiamo aiutato le famiglie a lasciare che anche le figlie frequentassero la scuola. E ricordo l'ostinazione di un papà che al maestro rimandava sempre sua figlia perche aveva diritto anche lei, nonostante il maestro la ricacciasse costantemente a casa. Alla fine hanno vinto la tenacia e perseveranza del babbo e della figlia!". E questa storia mi lascia un buon sapore di speranza favorendo l'utima vivace testimonianza di suor Maria Pia. 86 anni, di Rimini, con tutto l'umorismo romagnolo ci confessa che lei ha sempre accolto l'obbedienza (cioè la richiesta di spostarsi via via in nuove missioni) eccetto una quando le chiesero di andare in casa provinciale. Lei infermiera, sempre sulla frontiera con gli ultimi dagli ospedali ai dispensari, fino al decennale lavoro tra i lebbrosi per dieci anni, faceva fatica a pensarsi chiusa in una casa di uffici. Difficile ora per me radunare le tante storie che ci ha raccontato con ironia e umanità, forse materia di una successiva aggiunta a questa pagina di diario. Mi piace concludere con le sue parole quando sorridendo ci ha detto che la sua prossima obbedienza sarà di andare in paradiso. Vabbeh direte voi lettori, come fa a sapere di andare proprio là? Non ve lo so spiegare, ma nessuno di noi che ascoltava ha messo in dubbio una sola parola di queste donne che ci hanno aperto il loro cuore e la loro vita.
Per lasciarci con un sapore dolce pensano sia necessario offrirci anche un cioccolatino, ma so che non era necessario per lasciarsi coprire dal lenzuolo di caldo questa notte per addormentarsi sereno.
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