Mercoledì 26 luglio h.22
Stasera avrei dovuto parlare del Sinai e invece devo partire dal Cairo! Siamo rientrati dopo sei ore di viaggio - qualcosa in più dell'andata come tempistiche per un controllo meticoloso alle iota dei nostri documenti al Check di entrata e uscita dal parco del Sinai - e abbiamo trovato l'ingresso del cancello delle Comboniane disfatto dal caterpillar che sta rifacendo la strada (davvero la città sta conoscendo un cambiamento tutt'altro che solo cosmetico e superficiale se vengono sradicate anche vecchie strade laterali per asfaltarle di nuovo).
Superiamo il piccolo fossato camminando sul marciapiede dove quotidianamente sosta una mamma con i suoi quattro figli a commerciare qualche verdura, sorridente, sempre gentile, come pure il marito quando non lavora altrove. Gli è stato concesso di vivere in un androne di un palazzo (ma nel nostro breve migrare per le strade, ci accorgiamo che molti occupano i piani rialzati di palazzi in costruzione, sono il popolo dei palazzi infiniti). Con un gesto del volto ci indica di passare da lei per accedere. "Shukran!" Rispondiamo poveramente orgogliosi delle poche parole in arabo che abbiamo imparato ad usare.Vediamo le suore al completo sedute alla porta di casa. Alla sera lì è più fresco e sospira un venticello confortante. Ci salutano e ci dicono che mangeremo al lume di candela. Sempre per via di questi black-out selettivi durante casuali ore del giorno e della notte. Forse il caldo è assetato di energia dei condizionatori e obbliga a spegnere i quartieri per una due ore. Tutto fermo nei negozi, nelle case. La strada resta sempre viva. Fatto sta che mentre nei palazzi di fianco dopo due ore torna tutto normale, noi siamo ancora al buio. Al telefono le suore vengono rassicurate dell'invio di un tecnico ma al mattino niente di fatto. A metà mattina del 27 scoprono che durante la mancanza di energia, qualcuno ha rotto il coperchio di un tombino e ha rubato la centralina che regola l'erogazione di energia a questo caseggiato. Si sono portati via pure il tombino!
Così, in stanza, in questo buio da bolletta non pagata, mi viene comodo parlare del pellegrinaggio notturno sui sentieri del monte di Mosè dove Dio gli parlò.
"Allora Mosè fece uscire il popolo dall'accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte.
Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco, e ne saliva il fumo come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. Il suono del corno diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce.
Il Signore scese dunque sul monte Sinai, sulla vetta del monte, e il Signore chiamò Mosè sulla vetta del monte." Esodo 19
"Mosè salì dunque sul monte e la nube coprì il monte. La Gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube. La Gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna. Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte. Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti." Esodo 24
È una delle più grandi avventure della mistica umana, quella narrata nei capitoli di Esodo, un essere umano che entra nella nube di Dio. E noi poveri scemi che guardiamo alle nubi soltanto per il bollettino meteorologico! Chi ha scritto il testo doveva raccontare come fosse possibile per un uomo incontrare il Signore e non morire. La montagna, il fuoco, il fumo, la nube: sono esperienze di tutto il popolo, ma per Mosè sono luogo di incontro. Come quando si tolse i sandali perché il roveto che bruciava ma non si consumava gli disse che è sacro ogni terreno che conduce ad un altro ( nel monastero di Santa Caterina, dietro un muro semicircolare, da sopra, sbuca fuori una pianta di un roveto, e tante persone, cristiane e non solo, infilano piccoli cartigli di preghiere nelle trame della pianta che sovrasta le loro teste, o nella trama dei mattoni, dove la calce non è compatta: è il roveto ardente). Nella nube scese il Signore.
Dal nostro desert fox camp (alloggio famigliare, già campo di famiglie beduine che ora lo gestiscono, letteralmente siamo in casa loro) ci alziamo e usciamo nella notte. È l'una. Un taxi ci accompagna fino al controllo (ancora uno) 500m dal monastero. Davanti a noi una famiglia. Per nulla interessati a noi, un gruppo di beduini sta giocando riverso sul marciapiede attiguo, di fronte a dei negozietti che all'indomani venderanno oggetti ricordi kitchissimi. Tutta la zona è illuminata a giorno, fari potenti che toccano la montagna come si possono toccare le antenne di una lumaca. Ci aprono le borse, le svuotano, il metal detector attraversato non suona. Due cani arrivano fino a stirarsi davanti alle persone per ricevere del cibo, non fanno un verso, sono abituati. Con loro alcuni gatti. Due ne troveremo perfino alla vetta che salgono con noi l'ultimo km di gradoni di pietra. I miei calcoli mi dicono che siamo pochi a salire. La nostra guida si chiama Zacaria, parla benissimo inglese, è giovane sulla trentina, mi spiega che questa non è alta stagione, ma comunque il flusso è diminuito tantissimo. Mi ricordo un numero talmente alto da avere un unico lungo serpentone che saliva e via via si raccoglieva come un concio di capelli sulla cima. Ora il silenzio in salita è garantito. Per me decido di viverlo come una veglia pasquale, e quando la fatica prende anche il pensiero per dare forza ai muscoli e al cuore, allora ci infilo frammenti che ricordo, frammenti cantati da un frate a Pesaro negli anni della mia adolescenza. Soprattutto una ripetizione "questa è la notte". Nella notte sepolto, nella notte risorto. Alle 2.30 siamo a due quinti del percorso. Un cartello toglie il dubbio e dice che la direzione presa è quella della sommità. Ancora qualche centinaio di metri e siamo alla nostra prima sosta. Il tragitto è puntellato di luci. Ogni luce è un piccolo capannino in pietra con sedute coperte di tappetti, vende bevande cioccolate biscotti. Prendiamo del tè bollente. Mangio una cioccolata. Zacaria ha un piede fluido e rapido, non sembrano per lui che passi già nati prima di muoverli, con la sofferenza del parto superata, e se ce ne fosse una, lui l'avrebbe già vissuta prima di quel momento. Per lui questo non è lo sforzo, è l'azione del giorno. Ad ogni sosta approfitta per parlare con altri beduini al lavoro: chi fermo ai capannini, chi accompagna turisti sui dromedari. Fuma una sigaretta ad ogni tappa. Alcuni se la scambiano. Via via incontriamo altri turisti pellegrini come noi. Arrivati alla fenditura della roccia capisco che manca poco al passo finale. Sono le 3 e 10 quando vedo il pilone che segnala gli ultimi 750 gradoni in pietra. Finora eravamo sul sentiero, ora iniziano questi spacca muscoli che fanno tintinnare il cuore. La nostra guida mi affianca. Non sono sicuro di farcela. Mi devo fermare spesso. Un gattino miagola la sua presenza. Alle 4.30 vedo la chiesetta e la moschea vicina. Sotto c'è il luogo dove si sarebbe fermato Mosè. La gente affolla gli spazi ristretti. Sono le 5.30, è freddo. Molto. Mi devo coprire con la felpa e il k-way. Il nostro autista che ci ha seguito fin quassù, ha solo una copertina ed i calzoni corti. L'alba è alle 6. La gente inizia a farsi foto da un punto del costone con il cartello che segnala pericolo. Un turista di mezz'età con figlio e moglie, si toglie la maglietta e si fa fotografare. Molti vogliono foto in quel punto. Mentre salivamo incrociamo alcuni gruppi già in discesa. "Perché scendete senza vedere l'alba?" "Non ci interessa quello!". Alle 6.45 dobbiamo già iniziare a scendere per non rimanere nel caldo del sole riflesso dalle rocce. Scendere con la luce ci fa vedere parecchi rifiuti. Era meglio di notte. Alle 8.10 siamo già al monastero. Ancora non è aperto. Ci fermiamo quasi ebeti di sonno al bar vicino. Alle 9 meno 10 entriamo. Guardiamo alle antiche icone quasi archetipi di tanta arte successiva. Testi manoscritti di valore incalcolabile, alcuni copie di testi biblici, altri liturgici o agiografici. Perfino un testo geografico di poco dopo il mille con mappe del mondo e del paradiso. Poi il roveto, il pozzo. Infine la chiesa, scarsamente frequentata dai turisti. Soffitto piatto, alto, da cui scendono almeno 15 lampadari in ottone, di differenti forme. Tutto predisposto per la liturgia. Quel poco che so' prego anche io. Accendo due ceri, li infilo nella sabbia.
Rientriamo e riposiamo, il viaggio di rientro al Cairo in auto, il caldo eccessivo delle 6 ore per giungere dalle suore. La cena. Un po' di gioco e serata insieme. Poi andiamo a letto al buio: non lo sapevamo ma la corrente tornerà solo domani quasi a mezzogiorno.
27 Luglio
Mattinata tranquilla tra black-out e cambio di soldi. Un po' a zonzo nella quotidianità del quartiere incontriamo Ahmed che parla un fluente italiano studiato all'università insieme all'inglese. Racconta che si è letto pure la divina commedia! Sposato a 26 ora 32enne ha tre figli e lavora presso un'azienda locale. Per un po' ha fatto da qua il call center per Amazzonian! Cerchiamo un internet cafè ma sono chiusi e quello aperto è rimasto senza corrente. Lascio i miei compagni di viaggio e rientro dalle suore comboniane. Passando vicino alla banca in netturbino in divisa si gira e mi accorgo che gli manca un occhio, mi sorride, accenno un saluto sospeso e senza conclusione. Di molti poveri qui non saprei dire il volto, se non che anche questo mondo puntato al rinnovamento della città, cui il presidente (ci confermano varie persone) ha dato stabilità, comunque genera individui smarriti che a piedi camminano anche contromano sulle strade, o quartieri dove il costo sia inferiore perché accedano ad un alloggio. Ma in questa città di 22milioni di abitanti e con la svalutazione costante della moneta (un euro vale 34 lire egiziane) lavorare non è sufficiente se hai lo stipendio base di 3000 lire al mese. Osservo che non è passata l'abitudine nei pomeriggi di fare volare aquiloni sulla città.
Verso le 15 30 prendiamo un Uber per raggiungere le suore della carità, di santa Giovanna Antida. Il custode quando arriviamo, sembra diffidare, poi le suore ci aspettavano grazie ad una telefonata di una consorella, suor Damiana, con cui collaboriamo per la pastorale universitaria a Bologna. Ci accolgono anche senza preavviso.
Hanno una scuola, mille studenti dai 4 alla fine del percorso per accedere alle superiori. Metà sono cristiani metà mussulmani. La convivenza didattica per loro è cosa sicura. Sono tutte ragazze.
Restano alla scuola dopo le 14.45 se seguono gruppi legati allo scoutismo oal movimento eucaristico dei gesuiti. Ci sono 57 scuole private, di cui una al Cairo ed una ad Alessandria sono state da loro fondate e sono da loro seguite. Quella del Cairo nasce nel 1909.
Hanno anche tre centri nel sud o alto Egitto. Ci parlano di profughi dal Sudan e dalla Siria.
Con la guerra qui sono arrivati milioni di siriani e di sudanesi. Parliamo di problema immigrazione, ma una suora risponde: "qst terra appartiene solo a Dio!"
Sono 5 in tutto in questa comunità: suor Grace, dal Sud Sudan, suor Fida, libanese e a capo di questa comunità, suor Marie Noel, egiziana, la più anziana, che qui ha studiato e poi insegnato, suor Samar altra libanese ed insegnante (qui le lezioni si fanno in arabo francese ed Inglese), suor Sanah, egiziana, che ci e venuta a prendere all'ingresso, ed infine suor Haneya egiziana lei pure, vivace. A lei uno di noi fa notare che la casa è davvero bella. "Bella la casa ma più bella la cappellina nella casa"
Nella cappella un'icona copta da da sfondo all'intero altare. Ci spiega le due caratteristiche di queste opere. Hanno occhi grandi e personaggi piccoli. Alla mensa dell'ultima cena Giuda è già in fuga sulla sinistra.
Ci congediamo dalle suore per raggiungere i padri comboniani alla comunità di zakakini, nella parrocchia frequentata dalla comunità dei sudanesi e sud sudanesi.
Da pochi mesi è arrivato il nuovo parroco, padre Teckie, di origini eritree ma da molti anni presente nell'alto Egitto. A lui si affianca padre Casimiro, ugandese, che in un centro vicino segue la scuola, che comprende un asilo ed il percorso didattico fino alle superiori. Infine padre Mina, egiziano, appena 9 mesi di ordinazione. Sorriso squillante è il più giovane dei tre.
Torniamo a parlare dei profughi. Quelli dei due Sudan scappano per la guerra, da qualche mese di nuovo violentemente accesa nella capitale Karthoum. Arrivano qui cercando di eludere i controlli, ma non vogliono restare. Confidano di essere accolti o in Canada o in Australia o negli Stati Uniti. Ma per alcuni i mesi diventano 10 o 20 anni. Vivono in mezzo alla popolazione del Cairo. Come parrocchia cercano di offrire un aiuto per spese sanitarie o per aumento improvviso del canone di affitto casa per cui rischiano di essere sfrattati. La scuola deve affrontare grosse spese per i salari dei docenti.
L'incontro è breve ma efficace, proponiamo una presenza di universitari nei prossimi anni durante il periodo estivo per stare con i giovani quando le scuole sono chiuse. L'idea sembra buona. Scesi dagli uffici, padre Casimiro ci vuole accompagnare ("faccio prima che spiegare al taxista dov'è la casa delle suore". Qui le indicazioni stradali sono davvero soggettive!) E prende l'auto. Di sotto in uno spazio coperto da teli lungo tutto il suo perimetro giocano una cinquantina di ragazzi. Le mamme aspettano per intercettare uno dei padri che ascolti le loro necessità. Sono le sette si sera ed il caldo è abbastanza afoso. Ma per i ragazzi conta meno del nulla.
Arriviamo dalle suore giusto per cena. Poi mentre organizziamo la giornata di domani da oltre il muro, in mezzo al rumore in aumento delle auto per strada, sentiamo il grido, come durante l'esplosione di gioia delle donne in Tanzania, fatto in modo da richiamare tutti. Noi sentiamo e chiediamo alla suora. "È un matrimonio!" Dopo oltre le dieci i canti finiscono. La sposa ha ormai raggiunto lo sposo.
Bellissimo , provo una gioiosa “nostalgia di assenza” ( sono complicato? ho la mente contorta?). VI pensò e cammino insieme a voi con l’Esodo l’occasione mi è propizia, e ricordandovi nella preghiera.. Buon cammino, la strada verso il Signore da gioia. Un forte abbraccio
RispondiEliminaCome sempre il racconto del diario esprime una forte suggestione mista a una vorace curiosita' per la descrizione del paesaggio e della vita che scorre attorno
RispondiEliminaImmagino l'emozione, oltre la fatica, di arrivare sul punto del "richiamo del rovo ardente" dove Mose' , più tardi, ricevette le Tavole della Legge
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