L'effetto della frequenza: siamo fatti a percepire una forbice della frequenza dei suoni. Al di sotto e al di sopra della linea non riusciamo a sentire nulla.
Non so se ci sia un senso ironico dietro, ma una non piccola analogia esiste con tanti ambiti del nostro essere umani. A volte non ne sentiamo i confini e si cerca "qualcosa" per vedere se sono più in là. Se più in là è anche poter sentire di essere ancora umani. Come se ci si fosse assuefatti a ciò che siamo!
Anche qui dalle colline sulle montagne della regione di Iringa, penso a piazza Verdi. Le vie piccole che vi accedono in tragitti non lineari. I ragazzini che incontro il venerdì o sabato sera. Poi anche persone d'anagrafe ben più adulte completamente assuefatte all'uso di sostanze per vena (le unità di strada dicono un calo, le statistiche regionali narrano di una esplosiva fragilità invisibile, che sfocia nell'aumento -grave, reale questo- di morti per overdose in Regione Emilia-Romagna).
La linea del sentire non sente più. Occorre spostarla per sentire qualcosa.
Anche a livello politico: spostare più in la linea dell'odio per sentirsi italiani! Come se questo fosse equivalente a percepire la propria cittadinanza! I rimestatori del potere cercano nuovi confini della socialità: essere davvero convinti che il carattere dell'odio sia capace di tenerci uniti non cambia le carte in tavola!
La frequenza di un luogo di un ambiente di case abitate di villaggi e di parrocchie. Un altro continente, un altro paese, un altro parallelo. Da principio è come guardare da fuori le vicende anche se ci sei in mezzo, come un sasso che nel fiume provi ad essere liquido nell'acqua.
La frequenza aumenta: dopo un po' non ti guardi più, sei tranquillo, pensando anzi che il fiume intorno a te sia stabile, un tranquillo e fermo ambiente sicuro. Aumenta la frequenza e il Rischiatutto è che cominci a guardare l'acqua come se tutto fosse sasso come sasso.
Stiamo per partire (ci attendono due giorni di approssimazione, prima a Dar con sosta e poi a Bologna) e questa è l'ultima pagina di diario che scriverò in questo viaggio, permettetemi di essere più diffuso del solito.
Mapanda: ormai sono 4 anni da che ho iniziato a visitarla e sostare. Una frequenza non piccola, anche due volte l'anno. Una frequenza alta, per intenderci, da viaggiatore e da ospite comunque. Ma una frequenza alta! Ed il rischio dell'abitudine resta una conseguenza da non sottovalutare.
Mi aiutano gli sguardi. Le visioni degli altri. Il presente non più come un viaggio ma come una vita. Vita che può essere in comunione. Senza spostare la riga più in là dell'essere umani. Anzi proprio l'opposto: restare umani.
LA GIORNATA DEL RITO
Così domenica 27 è arrivata! Tutto è pronto. Con calma ci alziamo per le loro e poi colazione. Indaffarati ognuno al suo: io e Pietro Giuseppe aiutiamo per allestire il pranzo. La messa era alle 10, poi i catechisti hanno anticipato alle 9, ieri sera il vescovo Tarcisius ha decretato con sapienza salomonica che il meglio sta in mezzo: quindi alle 9.30!
La confusione degli orari, complice il mercato settimanale a Mapanda, ha fatto si che molti arrivassero ben oltre l'orario stabilito. Ma con l'omelia si può dire che le ondate più grandi erano terminate.
Dalla mia parte di altare dove siedo, si vede il coro e il canto nell'assemblea modera il morso del tempo che scorrerebbe lento: la celebrazione dura 2 ore! Dietro il coro le porte spalancate e la luce che entra (il timido nebbiolino dell'alba per ora cede il passo al sole appena intimidito dalle nuvole che iniziano ad addensarsi) accentua il bianco luminoso dei contorni delle cose e delle persone. Come pulviscolo ferito dai raggi di sole si manifesta ai nostri occhi, così appaiono insetti volanti che entrano e prendono a girare dentro senza capire nulla di ciò che accade fino a quando ripetono il tragitto di ingresso, ed escono.
L'OMELIA DEL VESCOVO
Il vescovo arriva all'omelia, e riesce nel suo intento di fondere liturgia domenicale e posa della prima pietra. Eccone gli appunti:
(Saluta in wahehe). La prima lettura dice che la gioia del signore e la nostra forza. Col vivere l'uomo cerca cosa renda il cuore pieno di gioia. La
Nostra gioia è quando i nostri lavori vanno bene.
Ci sono alcuni che hanno gioia nel vivere come capita anche facendo cose sbagliate.
Là dove il comando del signore viene seguito, comando che costruisce rapporti buoni tra uomo e dio, e tra i fratelli, allora ne consegue una gioia vera che porta alla benedIzione e ricompensa.
Noi che siamo radunati qui ci troviamo in una situazione simile a quella descritta nella prima lettura. Il popolo per la prima volta dopo la deportazione si raduna per ascoltare il Signore, cosa voleva dire loro. E alcuni leviti la spiegano.
Cosi noi che siamo assemblea, che è ecclesia, cioè radunati noi qui in Cristo. Padre dell'amore.
Poi c è la lettera di Paolo.
Noi siamo molti ma siamo in comunione. Ognuno di noi ha ricevuto un dono, suo scopo è servire l'aspettativa comune, come il corpo, perché ognuno possa portare gioia al fratello. Anche io mi aspetto gioia da voi!
Cosi nel Vangelo sentiamo che Gesù entra e riceve posto tra gli altri per leggere la scrittura. Dà lettura di una profezia di colui che deve essere mandato e legge che lo Spirito e su di me. Annunciare ai poveri la buona notizia, la liberazione, la vista dopo la cecità. Noi con tutti i peccati siamo schiavi e da questo non c'è nessuna gioia. Per lo stesso motivo non vediamo dove andiamo. Ma noi ora col nostro battesimo siamo ritenuti messaggeri di Cristo. Ciascuno di voi deve essere messaggero di pace e gioia per i suoi compagni così che tutti possano vedere Gesù.
Ognuno di noi è effetto dei tempi della gioia. Siamo richiesti di essere costruiti come pietre vive di un corpo che ha Cristo come nostro capo.
Finita questa celebrazione avremo un segno importante: benedire la pietra di fondamento della chiesa di mapanda, così questa famiglia di mapanda avrà un luogo per sentirsi insieme.
Là faremo benedizione, è una cosa cui ciascuno di noi deve contribuire. Le pietre ricordano la nostra presenza e noi diamo la nostra risposta: non siamo solo spettatori.
Conclude chiamando in causa noi wageni ed i 3 padri qui presenti, partendo con un elogio per Aldo, l'ingegnere che ha progettato la chiesa.
Di noi, col saluto, aggiunge che essendo 6 (3 da Bologna e 3 qui come fidei donum) siamo come due Trinità. Tutti sorridono.
Propone per oggi che la.raccolta di offerte vada ad uno dei seminari di Dar che in parte è stato distrutto da un incendio.
LA PROCESSIONE PER LA PIETRA
La messa non si conclude proseguendo in una processione che si apre con la croce, segue confusamente l'assemblea, per poi ritrovare un ordine con il coro dai camici bianchi ed una cottina rossa. Infine la pietra sulla portantina e dietro i celebranti, ultimo il vescovo.
I momenti che si susseguono se potessero averlo come aggettivo sarebbero "accumulati"! Sia la benedizione dell'acqua, quella della pietra e poi del perimetro avvenivano in un curioso sguardo partecipante, tra lo stupore e il "vediamo cosa succede".
I discorsi alla fine vengono interrotti per uno scroscio di acqua poco sereno. Toccava ad Aldo Barbieri, ma ha rivolto l'invito più efficace: trovatevi un riparo!
La pioggia ha contenuto i nostri tempi e siamo arrivati a pranzo per le 13.30.
QUELLO CHE NON VIENE NOTATO È CIÒ CHE CI RISVEGLIA
Non eravamo ancora usciti dal riparo allestito per noi nel campo di costruzione, mentre ancora pioveva, ormai tutti già al riparo, di fronte a noi la buca con la pietra angolare deposta e nessun altro, che ecco avvicinarsi un anziano, abbastanza lacero, che vuole stringere le mani a ciascuno di noi. Lui ci saluta e ci ringrazia (ma non siamo qui per lui? Perché il grazie?). Ha il viso ben proporzionato, due occhi tondi e felici di essere lì a stringere mani con noi. È lui che ci ringrazia: quante volte è capitato in questi giorni? Mi sono abituato alla gratitudine di questa terra? I padri sembrano conoscere quest'uomo, non gliel'ho chiesto. Non importa: ciò che non avevo notato, adesso è ciò che mi risveglia.
UNA SERATA INTIMA
Quando la festa è finita (non piove più ma l'effetto è stato come la pioggia fuori del lazzaretto dei promessi sposi), si rassetta, poco alla volta, come piano si salutano le persone. Finché tra sedie e tavoli e silenzio, restiamo solo noi che dormiamo qui in parrocchia. Don Enrico deve chiudere alcuni lavori ultimi (domani parte con noi e chiude questo suo tempo fidei donum). Io per un po sono con Carlo Soglia. Il vescovo parte. Gli ingegneri fanno firme per i permessi. Finché arriva il vespro e poi la cena. Che lascio all'intimità dei saluti che ciascuno ha offerto agli altri.
Non presto ma occorre dormire un poco: domani si parte alle 4 del mattino.
Io intanto ho imparato di nuovo a fare meno consumo di abitudine, che tanta indifferenza chiama come se fosse la sua ombra.
Mi congedo. A presto.
D onde
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