Come settimana enigmistica fatta però di viventi, l'abbinamento deve essere rapido per evitare intercettazioni di chi cerca un po di guadagno dal trasporto: TAXI TAXI MISTER?. Col dito e senza parole puntiamo dove gli occhi hanno riconosciuto le figure amiche dei due che sono accompagnati da altre delle suore minime residenti a Dar, sulla lunga strada che porta a Bagamoyo, un punto d'origine per il Tanzania. I taxisti desistono e noi siamo già in partenza.
Io -don Francesco- insieme a don Giovanni e don Pietro Giuseppe veniamo in Tanzania per due manciate di giorni. Baba Enrico rientra in Italia; come parroco a Mapanda gli succederà don Davide, qui dal 2014; insieme a lui resterà don Marco, giunto a novembre. Non è una prima volta questa per lui: rientra a Mapanda dopo avere trascorso un decennio a Usokami, per essersi reso disponibile a partire di nuovo nella necessità.
Enrico era partito nel 2007 e come la nostra Italia lo accoglierà con la sua storia recente un po mi preoccupa!
L'auto si fa strada facilmente attraverso le arterie di Dar, un po in lavoro di ampliamento, un po intasate dai suoi quasi 6 milioni di persone che si muovono per lavoro o cercarne. Già non pochi sono usciti di casa (quali case?) per questo motivo , eppure il sonno sembra ancora essere il verbo di ogni cosa: di ogni labbra, di ogni sguardo, di ogni ragione. Tanto che passando accanto alle pozze che si formano con queste piogge ai lati delle strade, si fanno sentire gracidare le colonie di rane e noi superiamo i loro svaghi notturni. I cantieri bui fermi: riposa anche una vanga dimenticata che improvvisamente ci restituisce un bagliore risvegliato dai nostri fari.
Siamo usciti di casa per venire qua anche a motivo della nuova chiesa di mapanda, da erigere: Domenica la posa della prima pietra! Immagino una festa di popolo per come qui si celebrano gli eventi comunitari! Alcune visite e riunioni completeranno il nostro programma. Poi rientriamo in Italia. Ma...
...Neppure andare a fare la spesa è solo un uscire di casa anonimo: il gatto o il cane, vostro o del vicino sanno che uscite. "Ma poi torno!". Vero! Intanto, però, siete usciti. E non posso non pensare che ormai anche come italiani dovremmo aver compreso che il mito di un mondo in fissità, di un benessere autarchico, è stato superato aprendo gli occhi e di fatto comprendendo che siamo parte di un'umanità in continuo movimento: da quale parte stiamo, possiamo rifletterci sopra, ma certo siamo anche noi in quel piazzale di aeroporto, e il gatto o il cane sanno che fare la spesa non è questione solo di frigorifero, ma anche di compagnia con chi condividerai quel cibo. Si dovrebbe essere un po stanchi delle monoporzioni precondite (chissà se il successo dei programmi di cucina vanno in questa direzione? Mah!).
Alle 7 il sole è gia nuvolo, le strade più verdi: è estate e non c è lo spoglio delle stagioni invernali come quando veniamo qua durante le nostre ferie estive. Siamo a Morogoro. Anzi, l'abbiamo gia superata.
I primi cumuli di giovani che incrociamo vanno a scuola, la divisa è il loro significato. Procedono spediti, oppure indugiano. Alcuni camminano come se stessero facendo una piccola, tonda, itinerante assemblea.
Ormai il paesaggio è netto. Incalcolabili campi da calcio si ripetono ai lati con le loro imperfette geometrie e come verità le porte a segnarne ampiezza e orientamento. Dalle case fuoriescono a volte anche i piccoli intrusi dell aia, per lo più galline. Due anatre si accoppiano alla luce del sole, unici animali fermi nel cortile.
Dalla cima di un miglio, una di quelle pietre poste per indicare i limiti oltre i quali costruire sarebbe abuso edilizio, una bimba finge un tuffo sul sentiero, di fronte ha una spettatrice più giovane di lei, ammirata della grandezza del gesto. Stupisco anche io che le osservo mentre andiamo veloci.
Le auto si superano e superano i camion con le loro slitte di natale che si chiamano container, a portare il commercio qua e là in Tanzania. I primi mercati risorgono appena la luce ridesta i solidi banchi dalla loro sottile filigrana di contorni notturni. Ci sono mobili in vendita e immobili piki piki dinnanzi a loro, le moto in attesa di offrire il loro prezzolato passaggio.
Don Enrico guida, e bene, ci sentiamo sicuri. Passiamo dal dormiveglia a qualche debole chiacchierata. Siamo un po stanchi. Ci fermiamo alle 9 per una colazione. Il chai (tea) è bollente e pizzica la gola con l'aromatica infusione di zenzero che racchiude in sé. Il Chapati, la piadina di origine indiane, odora di unto le dita. Un Po di movimento e poi di nuovo in auto. Il sole inizia a farsi sentire anche se man mano che saliamo verso Mapanda, troveremo meno umidità e più fiato.
Attraversiamo il Mikumi, uno dei parchi del paese, dove ormai le imprese di safari non sono di caccia ma aver visto i leoni: "quella volta c'erano leoni come se non ci fosse un domani!". Racconta uno in auto. "E anche leopardi!".
Dopo una ulteriore breve tappa, proseguiamo per Iringa, dove arriviamo per le 16. Alcune compere, un po di spesa (lungo la strada frequenti le soste per cipolle e frutta, a seconda della zona che attraversavamo). "Ma poi torno!". Dunque, si riparte.
Sta un vitellino legato ad un albero, ai piedi della collina dove si sviluppa la citta, proprio all'incrocio delle varie direttive. E un lieve muggito lamenta la notte che arriva. Saremo a casa per le 21. Un passaggio a Usokami, l'accoglienza delle suore e dei padri che ci aspettano, la cena e la buonanotte completano questo giorno di oltre 36 ore.
Ma cosa è essere stanchi e poter riposare di fronte a quanti passeranno ancora una notte in marcia, in cammino, in nave, nella speranza di sopravvivere, nel mondo? Ma non riesco a star sveglio e anche io crollo nel sonno.
D Francesco Ondedei
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