Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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domenica 20 gennaio 2019

Centosettanta: "Fratello, dove sei?"

Non era proprio questa la domanda, era piuttosto: "Dov'è tuo fratello?". "Sono forse io il custode di mio fratello?", la risposta di Caino. E se prima o poi la domanda di Caino cambiasse? Se rispondesse: "Fratello, dove sei?". Anzi, no! Ha già risposto.

METRONOMO

I

I punks dell'ultima ora, i bagnanti
paffuti scesi al mare oleoso, operai sdentati e studenti senza lezione:
li bagna, prostatico, il cielo della vecchia
Europa. Esperienze coi gessetti colorati,
avevano dipinto le piazze e la carta. Ma pochi e diretti colpi d'acqua han sfasciati i tratti, scavato il fronte
disvelato del fondo ceruleo mare,
il memoriale finto del misero Ares.
Non sono più le nazioni i confini, 
ma le persone, le persone. E questo non l'hai ancora svolto.
Tutto si scioglie e migra altrove!

II
Lo spazio liquido non siamo noi, non siamo. L'acqua che noi siamo è il vapore se riesce a trovare il coperchio, i
l tetto della serra anche se cresciamo.
Non so voi, io ero cresciuto bene! Ma sono cresciuto di terra dove viene il figlio di Pan e sembra un contadino. Sono sbiadito in seguito: Poseidone assente del tutto! Eppure ero nipote di marinai e pescatori. Uno ebbe pure un'altra vita nel nuovo mondo!

III
C'è un battello: creò il mare e il vento l'ha smorzato. C'è un superstite, e uno scafista lo ha stordito e – pluf – non è tornato più a galla. Era già pomeriggio. C'è un vestito coi colori uguali e bagnati. A quest'ora sarà intonacato tutto di braccia. C'era chi vaneggiava dei morti. Un sogno: ecco il bombardamento contro di noi! Noi vegliamo. Si! Nella notte vegliamo, inquieti. Ma il desiderio è stare a letto e possibilmente dormire. 
Sanno dove trovarci le guardie che vengono all'ora buia.
Le strade che portano in piazza sono sgombre e non ci sono più fantasie quando le violenze prevalgono. 

Il sogno? Svenduto agli altri, non siamo noi a sognare.
Non siamo. Noi abbiamo le paure di Morfeo: neppure sono incubi queste icone accidentali.


IV
Sulla barca non sai se cantano o parlano o litigano. Tu non sai come è fatta una barca. Ti immagini Odisseo e le sue Sirene, legato per sentire o sopravvivere o passare il momento. 
Erano invece dei o profeti a far scaturire fonti d'acqua:
Mosè fece questo nel deserto aggrappato al suo legno, 
e tra i greci perfino un cavallo alato con lo zoccolo
disperse le rocce infuocate, più su, verso la cima del monte Elicona, Ippucrene sopra il bosco: ha un nome ed è lì che le muse riuscivano col loro mestiere, cantando commedie e tragedie, sempre liete, facevano cessare ogni angustia e dimenticar ogni male. 
La zoccolata di Febo per chi naviga non è l'audace fame nell'iride ma la gola spoglia e inaridita.

Senz'acqua i sogni di chi fugge in stive. Senza sirene,
ogni voce è memoria che scava con spezzate le unghie, 
non i canti d'infanzia o la storia del popolo, ma cosa, cosa sta racchiuso in quel silenzio impedito? Ogni voce è l'ultima voce. Si disfano le rovine umane dei loro corpi. 
Le corde vocali imbrunite e senza mestiere.
La voce nostra? Eccola, si digita facilmente.
Non siamo noi in questo esodo né ebrei né egiziani. 
Non siamo. L'acqua che noi siamo pigia polemica contro la pozzanghera.

V
le ninfe hanno lasciato i boschi d'oro e seppelliscono gli stranieri: ecco uno scintillio di pioggia.
L'attimo del metronomo per il pianista che ritrova il suo tempo, e il tasto fuori nota ritrova la carne che sopra vi si getta, corpo a corpo, la tastiera è un altro prossimo che cerca di vivere. Lo schiavista riduce di due nodi, il Grecale non soffia. Getta via lo sguardo dai fantasmi. Getta via le carcasse dei piccioni schiantati in strada. Getta via. Getta via i corpi.
VI
Al molo chi scende è salvato come da Oswice o Mathausen: non per sua forza o resistenza. Mi guarda a lungo dalla soglia un ragazzo. Dietro gli sta il fratello morto, o scende la vecchia 
scala a chiocciola. Nell'azzurro sole delle pietre blù 
sbiadisce l'ombra chiara del giovane novizio: è guerra!



VII

Gli uomini morti giacciono lungo il muro delle transenne,
luminosi corpi imbiancati, coperti da mani d'argento, e gocciano vermi dalle loro palpebre gonfie. Le ombre dei vivi nette come il sistema venoso sulla pelle di un vecchio le acque gementi sfiorano.

Nelle loro tombe insipidi i maghi giocano con le serpi.

Onde del mare toccano le infinite sponde del metronomo.

“Taciti, sopra il calvario s'aprono gli aurei occhi di Dio.”

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