Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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lunedì 5 agosto 2019

VUT 7: poi Marco muore, però... (5 agosto 2019)

Entriamo in Iringa, prima volta, ancora stranamente assopita, sono le 9.30. Nelle strade il traffico come il fiato trattenuto di un sommozzatore sott'acqua: qualche bolla sale ogni tanto. Sono auto e Dala Dala. Sui marciapiedi la gente è in marcia da sempre. Così l'Africa.


Andiamo per canzoni oggi: nyumba ali, casa voluta per bimbi con disabilità, principalmente dovute a paralisi cerebrale alla nascita. Poi l'ospedale distrettuale di Ipamba, dove opera il CUAMM MEDICI CON L'AFRICA. Incontriamo Bruna e Lucio, Agata e Luca. Altri ancora ma non riporto i nomi. Anche questi non servirebbero. Ma come accade, alcuni elementi simili a volte si ripetono in un medesimo giorno, e crea stupore quanto siano così particolari da non motivarne l'apparizione nemmeno fosse una volta soltanto.

Forse un esempio spiegherà meglio. Nel 1990 frequentavo ancora la casa di riposo anziani di Pesaro. Arrivò un ragazzo di 25 anni, diciamo Marco il nome. Down con tumore cerebrale e metastasi diffuse nel corpo. La terapia era solo contro il dolore, dall'ospedale lo avevano portato li come fosse un reparto per malati terminali. Gli somministravano cortisone, per cui aveva un corpo a vedersi quasi gelatinoso, color latte, trascorso come da crepe rossicce che avevano l'apparenza di una rete che lo teneva insieme. Stava supino, sulla pancia teneva un mangiacassette con un audio della canzone di Orietta Berti, fin che la barca va. Tutta la sua giornata, quello che gli rimaneva, passava per lo più ascoltando il nastro. Io non ho mai stimato questa canzone se non come rito di passaggio occasionale, qualcosa che, sentito una volta, poi basta. Quei giorni mi sono commosso come mai avrei creduto! La cantante non saprà mai questo uso della sua canzone, ma forse è stato l'unico motivo per cui gli è stato concesso cantarla: perché Marco potesse avere un motivo di speranza.
Questo fa la differenza, anche se poi Marco muore.

Oggi episodi simili mi sono stati raccontati, di persone, disabili o malati, ma comunque bimbi, che ad un certo punto si sono attaccati ad una canzone o ad un cantante, e questo ha sollevato la loro giornata, loro intera vita.

Poi ci sono alcune di queste storie che finiscono bene, come un miracolo. Ma lo stupore di questi fatti rasserena di fronte a burocrazie che vorrebbero cauterizzare le nostre coscienze (LAUDATO SI, n.49). Oggi ci hanno raccontato che il sistema sanitario tanzano non prevede la cura se non dopo che venga pagato il costo della stessa. Alcune cose in tal senso stanno migliorando, ma di fatto questo accade anche di fronte all'emergenza, perciò può succedere che mentre si cerchino i soldi, il paziente muoia perché l'intervento era urgentissimo.

Vi state arrabbiando? Ma quanta burocrazia e carta produciamo in Italia per erigere muri legali che uccidono? Ed ora stiamo pure facendo il bis! Una scorpacciata davvero! La cassa prima della persona dicono qui in Tanzania.

C'è una colonna sonora che abbiamo bisogno di costruirci anche noi, che non sia fatta di urla contro, ma di canzoni come quella cui Marco ha dato un significato inedito ed unico.

Poi Marco muore, però ha trovato un significato alla sua esistenza, e usando qualcosa del mondo per esprimerlo, lo ha donato anche a noi che viviamo in questa casa comune. Grazie a te Marco, a tutti i Marco, anche se so che le regole che la nostra società e paese produce sembrano volerti dire che se scompari sarebbe meglio, sei un costo ed un disturbo. A te Marco ti voglio dire, ti vogliamo dire che non è così, che dovremmo meritarci di farti del bene, tu che stai piegato su una radiolina ad ascoltare una canzone, appoggiato da parte nel mondo frenetico e solo con tua mamma e tuo babbo o uno sguardo amico a godere nel poterti vedere anche oggi. A te Marco chinato a sentire se il soffio debole delle tue onde radio hanno raggiunto il cuore di chi ti potrebbe salvare senza prima chiederti il conto.

Usciamo da Iringa, il sole di metà pomeriggio, il flusso intenso delle strade, l'arrivo all'ospedale di Ipamba, poi la cena, l'incontro tra noi e l'altro gruppo di giovani bolognesi, le parole del Papa della LAUDATO SI, riposo infine. Usciamo dal giorno.

d.onde

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