Papa Francesco
"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco
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sabato 10 agosto 2019
VUT 11: la coerenza angolare dei baobab (9 agosto 2019)
All'alba la campana segnala che anche questa notte è trascorsa a Migoli, e prende il posto della musica sparata a palla; del raglio dell'asino, sempre a questuare un po' di sosta, anche quando è ormai fermo da ore, tanto atavica la sua schiavitù; del pianto improvviso di un brutto sogno notturno dei bimbi dell'orfanotrofio; del belato così simile al loro di qualche capretta alla corda. Il canto inizia la messa e pone ordine ai miei pensieri del mondo.
Una genuflessione che risolleva alla loro dignità i volti di quanti giorno per giorno incontriamo, memoria di mensa condivisa, di pane spezzato.
Poi usciamo alla spicciolata ed in silenzio.
Guardo con curiosità due suore che approfittano del percorso di rientro per scambiarsi un breve dialogo. Sorridono, un segno che dispone bene al giorno davanti a noi: viaggio verso la capitale Dodoma.
Sulla strada la sosta a Changarawe, allo health center di salute, struttura poco più grande di un dispensario, a cui sono annessi padiglioni con possibilità di ricovero e piccola chirurgia per suturare ferite o morsi di ippopotami, non rari tra i pescatori. Per casi urgentissimi, occorre arrivare all'ospedale di iringa, 100 km da qui.
Ma oggi visitiamo poco: una invasione di api ha costretto a tenere a regime minimo le attività mediche e ci sconsigliano di accedere. Cosi restiamo nella casa delle suore e teniamo lì l'incontro.
Dopo pranzo, con alcune pance ancora non a posto, ci avviamo verso la meta.
Adesso la capitale comincia ad avere un aspetto coerente al suo titolo, ma lungo tutta la strada incrociamo, fino alle porte di Dodoma, ampi tratti senza case e villaggi ancora con le coperture delle case divise tra le nuove lamiere in alluminio e quelle con materiali naturali, oppure teli cerati, con qualche lembo strappato che la corda non riesce a tenere fissato al tirante a terra. Spesso si riesce a leggervi sopra ancora di qualche spedizione di aiuto da agenzie ONU o cantieri stranieri. Nulla si getta. E questo circondario rivela per Dodoma un recente passato di villaggione un po' far west. Ora le costruzioni multipiano si moltiplicano, le ville dei politici marcano stretto i quartieri popolari, gli alberghi aumentano le loro disponibilità. L'attuale presidente ha un po' imposto questa opzione di dare senso ad un parlamento che si trova a Dodoma, ma i cui occupanti vivono a Dar. Quindi preme perché si vada a Dodoma.
Un tunnel temporale è il viaggio di oggi e guardiamo fuori ancora le tracce di cose che andranno mutando sempre di più. E ci sarà il nuovo accanto al vecchio. Penso ai tavoli da biliardo, appena coperti da teli e strutture in pali fragili la cui successiva fase di vita sarà alimentare il fuoco. Ne incontriamo parecchi. Al nostro passaggio i giocatori, allertati da un suono che non sappiamo da dove venga, sollevano lo sguardo e ci fissano, anche ridendo, mentre noi aumentiamo la dose di polvere sul piano di gioco. Accanto al villaggio il letto secco di un torrente e amplissimi scavi circolari dove poter attingere acqua infangata.
C'è uno scarto tra il biliardo ed i villaggi che induce a riflettere: in Tanzania (in Africa), alcune cose, specialmente quelle tecnologiche, sono arrivate saltando la progressione delle successive scoperte e invenzioni. Non saprei dire se sia un bene o un male. Da noi la progressione non ci ha parimenti educato sul senso delle tecnologie accanto al loro uso massiccio.
E poi questo è il tratto del nostro viaggio dove più agli occhi si infittiscono gli antichi e moderni baobab. Descrivere questo albero non è facile, tanto è imponente enorme denso. Assomiglia ad un ciuffo d'erba, simmetrico e unito alla base, in una forma circolare che sale e poi d'improvviso sparpaglia i suoi rami senza un ordine preciso e neppure con una coerenza angolare tale, per cui i rami possono essere, grandi o magri, rivolti in alto o curve a gomito appena sopra la soglia del tronco. Come un ciuffo d'erba calpestato, soltanto all'ennesima potenza e di fibra ben più consistente di un filo verde da strappare e mettersi tra i denti.
E poi ci sono i moderni baobab, i tralicci dell'alta tensione: più alti, di una solidità quasi arrogante. Veicolo di una energia di cui siamo assetati (i black out in certe pure della giornata non sono rari nelle città). Ora c'è da chiedersi qual è l'energia che veicolano i baobab, quelli veri? Sono inutili a questo mondo in cambiamento, oppure siamo noi tanto distratti da non capirne il senso?
"Non è superfluo insistere ulteriormente sul fatto che tutto è connesso... le conoscenze frammentarie e isolate possono diventare una forma d'ignoranza se fanno resistenza a integrarsi in una visione più ampia della realtà" LAUDATO SI n.138
d.onde
Una genuflessione che risolleva alla loro dignità i volti di quanti giorno per giorno incontriamo, memoria di mensa condivisa, di pane spezzato.
Poi usciamo alla spicciolata ed in silenzio.
Guardo con curiosità due suore che approfittano del percorso di rientro per scambiarsi un breve dialogo. Sorridono, un segno che dispone bene al giorno davanti a noi: viaggio verso la capitale Dodoma.
Sulla strada la sosta a Changarawe, allo health center di salute, struttura poco più grande di un dispensario, a cui sono annessi padiglioni con possibilità di ricovero e piccola chirurgia per suturare ferite o morsi di ippopotami, non rari tra i pescatori. Per casi urgentissimi, occorre arrivare all'ospedale di iringa, 100 km da qui.
Ma oggi visitiamo poco: una invasione di api ha costretto a tenere a regime minimo le attività mediche e ci sconsigliano di accedere. Cosi restiamo nella casa delle suore e teniamo lì l'incontro.
Dopo pranzo, con alcune pance ancora non a posto, ci avviamo verso la meta.
Adesso la capitale comincia ad avere un aspetto coerente al suo titolo, ma lungo tutta la strada incrociamo, fino alle porte di Dodoma, ampi tratti senza case e villaggi ancora con le coperture delle case divise tra le nuove lamiere in alluminio e quelle con materiali naturali, oppure teli cerati, con qualche lembo strappato che la corda non riesce a tenere fissato al tirante a terra. Spesso si riesce a leggervi sopra ancora di qualche spedizione di aiuto da agenzie ONU o cantieri stranieri. Nulla si getta. E questo circondario rivela per Dodoma un recente passato di villaggione un po' far west. Ora le costruzioni multipiano si moltiplicano, le ville dei politici marcano stretto i quartieri popolari, gli alberghi aumentano le loro disponibilità. L'attuale presidente ha un po' imposto questa opzione di dare senso ad un parlamento che si trova a Dodoma, ma i cui occupanti vivono a Dar. Quindi preme perché si vada a Dodoma.
Un tunnel temporale è il viaggio di oggi e guardiamo fuori ancora le tracce di cose che andranno mutando sempre di più. E ci sarà il nuovo accanto al vecchio. Penso ai tavoli da biliardo, appena coperti da teli e strutture in pali fragili la cui successiva fase di vita sarà alimentare il fuoco. Ne incontriamo parecchi. Al nostro passaggio i giocatori, allertati da un suono che non sappiamo da dove venga, sollevano lo sguardo e ci fissano, anche ridendo, mentre noi aumentiamo la dose di polvere sul piano di gioco. Accanto al villaggio il letto secco di un torrente e amplissimi scavi circolari dove poter attingere acqua infangata.
C'è uno scarto tra il biliardo ed i villaggi che induce a riflettere: in Tanzania (in Africa), alcune cose, specialmente quelle tecnologiche, sono arrivate saltando la progressione delle successive scoperte e invenzioni. Non saprei dire se sia un bene o un male. Da noi la progressione non ci ha parimenti educato sul senso delle tecnologie accanto al loro uso massiccio.
E poi questo è il tratto del nostro viaggio dove più agli occhi si infittiscono gli antichi e moderni baobab. Descrivere questo albero non è facile, tanto è imponente enorme denso. Assomiglia ad un ciuffo d'erba, simmetrico e unito alla base, in una forma circolare che sale e poi d'improvviso sparpaglia i suoi rami senza un ordine preciso e neppure con una coerenza angolare tale, per cui i rami possono essere, grandi o magri, rivolti in alto o curve a gomito appena sopra la soglia del tronco. Come un ciuffo d'erba calpestato, soltanto all'ennesima potenza e di fibra ben più consistente di un filo verde da strappare e mettersi tra i denti.
E poi ci sono i moderni baobab, i tralicci dell'alta tensione: più alti, di una solidità quasi arrogante. Veicolo di una energia di cui siamo assetati (i black out in certe pure della giornata non sono rari nelle città). Ora c'è da chiedersi qual è l'energia che veicolano i baobab, quelli veri? Sono inutili a questo mondo in cambiamento, oppure siamo noi tanto distratti da non capirne il senso?
"Non è superfluo insistere ulteriormente sul fatto che tutto è connesso... le conoscenze frammentarie e isolate possono diventare una forma d'ignoranza se fanno resistenza a integrarsi in una visione più ampia della realtà" LAUDATO SI n.138
d.onde
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