Università generative per il «bene comune»: Quanto vale formare i giovani.
Il recente discorso ai laureati del
Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Tim Cook ha
impressionato più di quello, assai celebre, a suo tempo pronunciato
all’Università di Stanford da Steve Jobs. E questo per la
profondità e l’ampiezza di prospettive. Nella sua prolusione,
l’attuale numero uno di Apple parla di una faticosa e lunga ricerca
per dare un senso profondo alla propria vita – professionale e no
–, orientandola all’obiettivo più ambizioso di tutti: il
progresso e il bene dell’umanità. Racconta dell’incontro con
papa Francesco, del ruolo e dei pericoli della tecnologia e invita i
neolaureati a cercare la generatività vera e non una popolarità
effimera e superficiale misurata in termini di like sui social
network.
Tim Cook conferma ancora una volta come
nel progresso dell’umanità troviamo sempre importante traccia del
desiderio di contribuire sempre di più al bene comune e
dell’emergere di una nuova generazione di leader imprenditoriali,
più ambiziosi, che mirano all’impatto e alla generatività oltre
che al profitto. Non è un caso che un discorso di questo tipo sia
stato pronunciato in un’università, uno dei luoghi chiave dove i
giovani sviluppano saperi e competenze per poter essere generativi.
Lo diciamo in un Paese come l’Italia che ha la quota di laureati
sulla popolazione più bassa tra gli stati dell’Unione Europea,
dove l’analfabetismo funzionale di ritorno è una piaga profonda e
rappresenta la non ultima concausa della diffusione di post-verità e
della difficoltà dei cittadini di misurare l’effettivo valore
delle classi politiche.
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