Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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domenica 5 novembre 2017

Nella saldatura tra il dire ed il fare, il Vangelo è pro-vocazione dell'uomo (commento di p.Balducci alla XXXI Domenica T.O.)

5 Novembre 2017 – 31^ DOMENICA TEMPO ORDINARIO-Anno A

Noi abbiamo in mano da venti secoli le sorti spirituali di tanti popoli però queste parole non le abbiamo vissute.

PRIMA LETTURA: Ml 1,14-2,2.8-10- SALMO: 130 - SECONDA LETTURA: 1 Ts 2,7-9.13- VANGELO: Mt 23,1-12


Se qualcuno prende sul serio la parola dell'eguaglianza di tutti gli uomini, che è annuncio evangelico -«siamo tutti figli dello stesso padre» - e quindi vuole mettere in atto le condizioni economiche, passa per un sovversivo pericoloso. Si può vivere in tranquillità solo se accettiamo la schizofrenia condannata dal Cristo nei farisei che dicevano e non facevano. 

Noi ci siamo dentro, in pieno. Possiamo anche essere maestri di non violenza purché si riconosca che la violenza quando ci vuole ci vuole, che le armi sono una necessità, amara ma una necessità, che non si può porgere l'altra guancia quando siamo offesi, soprattutto quando siamo offesi come gruppo o come nazione o come popolo, che altra cosa è la parola deI Vangelo per l'individuo e altra cosa è per lo Stato. 

Lo Stato non è obbligato a seguire le beatitudini. Lo Stato sia pure forte e armato fino ai denti purché gli individui siano miti e obbedienti fino alla morte. Così noi abbiamo svuotato la profezia. Il risultato è quello previsto: «vi ho reso - dice la profezia di Malachia - spregevoli dinanzi al popolo». Spregevoli lo siamo, cioè tutti coloro che si appellano al principi cristiani per cambiare il mondo sono diventati abbastanza ridicoli. Noi abbiamo in mano da venti secoli le sorti spirituali di tanti popoli però queste parole non le abbiamo vissute. Abbiamo creato le gerarchie, ci siamo installati nella cattedra di Mosè e abbiamo condannato al rogo, abbiamo scomunicato: questo è avvenuto nel nostro universo di parole, un universo cartaceo dove ci si dà l'abbraccio della pace ma con il sottinteso che poi, usciti fuori, questo non significa niente. 

Legittimiamo così l'ipocrisia intesa non come vizio individuale ma come principio del sistema collettivo. La legittimiamo in quanto la dichiariamo non superabile e se qualcuno per caso dicesse che ciò che professiamo deve essere vero nei fatti, costui è pericoloso. Gesù, infatti, è stato crocifisso per questo, proprio perché non solo ha condannato l'ipocrisia istituzionalizzata, ma ha aperto il varco per smantellarla. 

E noi siamo qui, dopo tanti secoli, a ripetere la parte dei farisei. La scissione di cui vi ho detto l'abbiamo intimamente assimilata. Anch'io mentre parlo ho un libro davanti, parlo, esercito un'attività anche culturalmente rispettabile quindi mi muovo nel mio mondo di concetti. E ora siamo qui a tirar le somme. Noi non possiamo più rendere credibile il Vangelo (a meno che non ci adattiamo alte dilettazioni rituali per anime stanche o rassegnate a sentirci) se non riprendiamo il bandolo, se non ritorniamo alla saldatura fra il dire e il fare. 

Se è vero che Gesù mandò i suoi a dire di casa in casa - noi diciamo di città in città, di nazione in nazione - «pace a voi», «chi di spada ferisce di spada perisce», non abbiamo più ragione di essere, oggi che la minaccia di morte incombe. Anche questi assassini politici sono il segno che ormai la logica della violenza non ha più soffitti in cui arrestarsi, scavalca tutto. 

A noi la responsabilità di fare del Vangelo non una dissertazione astratta e spiritualistica di belle parole (questo è peccato nel peccato?) ma una provocazione, il cui cominciamento è - lo ripeto ancora - nella saldatura fra il dire e il fare. Non appena ci proponiamo questo, abbiamo il senso dell'impossibile. Ma io mi domando: 'che significa avere fede?' Significa prendere l'impossibile come programma di vita, non un impossibile astratto e fanatico, ma ritagliato dentro la sostanza morale dell'uomo. 

La fede ha come suo obiettivo e suo contenuto ciò che moralmente è nobile e desiderabile ed è nel segreto delle coscienze di tutti. Chi avesse tanta fede come un granello di senape, smuoverebbe le montagne, farebbe crollare gli arsenali missilistici, li farebbe scomparire uso il paradosso evangelico -. Noi dobbiamo puntare con tanta fede su questa prospettiva, che trova oggi le condizioni complete, integre del proprio straordinario realismo.


Ernesto Balducci da “Il Vangelo della pace " vol 1 anno A


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