Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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sabato 12 agosto 2023

VIAGGIO IN EGITTO - SABATO 5 AGOSTO / DOMENICA 6 AGOSTO - RIENTRO NEI PAESI CON LE NUVOLE

 



Luxor. L'alba è quando il caldo interrompe il sonno: 36 ore sono poche per abituarsi, e i 10 giorni trascorsi al Cairo sono una preparazione appena sufficiente. Stanotte la luce è mancata poco dopo il rientro dallo spettacolo di luci e voci al tempio di Karnak.

Si è riusciti a fare la doccia, ma la borsa si fa all'alzata. Oggi sembra quasi di giocare alla "campana" quando in equilibrio su un piede, lanciavi il sasso in uno dei riquadri disegnato con una pietra bianca sull'asfalto, e dovevi saltellare fino alla meta. Oggi lanceremo nel nostro gioco due sassi. Il primo ci farà saltare da Luxor a Il Cairo. Il secondo da Il Cairo a Bologna. E sarà già domani.

Padre Milad vuole farci assaggiare i felafel con carne e verdure ed è uscito per comprarne alcuni. Sembrano un cibo pesante, ma le spezie dischiudono al caldo un sapore mattutino che non sembrava possedere solo a pelle. Me li gusto con piacere dopo il crollo fisico di ieri sera durante il percorso a Karnak. La luce del giorno a tenerci dentro un domopak invisibile e senza apparenti sudori, i liquidi sicuramente evaporati insieme ai sali minerali, bere in continuazione ma l'aria sembra comunque faticosa da respirare: così mi sono goduto con gli altri miei compagni lo spettacolo! Loro hanno seguito meglio le voci con recitazione shakespeariana, enfatica, elettronicamente resa con l'effetto speciale di una eco infinita. "The god father of gods, mother of mothers, father of fathers...". Anche qui una lotta di potere tra pantheon locali che dovevano fondersi in quello di un unico potere faraonico. E la storia accennata dei 500 anni di re, regine, principi e nobili. Ma forse quello che resta veramente è il lavoro delle migliaia di scalpellini, coloritori, muratori, carpentieri e trasportatori, unguentieri e svuotatori di corpi, insomma di quelli che oggi chiameremmo artisti. Perchè poi è questo ciò che a noi resta di vedere: di chi conosciamo i nomi, di coloro che sono iscritti sui muri con la meravigliosa scrittura filmica che chiamiamo geroglifici, di tutti costoro abbiamo solo una crosta, una crisalide, e a volte una mummia. Raramente gli ori per lo più trafugati nel passato, neanche tanto tempo dopo le loro sepolture. Ci restano per così dire i nomi della rosa. Degli altri, anonimi, tumultuosi nell'operare, poco sopra alla servitù nella società, di essi vediamo e tocchiamo il lavoro che essi stessi hanno veduto coi loro occhi e toccato con le loro mani. E mentre le luci, un tantino datate, si spostano da un muro all'altro, la nostra guida ed una guardia mi invitano a sedere. Condivido la panca in legno insieme ad un'altro custode, intento a chattare con il cellulare, uomo tra i 40 e 50, completamente avulso dallo spettacolo e dal contesto. Anche lui è qui per lavorare. Io di fianco con la testa bassa, comunque vigile per non perdere il gruppo quando si sposterà più avanti. Quando gli occhi, come luna calante, sono rivolti a terra, vedono un mucchio di formiche di media grandezza. Si muovono nervosamente, forse anche loro hanno da smaltire il caldo, e nel loro movimento si spostano irregolarmente le une verso le altre, e non comprendo se sono in attacco o in difesa o alla questua per il formicaio. Comunque sembrano prepotenti. La guardia di fronte ai suoi piedi che tiene incrociati, ne ha un gruppo fitto, forse stanno sbranando qualche resto di un panino turistico. Io non mi preoccupo, anche se vedo che qualcuna si arroga il diritto di salire sulle scarpe, ma quando se ne accorge anche la guardia, vedo che balza in piedi e comincia a battere i piedi a terra per scuotersi via di dosso i micro invasori. A quel punto mi alzo anche io e incrocio lo sguardo della guardia che serenamente mi invita a sedermi nell'altra panca. La voce shakespeariana si è interrotta ed il gruppo si prepara a procedere oltre. Dietro io e tre cani che sperano come sempre di trovare qualcuno che gli dia un po di cibo. Ci seguiranno fino alla fine, di fronte al laghetto per l'ultima parte. Lì una coppia di italiani mi soccorre dandomi qualche caramella. Mi sembra di essere superman che ritrova la luce del sole e si ricarica di forze. Con quelle torniamo indietro e prima di rientrare a casa mangiamo qualche biscotto e beviamo qualcosa di fresco. A quel punto un solo cane ci ha seguito e si è steso a terra come un tappeto, senza più il desiderio di proseguire oltre, ancora. Anche per lui lo spettacolo umano è finito.

Dopo una conclusione del genere, i felafel sono meglio delle criptiche formule magiche per superare le porte di questa vita! Il sorriso di Milad è paziente e serafico e ci congeda con una cortesia che supera la nostra generosità. 

Arriviamo all'international airport of Luxor, e lo è davvero!, e ci imbarchiamo. Al Cairo arriviamo verso le 10,30, ma per un fraintendimento il nostro taxi arriva in ritardo. Non abbastanza per posticipare il pranzo delle 13. Davanti casa un branco di una decina di cani, al momento innocui. Il figlio della signora che vende all'angolo ci sorride e ci fa capire di non preoccuparci, corre in avanti, lancia un pezzo di legno e i cani se ne vanno. Anche uno zoppo che forse non rientra nel branco ma lo segue dall'altro lato della strada. Le suore ci attendono e consumiamo insieme il pasto rispondendo alle loro domande sui giorni a Luxor. Poi doccia, riposo, valigie, non necessariamente in quest'ordine. Ultima passeggiata, ultime lire egiziane da smaltire. Come a Matteo aveva toccato il cuore un ragazzino davanti al Mac Donald, a cui aveva donato il pasto, così mi assicuro che possa arrivare qualcosa anche alla signora del sorriso con i suoi figli all'angolo della strada. I poveri per le strade del Cairo: alcuni ne abbiamo visti randagi, con le menti appartenenti ad altri luoghi e ad altri tempi. Ma come in Italia la maggioranza è invisibile, magari anche lavoratrice, ma fuori soglia, intenta a dover sopravvivere, capace di speranza nelle relazioni umane che riesce a intessere.

Il momento del giorno a cui diamo la riconoscenza di un tempo meditato e riassuntivo, è l'eucarestia che celebriamo insieme alla comunità delle suore comboniane (le più anziane hanno apprezzato di poter celebrare in casa senza dover salire fino al convento più vicino, quello dei francescani). Già siamo entrati con il vespro nella festa della Trasfigurazione, e sembra l'abito tagliato su misura per noi che lasciamo questo paese. "Facciamo tre tende!", verrebbe voglia, ma il nostro tempo non è quello della vita ordinaria qua in Egitto e questo rischia di falsificare il nostro giudizio. "Questi è il figlio mio, l'amato!", si potrebbe dire che anche noi abbiamo fatto esperienze di luoghi, di senso, ed esperienza umana di persone, persone amate diremmo noi dal Padre. "Non parlate a nessuno di questa visione prima che il figlio dell'uomo non sia risorto dai morti!", raggiungeremo le nostre case in Italia e allora potremo fare due cose: vivere come curiose esotiche straordinarie polaroid queste nostre settimane (sarebbe cronaca instagrammabile, riserva emotiva di un tempo finito) oppure fare in modo che siano memorie cioè esperienze di cammino, insieme con altri, continua integrazione della storia e del mondo al presente che viviamo. E tentare di vivere non in recinti o di essere creativi non di riserve eccellenti. Come diceva meglio don Tullio Contiero: "il vero viaggio comincia il giorno dopo che sei tornato!".

Ci addossiamo i saluti a cena e dopo cena con le suore. Cecilia si commuove, non è un addio ma non sappiamo neanche se sia davvero un arrivederci. Guardiamo i volti, e per poco perchè alle quasi ventuno tolgono la corrente. Sarà per un'ora e comunque noi il taxi lo abbiamo alle 23. 

E poi l'aeroporto, i controlli accurati del poliziotto mentre sta su facebook, perciò ci fanno controllare anche se abbiamo droghe: un tagliandino adesivo strofinato sullo zainetto, sui vestiti e inserito in una macchina. Pensa se passavo per sbaglio prima a piazza Verdi e poi venivo qui! Fregato! Invece è verde per due volte. Passiamo, aspettiamo i voli. Intanto ci arrivano echi della notte a Lisbona della GMG. 

"Avete trovato? Avete trovato dei volti, delle storie? La gioia che è venuta attraverso quelle radici è quella che noi dobbiamo dare, perché noi abbiamo radici di gioia. E allo stesso modo noi possiamo essere radici di gioia per gli altri. Non si tratta di portare una gioia passeggera, una gioia del momento; si tratta di portare una gioia che crea radici. E mi domando: come possiamo diventare radici di gioia?" Chiede il papa nella notte sulla piana del Tago in Portogallo.

Scendiamo a Bologna, prendo l'autobus per la stazione. Fresco, è passato il temporale ieri o ieri l'altro, le temperature si sono abbassate, la città è godibile. Da quando siamo atterrati non faccio che fissare il cielo, perchè se c'è una cosa che proprio non ho visto in Egitto sono le nuvole. Niente, neanche un sottile filo bianco nel cielo. Si vede che non era stagione! Ci salutiamo tra noi quattro, dei paesi con le nuvole.

FINE DI QUESTO VIAGGIO


1 commento:

  1. Grazie per averci fatto partecipare al tuo (vostro) viaggio in Egitto. Abbiamo percepito la curiosita' e le ansie che hai raccontato nello spirito cristiano.

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