Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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sabato 14 aprile 2018

Il mistero del Cristo è nel volto del prossimo. (Ernesto Balducci - commento a III DOMENICA di PASQUA)

15 Aprile 2018 – 3^ DOMENICA DI PASQUA – Anno B

Se io non riesco più a sentire il mio nemico, se abolisco in me l’immagine del nemico come un frutto della alienazione umana, per cui non faccio retorica se dico che l’uomo dell’Africa, l’uomo dell’Iraq, il Curdo sono miei fratelli; se dico questo non con sentimentalismo vieto, che mi ripugna, ma con realismo, al punto tale che non ammetto che nessuno si introduca in questa fraternità ideale – né lo Stato, né la legge – sento che mi avvicino a questo mistero.

PRIMA LETTURA: At 3,13-15. 17-19 - SALMO: 4- SECONDA LETTURA: 1 Gv 2, 1-5- VANGELO: Le 24, 35-48


…Quando noi scendiamo nel nostro profondo sappiamo cosa vogliamo: vogliamo un mondo fraterno. E quando noi ci troviamo dinanzi, nei primi sintomi della nostra fragilità di creature, all’immagine della morte e ci spaventiamo, sappiamo che cosa vogliamo: vorremmo che non ci fosse la morte. Queste sono le scansioni interne di una speranza che non si disperde nei modelli esteriori, che non consente alienazioni. 
La vera malattia dell’uomo è di porre la propria essenza fuori di se stesso, nella dimensione dell’avere, del possedere e così egli si estranea da sé e diventa il primo nemico di se stesso. Diventiamo feroci contro di noi, ci strapazziamo, ci distruggiamo perché abbiamo posto il baricentro dell’esistenza fuori di noi. In questa profondità nessuno di noi è solo con se stesso, c’è un noi che è più profondo dell’io. L’io è appena la pellicola di superficie della nostra interiorità, se andate più a fondo trovate che il vero soggetto è il noi, l’umanità nel suo insieme. 

Senza volerlo, con queste parole già scandisco il tema di fondo della rivelazione che Gesù ha fatto. Il senso di questo nostro Fratello, che noi crediamo liberato da morte, è l’averci rivelato questa nostra immanenza reciproca e l’averci detto che Dio è già qui, non altrove. La potenza del messaggio di Gesù è anche nel distruggere quella alienazione che è l’alienazione religiosa. Lo dico con insistenza, anche con lo sgomento che abbiamo tutti nel vedere come tante volte, anche nei nostri templi, che si vantavano di essere ormai al di fuori delle superstizioni antiche, il nome di Dio è diventato motivo di funeste azioni, di violenze. Abbiamo bisogno di interrogarci su quale sia la vera via per trovare la vita. 

Questo altrove è dentro di noi. Non lo dico però in senso intimistico, perché in questo noi c’è tutto l’insieme delle relazioni che fanno il tessuto vivo, portante della storia umana. Se io non riesco più a sentire il mio nemico, se abolisco in me l’immagine del nemico come un frutto della alienazione umana, per cui non faccio retorica se dico che l’uomo dell’Africa, l’uomo dell’iraq, il Curdo sono miei fratelli; se dico questo non con sentimentalismo vieto, che mi ripugna, ma con realismo, al punto tale che non ammetto che nessuno si introduca in questa fraternità ideale – né lo Stato, né la legge – sento che mi avvicino a questo mistero. 

Il mistero del Cristo era questo: «Era necessario – dice in un passaggio il Vangelo di oggi – che Egli subisse queste cose». Chi prende sul serio questa dimensione umana è necessario che soffra, non lo può evitare, perché è intollerabile questa verità. Noi lo vediamo come le verità ufficiali sono costruite, ci urtiamo contro tutti i giorni: c’è la necessità della guerra, è necessario l’esercito, e via via. Queste sono le falsità. Voi direte: «Se le aboliamo finisce la storia». Certo, finisce questa storia che ci raccontiamo per glorificarci, ma comincia la vera storia umana nella quale nessun uomo sia nemico all’uomo, nessuno si faccia ricco sottraendo all’altro il necessario. Lo so che ripeto cose antiche, che quasi ho fretta di andare oltre, ma non posso uscir fuori da questa cruna d’ago terribilmente esigente, necessaria, senza la quale smarrisco il filo della verità. Se io non osservo questo comandamento e dico di conoscer Cristo sono un bugiardo. 

Non mi importa qui identificare chi è bugiardo. Bugiardi siamo tutti, ma c’è una differenza. C’è chi costruisce la sua casa nella bugia e chi soffre perché se ne vuol liberare in una progressiva comprensione del vero che non è quello dei filosofi, che hanno contribuito all’alienazione come pochi altri, ma quella concreta del gesto fraterno. Al di là delle ornamentazioni apologetiche, questi racconti che dicono? Gesù si è manifestato nel convivio: appena ha spezzato il pane lo hanno capito. Lo spezzare il pane è il gesto simbolico per eccellenza della fraternità. 

Non è una fraternità intimistica, come quando diciamo: «Tutti noi uomini siamo fratelli», e non spendiamo nemmeno un grammo della nostra energia spirituale. Sono parole vacue, visto che quando spezziamo il pane facciamo un gesto concreto, che non chiamerete spirituale perché il pane è pane, e non chiamerete materiale perché nel gesto del dono lo spezzare è spirituale. In quel momento trovo il bandolo, il filo di partenza della matassa umana e io devo districarlo tenendo fermo questo bandolo. Voi vedete come girano tutti attorno a questa verità. Dobbiamo difendere le nostre posizioni, non possiamo permettere che la nostra situazione economica venga compromessa. 

C’è un mondo che muore di fame e noi facciamo eserciti di specialisti che ci difendono. Ma da chi? Ormai la consorteria dei benestanti non si fa più guerre, il pericolo viene da altrove. Da dove? Dove c’è la fame, dove si muovono le masse sedotte da ciò che noi abbiamo insegnato al mondo: che si è felici se si è come noi. C’è un’ignoranza tragica, me ne sento avvolto e sento che è quasi impossibile vincerla perché, non appena noi guardiamo, per esempio, il semplice bandolo che tutti i beni della terra vanno distribuiti con giustizia per tutti gli abitanti della terra non se ne esce più. Appena lo dico sento che non è una proposta seria, eppure se la rifiuto non trovo più la verità, mi trovo nella necessità dello Stato, della frontiera, della difesa dagli immigrati che vengono a prenderci il posto di lavoro… Entro nella terribile spirale e non ne esco. Contaminiamo la terra, i mari, i fiumi… non se ne esce. Questo è il mistero di fondo. Mistero di Dio o mistero dell’uomo? La distinzione non interessa, perché io so che per parlare di Dio bisogna passare di qui. Se ne parlo fuori di qui, anche il nome di Dio mi disturba perché fa da copertura a tante cose nefaste…


Ernesto Balducci – da “Gli ultimi tempi” vol. 2^ anno B

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