Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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venerdì 8 marzo 2019

Un libro senza prefazione (contributo a don Tullio Contiero)

Un libro senza prefazione.

Don Tullio si lasciò incontrare con me, come si faceva incontrare con tutti: nel vivo della storia, senza troppi riassunti delle puntate precedenti, senza perdere tempo a guardare troppo il passato, soprattutto di noi studenti che a volte arrivavamo a San Sigismondo come ultima spiaggia. 
1990: nelle Università in tutta la penisola eravamo ancora nel pieno dell'occupazione, e aveva un nome: la Pantera. In contemporanea comparivano infatti articoli di una leggendaria ed imprendibile pantera che s'aggirava per le colline italiane (in quel momento se non ricordo male, quelle toscane!). Il movimento di studenti che si era diffuso in Italia, partendo dalla Sicilia, corrispose per tanti ad una uscita da se stessi per fare propri ambienti corsi idee fino a quel momento studiate solo per ripetere la lezione agli esami. Un movimento imprendibile non tanto perchè fosse un po carbonaro o sotterraneo, tutt'altro, ma per la vivacità che seppe risvegliare in tanti di noi. Non pochi docenti portarono avanti i propri corsi abbinando alla propria materia, la situazione che si stava vivendo. Fu una sincera e bella esperienza di partecipazione alla vita politica, non certo in senso partitico!

In quei giorni sentii parlare di un prete un po' vecchio che aveva partecipato ad una assemblea in qualche aula, con una voce critica tale da segnarsi nella mente di molti studenti. Persi quell'appuntamento, ma fu solo un rimandarlo di qualche settimana. Scoprii successivamente che quel prete era don Contiero.
Avevo iniziato in quel periodo a partecipare a molte conferenze organizzate in ambito universitario, e mi capitò di andare ad una organizzata proprio da don Tullio con il Centro Donati. Raggiunsi l'aula all'interno dell'ospedale Sant'Orsola. Parlava un medico italiano da decenni in Brasile, Giovanni Baruffa. Il tema (ormai ne conservo l'imprinting) era la malattia di Chagas, trasmessa da un insetto che nidifica nelle pareti terrose delle bidonvilles brasiliane, dunque una malattia che principalmente colpiva gli impoveriti! Mi parve un'ottima relazione, nell'aula gli studenti non erano pochi, la denuncia era stata forte e precisa. Mentre sembrava finire tutto, si alza un signore anziano e gridando – ma il dottor Baruffa doveva conoscerlo perchè non si scomponeva e anzi sorrideva un po imbarazzato per i partecipanti – inveiva contro la sua relazione che a suo dire aveva fatto scienza ma non aveva scomposto per nulla la vita dei presenti che se ne sarebbero tornati ai loro studi contenti soltanto di avere sentito una bella accusa contro il sistema che genera povertà! “MA DILLO A QUESTI STUDENTI BORGHESI CHE TI STANNO ASCOLTANDO CHE GIRANO PER QUESTI CORRIDOI CHE SONO ANCHE CORSIE DI OSPEDALE DILLO CHE TRA CHI STUDIA MEDICINA ED I MALATI CI SONO DISTANZE Più GRANDI CHE TRA QUI E UN ALTRO CONTINENTE CHI DI VOI VISITA I MALATI PER STARE CON LORO CHI HA MESSO TRA DI VOI DUE TRE ORE DI SERVIZIO AI MALATI NEL SUO PIANO DI STUDI O VOLETE SOLO LECCARE IL CULO AI BARONI DI QUESTA FACOLTà?”. E con altre parole colorite terminò mestamente per i partecipanti la conferenza. Io mi sentivo salvato per il fatto che studiavo Lettere, ma il discorso mi colpì ed il tono di voce, anche se era un poco irritante, stava vigorosamente buttando giù dal letto il mio cuore e la mia vita! Uscii senza chiedere nulla a nessuno, meno che mai a quell'anziano esagitato che sembrava un prete (ancora non lo sapevo!). Uscii però assai soddisfatto e mi promisi di “fare qualcosa”.
In quel periodo, tra le altre cose, ripresi pur se in modi impacciati, a pregare, e scoprii la chiesa di San Sigismondo dove sostavo una decina di minuti prima delle lezioni delle 9 mattutine. Capitava spesso di vedere passare questo prete (“ecco dove abita!” Realizzai tra me e me) che entrava in chiesa e usciva passando per la sacrestia dietro l'altare. Iniziai anche a frequentare alcuni amici riminesi della FUCI conosciuti durante l'occupazione (che intanto procedeva), i quali mi invitarono alla messa del mercoledì nella medesima chiesa, presieduta da don Giulio Malaguti. Ma quel giorno don Giulio lasciò fare l'omelia a don Tullio Contiero (“Ecco come si chiamava!”). Don Tullio semplicemente lesse un comunicato per l'uccisione di padre Egidio Biscaro, in Uganda, appena qualche giorno prima, il 29 gennaio 1990. “CHI PRENDERà IL SUO POSTO?”. Continuava a tenere il tono alto, e non solo quello della voce. Era esigente. Io cosa centravo? Eppure mi faceva capire che riguardava anche me quella morte. Dopo messa noi studenti andammo a mangiare qualcosa. Io ero pieno di adrenalina.
Circa il 20 marzo, una mattina presi il coraggio e vedendolo passare, chiesi a don Tullio di poter partecipare ad un ritiro ad Assisi che lui stava organizzando per Pasqua. Mancavano non molte settimane alla partenza. Lui, senza fermarsi, mi fece alzare, mi obbligò a seguirlo e intanto mi parlava: c'era in ballo un viaggio estivo in Africa. Chiuse dietro a noi la porta della sacrestia e continuai a seguirlo. Salimmo le scale verso la canonica. Entrati in casa, il grande salone offriva un immenso tavolo con sopra volantini e manifesti e altre cose. Anche una Olivetti 55. Capii che era con quella che venivano prodotti i tanti volantini che trovavo in chiesa. “Ecco qua: SPROVINCIALIZZARE L'UNIVERSITà! Vieni”. Poi in un attimo mi trovai fuori della porta. La settimana successiva ero già nella lista dei partenti!

Conoscere don Contiero ed entrare in relazione con lui, significava iniziare subito a leggere il libro saltando la prefazione di qualche riassuntivo commentatore, quei preamboli pieni di “se” e di “ma”. Il libro era quello della vita, della storia dei popoli, del dialogo con Dio, del senso delle cose che nasce dal servire il prossimo, del non perdersi in mediocrità, del viaggiare per farsi prossimi con chiunque. 
La sveglia aveva iniziato a suonare anche per me, come per tanti prima e dopo, grazie a questa “pastorale universitaria” (ma forse è un poco riduttivo dargli questo nome) che ti spingeva ad uscire coscientemente e pienamente da te stesso. Penso che quelli che hanno trovato difficoltà con don Tullio, in fondo siano stati coloro (preti compresi!) che si sono fermati a commentare sempre e soltanto il prologo. E quello certo non era scritto da don Tullio, non era don Tullio. Mi azzarderei a dire che neppure nostro Signore ha scritto un prologo. Vero: esiste quello del Vangelo secondo Giovanni, ma in fondo non è pure quello un titolo apposto come commento a quei versetti? Non glielo ha dato certo l'evangelista Giovanni! La scuola dei don Contiero, dei padre Marella, dei don Milani, dei don Mazzolari è quella della testimonianza e del servizio, di chi non fa pagare sulla pelle degli altri la coerenza del Vangelo, ma dimostra con un dono quotidiano di vita che non siamo fatti per vivere per noi stessi. E don Tullio questo ministero di far sapere agli studenti che qualcuno gli voleva bene, lo ha amministrato con abbondanza, senza compiacere nessuno al fine di crearsi un suo gruppo di affezionati, ma sempre un po scalciando per lasciarci crescere e maturare come persone ed infine “smammare” per andare sulle strade del mondo.

d.Francesco Ondedei

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