Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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venerdì 29 giugno 2018

La terra brucia … e noi restiamo sott’acqua

da UNIMONDO

La sala è affollata. Nella hall del MUSE di Trento si respira aria d’estate, le sale del museo delle scienze diventano balconate e l’architettura di questo luogo ancora una volta custodisce storia e futuro. Ospite d’onore è il climatologo statunitense Michael E. Mann, e che l’atmosfera si scaldi non è solo questione di stagione. Autore nel 1999 di uno studio rivoluzionario che ha ripercorso e analizzato i dati della temperatura media dell’emisfero settentrionale negli ultimi 1000 anni, Mann racconta con parole limpide e sferzante ironia i risultati di anni di ricerche che, se allora potevano sembrare inaspettati e sorprendenti, oggi non sono più, purtroppo, informazioni che possiamo fare finta di non sapere. Al massimo le possiamo ignorare, ma l’attenzione di una sala gremita fa ben sperare.

Sarà una coincidenza che l’inizio dell’impennata della temperatura media sulla terra coincida con l’inizio dell’era industriale e con un utilizzo spregiudicato di combustibili fossili per alimentare le nostre industrie? No. Anzi, l’hockey stick chart, ovvero l’andamento della curva che rileva l’innalzamento della temperatura e che ricorda la forma della tipica mazza usata in questo sport, diventa il simbolo (controverso) non solo del cambiamento climatico in atto, ma delle nostre responsabilità nella sua accelerazione, che procede a ritmi più rapidi di quelli preventivati.
In questa rivoluzione climacentrica, Mann ha avuto un ruolo simile a quello di Galileo: ha fondato un nuovo modo di leggerne il cambiamento, rinunciando a venire a patti con i negazionisti e perseguendo la solidità delle testimonianze scientifiche. Perché oggi, di cambiamento climatico, tutti abbiamo sentito parlare: pochi però hanno le competenze e i dati necessari per farlo con serietà e spesso si rischia di cadere in affermazioni prive di basi certe, che fanno leva sulle paure, sulla costruzione del consenso, su un’agenda politica che velocemente lo esclude dalle proprie priorità di riflessione e di azione. Perché quello del cambiamento climatico è un tema che, nell’attacco frontale agli scienziati che lo studiano, sottende interessi legati a uno specifico modello di sviluppo e rilevanti al punto da finanziare campagne di disinformazione: si pensi al cosiddetto climategate, che ha insinuato più di un dubbio sulla validità dei metodi e dei risultati e che ha coinvolto in una vergognosa caccia alle streghe e in maniera nient’affatto marginale lo stesso Mann.
Ma non è solo la tempra di Mann a tenere testa alle diffamazioni dei negazionisti. È quel sano scetticismo che permette di ottenere dati certi e verificati, che ci dicono qualcosa su quello che Mann chiama “the madhouse effect”, giocando sull’equivoco tra greenhouse effect (effetto serra) e White House effect (alla Casa Bianca in questo momento abita uno dei negazionisti tra i più cialtroni), che ha un-non-so-che di mad, di folle. 
Dire che nel cambiamento climatico l’uomo abbia una grande responsabilità non equivale a dire che l’uomo lo provochi: si tratta come detto di imprimere un’accelerazione significativa a processi che per intervento umano diventano rapidamente più estremi e che, diciamolo, non interessa solo gli orsi polari e i pinguini, ma tutti noi. Un esempio su tutti: la tragica siccità che ha colpito la Siria, diventata terreno fertile solo per organizzazioni come l’ISIS. Il cambiamento climatico racconta di noi più di quanto si immagini: guerre, conflitti, minacce alla nostra sicurezza, migrazioni epicherifugiati ambientali. Che l’anno 2014 sia stato il più caldo fino al 2015 e che il 2015 lo sia stato fino al 2016 e il 2016 fino al 2017 (anno che rimane per adesso sul secondo gradino del podio più infiammato di sempre) ha molto a che vedere con i nostri bisogni (veri o indotti) e con il nostro modo di soddisfarli: combustibili fossili, impronta ecologica fuori misura, filiere alimentari per nulla improntate alla sovranità alimentare e alle piccole comunità locali, ma vittime dei grandi allevamenti intensivi (leggasi: cow farts e annessi) e delle monoculture, solo per fare alcuni esempi. Eppure ci sono persone che sostengono che “l’innalzamento dell’acqua del mare è provocato dalle pietre che cadono nell’oceano”, per citare il repubblicano Brooks.
Se prospettare soluzioni futuristiche è una possibilità che la geoingegneria non esclude, dallo sparare particelle nell’atmosfera per schermare il sole all’iniettare ferro negli oceani perché le alghe possano assorbire più anidride carbonica, occorre considerare che la maggior parte di queste idee comportano conseguenze non del tutto conosciute e potenzialmente pericolose. Non si tratta solo di un problema economico, scientifico o politico – e Mann cita Papa Francesco: si tratta di un problema etico. Quale mondo vogliamo lasciare a chi verrà dopo di noi, ammesso che gliene si voglia lasciare uno? L’Accordo di Parigi è un primo passo, ma firmarlo non vuol dire automaticamente saper agire per implementare azioni che vadano nella direzione del contenimento dell’innalzamento delle temperature: accettare un problema ma non impegnarsi a trovare soluzioni che lo risolvano è una forma soft di negazionismo, che ci porta inesorabilmente verso una passiva arrendevolezza. La responsabilità è di ciascuno di noi, ma lo è anche e in primo luogo dei decisori politici, che sono chiamati a modificare la struttura degli incentivi economici a favore di una transizione urgente dai combustibili fossili verso le energie rinnovabili.
Perché non possiamo semplicemente adattarci a questo cambiamento? È una provocazione che i negazionisti utilizzano, ma che equivale a chiederci più o meno perché, se i nostri figli hanno la febbre, non accettiamo semplicemente che abbiano un po’ più caldo? Mann osserva: se per un corpo umano 2°C fanno la differenza tra l’essere sani e l’essere ammalati, perché non dovrebbe essere valido anche per un organismo così elaborato e complesso come la Terra? La domanda rimane sospesa, ma la risposta è evidente ed è chiusa nellanecessità di sostenere il pensiero critico e l’educazione al metodo scientifico, strumenti imprescindibili per la valutazione di ciò che ci accade intorno. Il cambiamento climatico è entrato a far parte del nostro modo di guardare la contemporaneità e occorre costruire insieme una società che sappia scegliere le proprie soluzioni, indirizzate a comportamenti positivi nei confronti del Pianeta.

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